L’azione mimetica, attuata attraverso un’immersione panica nel mondo, è stata uno dei modi scelti dalle donne artiste per rinegoziare la propria presenza e la propria identità in quanto soggetti agenti e significanti. Il bisogno di ridefinire i proprio confini fisici, l’anelito a una dissoluzione immersiva nelle cose e nell’ambiente, hanno portato alcune donne artiste a usare il proprio corpo come oggetto di riflessione estetica ed esistenziale in un dialogo serrato con lo spazio circostante. Per fare questo, lo strumento fotografico è risultato essere il dispositivo più idoneo ed efficace: grazie alla possibilità di innescare una dimensione performativa, e favorita dalla carica autobiografica e dal coinvolgimento diretto tipici della sua prassi operativa, la fotografia viene adottata dalle donne artiste che avvertono questa urgenza di ridefinizione dei confini tra corpo e mondo. Se anche artiste appartenenti già a un clima d’intenso ingresso delle donne al circuito dell’arte, come Ana Mendieta e Francesca Woodman tra le altre, hanno lavorato specificatamente al tema della mimesi e della ridefinizione dei confini del sé, il saggio si concentrerà su un caso primonovecentesco, quello dell’americana Anne Brigman, che proprio perché pionieristico riesce a chiarire molto bene fino a che punto l’assunzione della fotografia abbia rappresentato una scelta volontaria, e al tempo stesso quasi obbligata, per chi si avventurava su territori ancora inesplorati, come quelli relativi alla nuova presenza delle donne nell’arte, attraverso una mimesi panica nelle cose del mondo.

La mimesi fotografica come ridefinizione identitaria Anne Brigman e l’immersione panica nel mondo / Muzzarelli, F.. - In: L'UOMO NERO. - ISSN 1828-4663. - STAMPA. - 14:(In stampa/Attività in corso), pp. 1-23.

La mimesi fotografica come ridefinizione identitaria Anne Brigman e l’immersione panica nel mondo

F. Muzzarelli
In corso di stampa

Abstract

L’azione mimetica, attuata attraverso un’immersione panica nel mondo, è stata uno dei modi scelti dalle donne artiste per rinegoziare la propria presenza e la propria identità in quanto soggetti agenti e significanti. Il bisogno di ridefinire i proprio confini fisici, l’anelito a una dissoluzione immersiva nelle cose e nell’ambiente, hanno portato alcune donne artiste a usare il proprio corpo come oggetto di riflessione estetica ed esistenziale in un dialogo serrato con lo spazio circostante. Per fare questo, lo strumento fotografico è risultato essere il dispositivo più idoneo ed efficace: grazie alla possibilità di innescare una dimensione performativa, e favorita dalla carica autobiografica e dal coinvolgimento diretto tipici della sua prassi operativa, la fotografia viene adottata dalle donne artiste che avvertono questa urgenza di ridefinizione dei confini tra corpo e mondo. Se anche artiste appartenenti già a un clima d’intenso ingresso delle donne al circuito dell’arte, come Ana Mendieta e Francesca Woodman tra le altre, hanno lavorato specificatamente al tema della mimesi e della ridefinizione dei confini del sé, il saggio si concentrerà su un caso primonovecentesco, quello dell’americana Anne Brigman, che proprio perché pionieristico riesce a chiarire molto bene fino a che punto l’assunzione della fotografia abbia rappresentato una scelta volontaria, e al tempo stesso quasi obbligata, per chi si avventurava su territori ancora inesplorati, come quelli relativi alla nuova presenza delle donne nell’arte, attraverso una mimesi panica nelle cose del mondo.
In corso di stampa
La mimesi fotografica come ridefinizione identitaria Anne Brigman e l’immersione panica nel mondo / Muzzarelli, F.. - In: L'UOMO NERO. - ISSN 1828-4663. - STAMPA. - 14:(In stampa/Attività in corso), pp. 1-23.
Muzzarelli, F.
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