Cinquant’anni sono trascorsi da quando un gruppo di ricercatori giapponesi riuscì a chiarire la natura delle malattie note come “aster yellows”, i giallumi delle piante che dalla metà circa del secolo scorso tanto interesse avevano attratto da parte di virologi, patologi vegetali e studiosi di discipline affini al fine di comprenderne l’eziologia che risultò, infine, legata alla presenza di microrganismi micoplasma-simili (“mycoplasma-like organisms”, MLO), oggi fitoplasmi. La scoperta fu oggetto di pubblicazione nel 1967 e successivamente, nel 1968, presentata in una comunicazione verbale al “1st International Congress of Plant Pathology”, a Londra, nella sede del “Victoria and Albert Museum”. La notevole curiosità suscitata dai giallumi delle piante nel mondo scientifico è imputabile innanzi tutto alla insolita, peculiare sintomatologia consistente in alterazioni della vegetazione quali, tra l’altro, virescenza e fillodia dei fiori, produzione abnorme di ricacci ascellari (scopazzi), ingiallimento e/o arrossamento diffuso della pianta, pronunciata riduzione di sviluppo, sterilità. La tipologia dei sintomi e poi la dimostrazione del carattere infettivo dei giallumi con la trasmissione per innesto e successivamente per mezzo di cicaline in modo analogo a quello tipico di alcuni gruppi di virus, quali Fitoreovirus e Rhabdovirus – avevano indirizzato i fitopatologi alla ricerca di particelle virali nelle piante infette soprattutto mediante microscopia elettronica a trasmissione. L’esito costantemente negativo di queste indagini aveva indotto molti ricercatori a concludere, col tempo, che gli agenti eziologici potessero essere virus indistinguibili dai ribosomi oppure virus “difettivi”, ossia privi del capside quindi, in entrambi i casi, non rilevabili al microscopio elettronico. Sembra che, dato l’esiguo numero di microscopi elettronici allora disponibili, quello impiegato dai ricercatori giapponesi autori della scoperta fosse utilizzato a turno anche da studiosi di altre discipline, soprattutto da medici e veterinari ai quali erano già ben noti i micoplasmi come agenti di infezioni nell’uomo e in altri animali. Proprio un ricercatore veterinario fortuitamente osservò i negativi delle foto del collega fitopatologo e in breve individuò nei vasi cribrosi, e riconobbe immediatamente, quelli che per lui erano micoplasmi. Da questo momento l’interesse per i giallumi delle piante si indirizzò allo studio dei fitoplasmi con ricerche specifiche soprattutto su insetti vettori e modalità di trasmissione. Con l’avvento di metodiche molecolari si sono ottenuti dapprima il differenziamento poi una classificazione preliminare dei fitoplasmi basata sul gene ribosomico 16S come per tutti gli altri batteri. Lo studio dei fitoplasmi è entrato a pieno titolo fra quelli batteriologici per motivi ovvi dovuti alla morfologia di questi procarioti derivanti da batteri Gram positivi che sono però risultati privi di un numero elevato di geni presenti in altri batteri nonché della capacità di sintetizzare una parete. Negli ultimi venti anni il numero delle malattie associate a fitoplasmi è cresciuto esponenzialmente grazie alla diagnostica molecolare, ma le conoscenze biologiche ed epidemiologiche non hanno avuto lo stesso incremento. Sono stati sequenziati i genomi di cinque fitoplasmi e sono state individuate molecole possibili responsabili di alcune delle alterazione dovute alla presenza di fitoplasmi nei tessuti vegetali e/o negli insetti vettori. Si è scoperto che in alcune combinazioni insetto vettore/fitoplasma questi ultimi sono in grado di passare alle nuove generazioni attraverso l’uovo, si è verificata anche la loro trasmissione attraverso il seme, anche se in percentuali solitamente ridotte, e molto recentemente è stato finalmente possibile ottenere i fitoplasmi in coltura su substrati artificiale, primo passo fondamentale per poter finalmente soddisfare i postulati di Kock ed avviare una ricerca mirata ad una puntuale conoscenza della loro biologia per efficiente gestione delle fitoplasmosi.
Bertaccini, A., Conti, M. (2017). Cinquanta anni dopo....
Cinquanta anni dopo...
Bertaccini A.
;
2017
Abstract
Cinquant’anni sono trascorsi da quando un gruppo di ricercatori giapponesi riuscì a chiarire la natura delle malattie note come “aster yellows”, i giallumi delle piante che dalla metà circa del secolo scorso tanto interesse avevano attratto da parte di virologi, patologi vegetali e studiosi di discipline affini al fine di comprenderne l’eziologia che risultò, infine, legata alla presenza di microrganismi micoplasma-simili (“mycoplasma-like organisms”, MLO), oggi fitoplasmi. La scoperta fu oggetto di pubblicazione nel 1967 e successivamente, nel 1968, presentata in una comunicazione verbale al “1st International Congress of Plant Pathology”, a Londra, nella sede del “Victoria and Albert Museum”. La notevole curiosità suscitata dai giallumi delle piante nel mondo scientifico è imputabile innanzi tutto alla insolita, peculiare sintomatologia consistente in alterazioni della vegetazione quali, tra l’altro, virescenza e fillodia dei fiori, produzione abnorme di ricacci ascellari (scopazzi), ingiallimento e/o arrossamento diffuso della pianta, pronunciata riduzione di sviluppo, sterilità. La tipologia dei sintomi e poi la dimostrazione del carattere infettivo dei giallumi con la trasmissione per innesto e successivamente per mezzo di cicaline in modo analogo a quello tipico di alcuni gruppi di virus, quali Fitoreovirus e Rhabdovirus – avevano indirizzato i fitopatologi alla ricerca di particelle virali nelle piante infette soprattutto mediante microscopia elettronica a trasmissione. L’esito costantemente negativo di queste indagini aveva indotto molti ricercatori a concludere, col tempo, che gli agenti eziologici potessero essere virus indistinguibili dai ribosomi oppure virus “difettivi”, ossia privi del capside quindi, in entrambi i casi, non rilevabili al microscopio elettronico. Sembra che, dato l’esiguo numero di microscopi elettronici allora disponibili, quello impiegato dai ricercatori giapponesi autori della scoperta fosse utilizzato a turno anche da studiosi di altre discipline, soprattutto da medici e veterinari ai quali erano già ben noti i micoplasmi come agenti di infezioni nell’uomo e in altri animali. Proprio un ricercatore veterinario fortuitamente osservò i negativi delle foto del collega fitopatologo e in breve individuò nei vasi cribrosi, e riconobbe immediatamente, quelli che per lui erano micoplasmi. Da questo momento l’interesse per i giallumi delle piante si indirizzò allo studio dei fitoplasmi con ricerche specifiche soprattutto su insetti vettori e modalità di trasmissione. Con l’avvento di metodiche molecolari si sono ottenuti dapprima il differenziamento poi una classificazione preliminare dei fitoplasmi basata sul gene ribosomico 16S come per tutti gli altri batteri. Lo studio dei fitoplasmi è entrato a pieno titolo fra quelli batteriologici per motivi ovvi dovuti alla morfologia di questi procarioti derivanti da batteri Gram positivi che sono però risultati privi di un numero elevato di geni presenti in altri batteri nonché della capacità di sintetizzare una parete. Negli ultimi venti anni il numero delle malattie associate a fitoplasmi è cresciuto esponenzialmente grazie alla diagnostica molecolare, ma le conoscenze biologiche ed epidemiologiche non hanno avuto lo stesso incremento. Sono stati sequenziati i genomi di cinque fitoplasmi e sono state individuate molecole possibili responsabili di alcune delle alterazione dovute alla presenza di fitoplasmi nei tessuti vegetali e/o negli insetti vettori. Si è scoperto che in alcune combinazioni insetto vettore/fitoplasma questi ultimi sono in grado di passare alle nuove generazioni attraverso l’uovo, si è verificata anche la loro trasmissione attraverso il seme, anche se in percentuali solitamente ridotte, e molto recentemente è stato finalmente possibile ottenere i fitoplasmi in coltura su substrati artificiale, primo passo fondamentale per poter finalmente soddisfare i postulati di Kock ed avviare una ricerca mirata ad una puntuale conoscenza della loro biologia per efficiente gestione delle fitoplasmosi.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.