Come si presentava agli occhi di un contemporaneo un Dio sovrano dei mari? Come vedevano il Nettuno al momento dello svelamento dell’opera? Aveva forse il colore di un corpo abbronzato che mettesse in risalto la plasticità di un fisico atletico e vigoroso? I bolognesi sono abituati a vedere la fontana al centro della città chiamata del Nettuno come uno stridente contrasto tra il bianco e il rosso dei marmi e il nero lucido degli elementi bronzei cosicché l’imponenza e la bellezza della statua e i lineamenti di volto e corpo rimangono schiacciati e poco visibili all’osservatore. Il cantiere di conservazione e restauro oggi in corso promosso dal Comune di Bologna, con la collaborazione dell’Università di Bologna e dell’Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro del MiBACT (ISCR), ha permesso nuove indagini sui bronzi capaci di apportare nuova materia verso una soluzione dell’enigma. Il restauro consente infatti di avvicinarci alla superficie ormai alterata e trasformata e di cercare, sotto tutte le stratificazioni, la pelle dell’opera. A volta si trova una traccia di ciò che era e non è più, uno strato limite tra la materia grezza e le alterazioni che il tempo gli ha conferito. Quella superficie originaria che l’artista aveva voluto e che per noi rappresenta il livello da raggiungere ma non da oltrepassare. Gli anni trasformano infatti le superfici dell’opera, mutando il suo aspetto originario. Quello che lo scultore aveva ideato viene trasformato dal tempo, dall’uomo. In particolare le patine artificiali, dovute a operazioni di carattere conservativo per la protezione dei manufatti dai processi corrosivi, rappresentano in molti casi la sintesi di scelte legate a fattori funzionali ed estetici al tempo stesso, ma possono alterare profondamente l’aspetto originale, l’idea dell’artista che probabilmente aveva una idea della finitura superficiale che corrispondeva anche al gusto del proprio tempo. In presenza di patine artificiali il ritrovamento dell’originale è un lavoro lento, di costante confronto e ripensamenti in cui l’evidenza dell’originale non sempre è possibile, anzi quasi mai. Avvicinandoci, cercando, abbiamo trovato una traccia. Da quella siamo partiti per un viaggio alla ricerca di uno sguardo perduto. Da lì abbiamo voluto vedere quello che nessuno potrà mai restituirci, né attraverso un documento né con un’immagine per scoprire alfine i caratteri originari. Gli scriventi, restauratori e incaricati della diagnostica, hanno sviluppato una teoria sul tema sviluppata sfruttando metodologie integrate di analisi ripetute nel corso dei lavori che non partono dall’analisi di documenti storici o da analisi chimiche, ma sfruttano metodi speditivi sviluppati ‘ad hoc’ e la capacità di osservazione di un restauratore esperto per formulare osservazioni sempre più circostanziate a mano a mano che l’opera di pulizia delle superfici procede. Lo scritto spiega proprio questo, metodo di indagine e risultati.

Basilissi, V., Ceccarelli, F., Apollonio, F.I., Gaiani, M. (2017). Di che colore è Nettuno?. Milano : Gruppo del Colore - Associazione Italiana Colore.

Di che colore è Nettuno?

F. Ceccarelli;F. I. Apollonio;M. Gaiani
2017

Abstract

Come si presentava agli occhi di un contemporaneo un Dio sovrano dei mari? Come vedevano il Nettuno al momento dello svelamento dell’opera? Aveva forse il colore di un corpo abbronzato che mettesse in risalto la plasticità di un fisico atletico e vigoroso? I bolognesi sono abituati a vedere la fontana al centro della città chiamata del Nettuno come uno stridente contrasto tra il bianco e il rosso dei marmi e il nero lucido degli elementi bronzei cosicché l’imponenza e la bellezza della statua e i lineamenti di volto e corpo rimangono schiacciati e poco visibili all’osservatore. Il cantiere di conservazione e restauro oggi in corso promosso dal Comune di Bologna, con la collaborazione dell’Università di Bologna e dell’Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro del MiBACT (ISCR), ha permesso nuove indagini sui bronzi capaci di apportare nuova materia verso una soluzione dell’enigma. Il restauro consente infatti di avvicinarci alla superficie ormai alterata e trasformata e di cercare, sotto tutte le stratificazioni, la pelle dell’opera. A volta si trova una traccia di ciò che era e non è più, uno strato limite tra la materia grezza e le alterazioni che il tempo gli ha conferito. Quella superficie originaria che l’artista aveva voluto e che per noi rappresenta il livello da raggiungere ma non da oltrepassare. Gli anni trasformano infatti le superfici dell’opera, mutando il suo aspetto originario. Quello che lo scultore aveva ideato viene trasformato dal tempo, dall’uomo. In particolare le patine artificiali, dovute a operazioni di carattere conservativo per la protezione dei manufatti dai processi corrosivi, rappresentano in molti casi la sintesi di scelte legate a fattori funzionali ed estetici al tempo stesso, ma possono alterare profondamente l’aspetto originale, l’idea dell’artista che probabilmente aveva una idea della finitura superficiale che corrispondeva anche al gusto del proprio tempo. In presenza di patine artificiali il ritrovamento dell’originale è un lavoro lento, di costante confronto e ripensamenti in cui l’evidenza dell’originale non sempre è possibile, anzi quasi mai. Avvicinandoci, cercando, abbiamo trovato una traccia. Da quella siamo partiti per un viaggio alla ricerca di uno sguardo perduto. Da lì abbiamo voluto vedere quello che nessuno potrà mai restituirci, né attraverso un documento né con un’immagine per scoprire alfine i caratteri originari. Gli scriventi, restauratori e incaricati della diagnostica, hanno sviluppato una teoria sul tema sviluppata sfruttando metodologie integrate di analisi ripetute nel corso dei lavori che non partono dall’analisi di documenti storici o da analisi chimiche, ma sfruttano metodi speditivi sviluppati ‘ad hoc’ e la capacità di osservazione di un restauratore esperto per formulare osservazioni sempre più circostanziate a mano a mano che l’opera di pulizia delle superfici procede. Lo scritto spiega proprio questo, metodo di indagine e risultati.
2017
Colore e Colorimetria Contributi Multidisciplinari
466
478
Basilissi, V., Ceccarelli, F., Apollonio, F.I., Gaiani, M. (2017). Di che colore è Nettuno?. Milano : Gruppo del Colore - Associazione Italiana Colore.
Basilissi, V.; Ceccarelli, Francesco; Apollonio, FABRIZIO IVAN; Gaiani, Marco
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/611943
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