Una delle caratteristiche legate alle malattie da virus nelle piante è quello della latenza, ossia l’assenza di sintomi percepibili visivamente. Un viburno, un’ortensia o un lilium, seppure ospiti di uno o più virus, possono crescere e fiorire “normalmente”, senza che si notino alterazioni morfologiche e/o cromatiche su foglie e fiori che inducano ad ipotizzare una qualsiasi infezione. E’ un fenomeno più frequente di quanto si pensi, spesso responsabile di gravi danni economici poiché l’agente patogeno infettivo riesce a conservarsi e a diffondersi (ad es., tramite afidi, tripidi, polline, seme, ecc.), quasi indisturbato negli ambienti di coltivazione e raggiungere aree anche assai distanti. Esiste poi un particolare fenomeno strettamente correlato alla latenza: il “recovery”, su cui andiamo a soffermarci in questa breve nota. Infatti, a seguito di alcune sperimentazioni eseguite nel 2017 e che hanno riguardato l’alstroemeria (Alstroemeria spp.), si è potuto verificare per la prima volta come il “recovery” interessi anche TSWV (virus dell’avvizzimento maculato del pomodoro), uno dei virus più pericolosi per ornamentali, orticole ed aromatiche, non solo in Italia (https://www.eppo.int/QUARANTINE/data_sheets/virus/TSWV00_ds.pdf; http://www.apsnet.org/publications /apsnetfeatures/Pages/TomatoSpotted.aspx). Questo fenomeno costituisce quindi un ulteriore pericolo nell’epidemiologia dei Tospovirus, e non può essere perciò sottovalutato. Il “Recovery” Di cosa si tratta ed in cosa consiste? Il “recovery” è un esempio primario di resistenza indotta nelle piante. Si tratta di un meccanismo adattativo con cui esse si difendono dalle infezioni virali e che consiste nell’inattivazione dell’RNA del patogeno attraverso un processo di degradazione. Se, infatti, nei vertebrati all’infezione di un agente estraneo infettivo si ha una risposta di tipo immunitario (produzione di anticorpi), nelle piante si ha una risposta di difesa altamente specifica con la formazione di acidi nucleici di piccole dimensioni (21-24 nucleotidi) con sequenze omologhe a quelle dell’RNA bersaglio, ossia del patogeno, che viene “silenziato”. E’ quindi un meccanismo messo in atto per rendere il virus “inoffensivo”, ed infatti si assiste alla remissione dei sintomi, anche se la pianta rimane pur sempre infetta (latenza) (http://aziendagraria.uniud.it/settori/difesa/#null). Il caso “Alstroemeria” Nel mese di aprile del 2015, in una serra della Piana di Albenga (Savona) su due piante di una varietà “nana” (proveniente dall’Olanda) furono osservati sintomi attribuibili a TSWV. Le due piante, cresciute in vaso, furono oggetto di studio da parte sia del DipSA-Patologia vegetale (Università di Bologna), sia dell’IPSP-CNR di Portici (Napoli) (http://www.clamerinforma.it). I sintomi consistevano in anulature più o meno ampie, bianche o giallastre, sulle foglie e/o “variegatura” del lembo fogliare; nel mese di marzo le piante produssero fiori “normali” come forma e dimensione, di colore rosso porpora. Furono eseguiti saggi biologici nel Plesso Serricolo Scarabelli (Imola) e saggi immunoenzimatici (Lateral Flow Test: LFT) che dettero esito positivo per TSWV. Furono anche applicate tecniche di biologica molecolare RT-PCR che ne confermarono la presenza. Nel biennio successivo, le due piante di alstroemeria infette sono rimaste all’interno della serra: nel 2016 sono state moltiplicate per divisione del cespo e, nel 2017, hanno fiorito. Sia nel 2016 sia nel 2017, però, la sintomatologia fogliare tipicamente riferibile a TSWV è scomparsa (la fioritura, da maggio a giugno, è avvenuta normalmente); mentre si sono resi visibili su tutta la parte epigea degli ingiallimenti aspecifici delle lamine fogliari. Per verificare la presenza di TSWV, nel mese di giugno del 2017 sono state effettuate inoculazioni meccaniche su varie specie suscettibili al tospovirus (basilico, tabacco, pomodoro e chenopodiacee), prelevando foglie in modo “casuale” ed ottenendo esito positivo (la comparsa dei sintomi è avvenuta dopo circa un mese e mezzo dalla data di inoculo). Le analisi LFT hanno confermato la presenza di TSWV nelle quattro piante di alstroemeria. Contemporaneamente agli inoculi, per verificare che i giallumi fogliari osservati non fossero da collegarsi al tospovirus, si sono effettuate concimazioni soltanto su due delle quattro alstroemerie oggetto di studio, in modo da poter poi paragonare eventuali cambiamenti. Per le concimazioni è stato utilizzato un biointegratore commerciale di origine vegetale (soluzione di concime composta da NPK 7-5-6, con boro, rame, ferro e manganese). Le due piante sono state sottoposte a concimazioni periodiche (1 volta la settimana, od ogni 2 settimane) nel periodo di marzo-agosto. Terminate le concimazioni, si è osservato che le due piante trattate risultavano più rigogliose rispetto alle due non soggette al ciclo di concimazione; inoltre, la colorazione delle foglie è passata dal verde pallido al verde intenso che caratterizza questa specie, verificando quindi che l’ingiallimento non è da attribuirsi a TSWV, bensì a cause abiotiche dovute a carenze nutrizionali. Considerazioni La sperimentazione effettuata nel 2017 su alstroemeria asintomatica ma ancora ospite di TSWV, indica chiaramente che il “recovery”, fenomeno che si verifica naturalmente in piante infette da virus ad RNA (i.e.: nepovirus; geminivurs) (http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0042682215000094#bib89) e DNA (i.e.: caulimovirus) dopo una fase acuta di malattia che segue l’infezione iniziale, interessa anche i Tospovirus. In passato, proprio nelle serre del Plesso Serricolo Scarabelli si era assistito all’attenuazione dei sintomi indotti da un altro tospovirus, INSV (virus della maculatura necrotica dell’impatiens), in Oncidium spp. proveniente da Sanremo: le foglie manifestavano ampie anulature necrotiche infossate nel lembo ma, dopo circa un anno, le stesse piante erano asintomatiche. Successivamente, il “recovery” aveva interessato calla bianca, Stephanotis floribunda e ciclamino: queste specie, provenienti dalla Piana di Albenga e caratterizzate da vistosi sintomi su foglie e fiori (nel ciclamino), con il passare del tempo avevano prodotto foglie asintomatiche, apparendo quindi visivamente “sane”. Non furono però eseguite analisi virologiche specifiche (Fig. 5). Dal punto di vista epidemiologico l’infezione latente di TSWV successiva al “recovery” pone le piante di alstroemeria come delle “subdole” insidie negli impianti di coltivazione. Infatti: 1) producono ugualmente i fiori e ciò potrebbe indurre i produttori del fiore reciso a non allontanare gli individui “risanatisi” naturalmente per non perdere la totalità della produzione; 2) gli esemplari potrebbero essere persino incautamente moltiplicati agamicamente (per divisione dei cespi); 3) le piante infette in maniera latente negli impianti andrebbero a costituire delle fonti insospettabili di virus per i tripidi presenti nell’ambiente di coltivazione, con conseguente trasmissione di TSWV alle piante limitrofe sane. Ne consegue che: tutte le piante infette da tospovirus che riescono a “superare” l’attacco del patogeno devono essere ugualmente eliminate.

Bellardi, M.G., Elettra, F., Cavicchi, L., Giuseppe, P. (2017). Il “recovery” di TSWV in alstroemeria. CLAMER INFORMA, 11, 69-75.

Il “recovery” di TSWV in alstroemeria

Maria Grazia, Bellardi;Lisa, Cavicchi;
2017

Abstract

Una delle caratteristiche legate alle malattie da virus nelle piante è quello della latenza, ossia l’assenza di sintomi percepibili visivamente. Un viburno, un’ortensia o un lilium, seppure ospiti di uno o più virus, possono crescere e fiorire “normalmente”, senza che si notino alterazioni morfologiche e/o cromatiche su foglie e fiori che inducano ad ipotizzare una qualsiasi infezione. E’ un fenomeno più frequente di quanto si pensi, spesso responsabile di gravi danni economici poiché l’agente patogeno infettivo riesce a conservarsi e a diffondersi (ad es., tramite afidi, tripidi, polline, seme, ecc.), quasi indisturbato negli ambienti di coltivazione e raggiungere aree anche assai distanti. Esiste poi un particolare fenomeno strettamente correlato alla latenza: il “recovery”, su cui andiamo a soffermarci in questa breve nota. Infatti, a seguito di alcune sperimentazioni eseguite nel 2017 e che hanno riguardato l’alstroemeria (Alstroemeria spp.), si è potuto verificare per la prima volta come il “recovery” interessi anche TSWV (virus dell’avvizzimento maculato del pomodoro), uno dei virus più pericolosi per ornamentali, orticole ed aromatiche, non solo in Italia (https://www.eppo.int/QUARANTINE/data_sheets/virus/TSWV00_ds.pdf; http://www.apsnet.org/publications /apsnetfeatures/Pages/TomatoSpotted.aspx). Questo fenomeno costituisce quindi un ulteriore pericolo nell’epidemiologia dei Tospovirus, e non può essere perciò sottovalutato. Il “Recovery” Di cosa si tratta ed in cosa consiste? Il “recovery” è un esempio primario di resistenza indotta nelle piante. Si tratta di un meccanismo adattativo con cui esse si difendono dalle infezioni virali e che consiste nell’inattivazione dell’RNA del patogeno attraverso un processo di degradazione. Se, infatti, nei vertebrati all’infezione di un agente estraneo infettivo si ha una risposta di tipo immunitario (produzione di anticorpi), nelle piante si ha una risposta di difesa altamente specifica con la formazione di acidi nucleici di piccole dimensioni (21-24 nucleotidi) con sequenze omologhe a quelle dell’RNA bersaglio, ossia del patogeno, che viene “silenziato”. E’ quindi un meccanismo messo in atto per rendere il virus “inoffensivo”, ed infatti si assiste alla remissione dei sintomi, anche se la pianta rimane pur sempre infetta (latenza) (http://aziendagraria.uniud.it/settori/difesa/#null). Il caso “Alstroemeria” Nel mese di aprile del 2015, in una serra della Piana di Albenga (Savona) su due piante di una varietà “nana” (proveniente dall’Olanda) furono osservati sintomi attribuibili a TSWV. Le due piante, cresciute in vaso, furono oggetto di studio da parte sia del DipSA-Patologia vegetale (Università di Bologna), sia dell’IPSP-CNR di Portici (Napoli) (http://www.clamerinforma.it). I sintomi consistevano in anulature più o meno ampie, bianche o giallastre, sulle foglie e/o “variegatura” del lembo fogliare; nel mese di marzo le piante produssero fiori “normali” come forma e dimensione, di colore rosso porpora. Furono eseguiti saggi biologici nel Plesso Serricolo Scarabelli (Imola) e saggi immunoenzimatici (Lateral Flow Test: LFT) che dettero esito positivo per TSWV. Furono anche applicate tecniche di biologica molecolare RT-PCR che ne confermarono la presenza. Nel biennio successivo, le due piante di alstroemeria infette sono rimaste all’interno della serra: nel 2016 sono state moltiplicate per divisione del cespo e, nel 2017, hanno fiorito. Sia nel 2016 sia nel 2017, però, la sintomatologia fogliare tipicamente riferibile a TSWV è scomparsa (la fioritura, da maggio a giugno, è avvenuta normalmente); mentre si sono resi visibili su tutta la parte epigea degli ingiallimenti aspecifici delle lamine fogliari. Per verificare la presenza di TSWV, nel mese di giugno del 2017 sono state effettuate inoculazioni meccaniche su varie specie suscettibili al tospovirus (basilico, tabacco, pomodoro e chenopodiacee), prelevando foglie in modo “casuale” ed ottenendo esito positivo (la comparsa dei sintomi è avvenuta dopo circa un mese e mezzo dalla data di inoculo). Le analisi LFT hanno confermato la presenza di TSWV nelle quattro piante di alstroemeria. Contemporaneamente agli inoculi, per verificare che i giallumi fogliari osservati non fossero da collegarsi al tospovirus, si sono effettuate concimazioni soltanto su due delle quattro alstroemerie oggetto di studio, in modo da poter poi paragonare eventuali cambiamenti. Per le concimazioni è stato utilizzato un biointegratore commerciale di origine vegetale (soluzione di concime composta da NPK 7-5-6, con boro, rame, ferro e manganese). Le due piante sono state sottoposte a concimazioni periodiche (1 volta la settimana, od ogni 2 settimane) nel periodo di marzo-agosto. Terminate le concimazioni, si è osservato che le due piante trattate risultavano più rigogliose rispetto alle due non soggette al ciclo di concimazione; inoltre, la colorazione delle foglie è passata dal verde pallido al verde intenso che caratterizza questa specie, verificando quindi che l’ingiallimento non è da attribuirsi a TSWV, bensì a cause abiotiche dovute a carenze nutrizionali. Considerazioni La sperimentazione effettuata nel 2017 su alstroemeria asintomatica ma ancora ospite di TSWV, indica chiaramente che il “recovery”, fenomeno che si verifica naturalmente in piante infette da virus ad RNA (i.e.: nepovirus; geminivurs) (http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0042682215000094#bib89) e DNA (i.e.: caulimovirus) dopo una fase acuta di malattia che segue l’infezione iniziale, interessa anche i Tospovirus. In passato, proprio nelle serre del Plesso Serricolo Scarabelli si era assistito all’attenuazione dei sintomi indotti da un altro tospovirus, INSV (virus della maculatura necrotica dell’impatiens), in Oncidium spp. proveniente da Sanremo: le foglie manifestavano ampie anulature necrotiche infossate nel lembo ma, dopo circa un anno, le stesse piante erano asintomatiche. Successivamente, il “recovery” aveva interessato calla bianca, Stephanotis floribunda e ciclamino: queste specie, provenienti dalla Piana di Albenga e caratterizzate da vistosi sintomi su foglie e fiori (nel ciclamino), con il passare del tempo avevano prodotto foglie asintomatiche, apparendo quindi visivamente “sane”. Non furono però eseguite analisi virologiche specifiche (Fig. 5). Dal punto di vista epidemiologico l’infezione latente di TSWV successiva al “recovery” pone le piante di alstroemeria come delle “subdole” insidie negli impianti di coltivazione. Infatti: 1) producono ugualmente i fiori e ciò potrebbe indurre i produttori del fiore reciso a non allontanare gli individui “risanatisi” naturalmente per non perdere la totalità della produzione; 2) gli esemplari potrebbero essere persino incautamente moltiplicati agamicamente (per divisione dei cespi); 3) le piante infette in maniera latente negli impianti andrebbero a costituire delle fonti insospettabili di virus per i tripidi presenti nell’ambiente di coltivazione, con conseguente trasmissione di TSWV alle piante limitrofe sane. Ne consegue che: tutte le piante infette da tospovirus che riescono a “superare” l’attacco del patogeno devono essere ugualmente eliminate.
2017
Bellardi, M.G., Elettra, F., Cavicchi, L., Giuseppe, P. (2017). Il “recovery” di TSWV in alstroemeria. CLAMER INFORMA, 11, 69-75.
Bellardi, MARIA GRAZIA; Elettra, Frassineti; Cavicchi, Lisa; Giuseppe, Parrella
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