«Tradurre è in primo luogo interpretare e il lavoro dell’interpretazione, come osservò più di un secolo fa Jacob Burckhardt, non è mai compiuto, non può essere fatto una sola volta per sempre. Ogni epoca vede il lontanissimo passato in un modo nuovo e diverso. Analogamente anche il lavoro della traduzione non è mai definitivo: ogni epoca riscopre e ritraduce i testi del suo passato». Con queste parole, si apre il saggio di Bruno Gentili Leone Traverso traduttore di Pindaro (2002), e proprio Traverso è uno degli scrittori italiani che nel corso del Novecento si sono dedicati alla traduzione dei classici latini e greci, e su cui si sofferma il presente volume. Studiosi di diversa formazione -filologi classici, storici dell'antichità, italianisti- si sono interrogati su obiettivi e risultati della traduzione cosiddetta 'd'autore', attraverso l'indagine su alcuni testi significativi: fra questi, la versione in siciliano del Ciclope euripideo realizzata da Luigi Pirandello (1918), il laboratorio traduttivo privato di Cesare Pavese (1926-1950 circa), il 'Tacito futurista' di Filippo Tommaso Marinetti (1928), e poi il Fiore delle Georgiche di Salvatore Quasimodo (1942), il Ciclope euripideo tradotto in versi da Camillo Sbarbaro (1944) nonché il frammento dell'Antigone di Pier Paolo Pasolini (1960). Alcune prove traduttorie attraversano i decenni, come la più volte rimeditata Eneide di Giovanna Bemporad, mentre in altre esperienze recenti il rapporto con i classici si rivela importante anche ai fini della produzione 'personale' di poeti come Pietro Tripodo e Milo De Angelis. Il quadro che emerge è dunque molto vario e, a tratti, imprevedibile: se infatti alcune prove versorie rivelano il loro carattere transitorio e restano legate al momento storico in cui furono approntate, altre viceversa si impongono ancor oggi all'attenzione del lettore per la modernità del linguaggio, o forse, più semplicemente, per l'intrinseca bellezza.

Scrittori che traducono scrittori. Traduzioni 'd'autore' da classici latini e greci nella letteratura italiana del Novecento.

CAVALLINI, ELEONORA
2017

Abstract

«Tradurre è in primo luogo interpretare e il lavoro dell’interpretazione, come osservò più di un secolo fa Jacob Burckhardt, non è mai compiuto, non può essere fatto una sola volta per sempre. Ogni epoca vede il lontanissimo passato in un modo nuovo e diverso. Analogamente anche il lavoro della traduzione non è mai definitivo: ogni epoca riscopre e ritraduce i testi del suo passato». Con queste parole, si apre il saggio di Bruno Gentili Leone Traverso traduttore di Pindaro (2002), e proprio Traverso è uno degli scrittori italiani che nel corso del Novecento si sono dedicati alla traduzione dei classici latini e greci, e su cui si sofferma il presente volume. Studiosi di diversa formazione -filologi classici, storici dell'antichità, italianisti- si sono interrogati su obiettivi e risultati della traduzione cosiddetta 'd'autore', attraverso l'indagine su alcuni testi significativi: fra questi, la versione in siciliano del Ciclope euripideo realizzata da Luigi Pirandello (1918), il laboratorio traduttivo privato di Cesare Pavese (1926-1950 circa), il 'Tacito futurista' di Filippo Tommaso Marinetti (1928), e poi il Fiore delle Georgiche di Salvatore Quasimodo (1942), il Ciclope euripideo tradotto in versi da Camillo Sbarbaro (1944) nonché il frammento dell'Antigone di Pier Paolo Pasolini (1960). Alcune prove traduttorie attraversano i decenni, come la più volte rimeditata Eneide di Giovanna Bemporad, mentre in altre esperienze recenti il rapporto con i classici si rivela importante anche ai fini della produzione 'personale' di poeti come Pietro Tripodo e Milo De Angelis. Il quadro che emerge è dunque molto vario e, a tratti, imprevedibile: se infatti alcune prove versorie rivelano il loro carattere transitorio e restano legate al momento storico in cui furono approntate, altre viceversa si impongono ancor oggi all'attenzione del lettore per la modernità del linguaggio, o forse, più semplicemente, per l'intrinseca bellezza.
2017
224
9788862747707
Eleonora, Cavallini
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/607736
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