A tutt’oggi non esiste ancora un quadro completo sulle valutazioni economiche-estimative nel caso di calamità naturali, è un campo di studio e di ricerca che, da pochi anni, si va sviluppando in modo condiviso e partecipato. Ciò sembra incredibile se si pensa che, una delle caratteristiche basiche delle calamità naturali è il fatto di interessare vaste aree su scala mondiale, in tutti i continenti. Eppure, gli approcci e le metodologie di valutazione sono ancora in fase di discussione e di sviluppo, con rilevanti differenze tra loro e nella maggior parte dei casi generano risultati diversi rendendo difficoltosa l’emissione di dati e informazioni di stima corretti, precisi e soprattutto condivisi. In tal modo viene meno anche la possibilità di comparazioni tra indagini compiute in paesi diversi ovvero seguendo differenti metodi; allo stesso modo la mancanza di serie storiche e banche dati complete sul tema ostacola la conduzione di studi atti a rilevare aspetti comuni o di periodicità su tali eventi, utili poi per studiare eventuali piani di prevenzione. A rendere difficile lo studio di questo tema è anche la sua vastità: spesso le ricerche compiute fanno riferimento all’analisi economica solo di un singolo tipo di evento ovvero di una specifica area, tralasciando considerazioni di carattere più generale o trasversale. Da un punto di vista prettamente economico, la bibliografia a disposizione non è vastissima e spesso di carattere settoriale nell’affrontare la tematica, focalizzandosi di preferenza su di un evento in particolare e sugli aspetti ad esso relativi ovvero su di un territorio circoscritto e ben delineato. Difficile dunque rinvenire un quadro teorico e metodologico generale a cui fare riferimento nel momento in cui si decide di avviare una trattazione dell’argomento. Le metodologie e gli approcci di valutazione sono differenti tra loro, molti di essi suscitano ancora incertezze e perplessità e spesso danno risultati diversi rendendo difficile l’emissione di dati e informazioni di stima corretti e precisi. Peraltro, i risultati ottenuti in genere non sono tra loro comparabili. Il testo di riferimento da cui molte considerazioni riportate in questo scritto sono tratte, è un working paper del dicembre 2010, promosso dal World Bank Sustainable Development Network: S. Hallegatte e V. Przyluski (2010) “The economics of natural disasters. Concepts and methods”, Policy Research Working Paper 5507. Tale scritto, pur essendo sostanzialmente breve, ha il pregio di riprendere in mano la materia relativa all’analisi economica di una calamità con l’obiettivo di darne un quadro complessivo e trasversale, non focalizzato su un certo tipo di evento ovvero su di una specifica area geografica. Uno degli obiettivi è anzi quello di tracciare un sentiero comune da seguire per le analisi dei costi derivanti da large scale disasters. Tra l’altro, esso suggerisce ambiti di approfondimento e di studio piuttosto vasti su cui a tutt’oggi è sempre più importante lavorare: per esempio la ricerca, l’individuazione e l’applicazione di appropriati metodi e modelli valutativi. Attraverso l’analisi bibliografica compiuta, che non vuole certo vantare meriti di completezza, si nota una certa eterogeneità nel condurre studi e valutazioni in questo campo e la mancanza, evidenziata poi dallo stesso report della World Bank nonché da alcuni articoli internazionali in merito (Costanza, 2007; Okuyama, 2003), di una base teorica comune di partenza. Sono soprattutto gli aspetti economici quelli considerati dalla bibliografia, poiché l’estimo, ancora considerata da molti pratica esclusivamente professionale, presenta un supporto di studi e articoli accademici piuttosto povero. Da non sottovalutare il fatto che dati utili a condurre valutazioni possono essere desunti da riviste del settore immobiliare e assicurativo. Si cita il rapporto CRESME che a tutt’oggi rappresenta una fonte ufficiale abbastanza completa e aggiornata di informazioni in merito allo stato del territorio italiano, riportando anche dati economici relativi a tali eventi. Per tale motivo, in questo lavoro si è fatto abbondantemente ricorso a questa fonte e ai suoi contenuti. Il titolo del lavoro mette in evidenza la duplice natura della valutazione: si ritiene, infatti, che esaminando la questione relativa ai danni da calamità, contemporaneamente da un punto di vista economico e da uno estimativo si possano osservare e rilevare aspetti differenti, strettamente integrati tra loro, utili a tale proposito. Lo studio può essere condotto a livello micro (per es. danno e costi per la singola azienda) ma anche macro considerando il sistema economico nel suo insieme (per es. interruzione nella produzione di PIL, impatto su di un intero sistema economico in un’area/regione...). I due elementi sono strettamente collegati perché, quando un disastro naturale colpisce un’area, l’insieme delle unità colpite va a creare un vulnus nel flusso economico complessivo della regione nonché, in considerazione del fatto che non si tratta di sistemi isolati, ne risentono tutti i circuiti relazionali presenti in cui l’elemento colpito è coinvolto. Nell’analisi economica si dovrebbe concentrare sulla considerazione non solo delle rilevazioni legate ai costi (attenzione alla natura degli stessi, diretti e indiretti) ma anche sugli aspetti sociali coinvolti, le ripercussioni sul benessere della popolazione colpita. Naturalmente secondo un’ottica economica. Se si considera poi quanto sostiene Costanza «an economic system should allocate available resources in a way that equitably and efficiently provides for the sustainable well-being of people by protecting and investing in all four types of capital (built, natural, social and human capital)» (Costanza, 2007) si coglie il legame forte tra economia come allocazione di risorse e conseguente benessere sostenibile per la popolazione e la multidimensionalità del capitale, non solo in termini meramente produttivi. Per ciò che concerne l’estimo, esso è ormai riconosciuto come una disciplina di natura economica e non più solamente di carattere metodologico. Sosteneva Forte che «È proprio il trasporre le leggi economiche nel campo della logica estimativa a determinare una serie di principi e norme che possono non limitare l’estimo a sola metodologia, consentendo quindi di ammettere l’esistenza di una autonoma disciplina estimativa nella scienza economica» (Forte 1968). La bibliografia in merito si compone di numerosi manuali di teoria estimativa e documenti applicativi. È ancora abbastanza ridotto, invece, il numero di articoli e contributi scientifici in merito lasciando uno spazio decisamente più ampio a documentazione di tipo professionale. Peraltro risulta difficile una consultazione di fonti internazionali per le peculiarità che legano le pratiche estimative al territorio di riferimento. Oggetto del lavoro sono le valutazioni di danni da calamità naturali. La calamità (large scale disasters o disastri su larga scala) rappresentano un insieme di eventi molto differenti tra loro per modalità di manifestazione, effetti, periodicità, durata, la cui definizione si presenta alquanto complessa poiché coinvolge aspetti di natura estremamente eterogenea. Esso si declina in una serie estremamente differenziata e articolata di eventi, ciascuno portatore di proprie caratteristiche nell’origine, sviluppo e effetti finali che avranno ripercussione anche sull’analisi economica; tra questi: i terremoti, le alluvioni, le tempeste, gli uragani, i fenomeni di precipitazioni intense, la siccità e così via. Secondo Ball (1979) si definisce estremo l’evento a carico del sistema geofisico che manifesta valori che deviano significativamente dalla media a lungo termine. Il disastro naturale, invece, si può individuare come un rapido impatto dell’ambiente naturale sul sistema socio-economico umano che, a sua volta, non ha la capacità di rifletterlo, assorbirlo o respingerlo (White, 1974). Un tentativo di classificare tali eventi li divide in disastri a impatto brusco e a impatto lento (Alexander, 2008). I primi avvengono in un intervallo che può andare da pochi secondi a poche ore (un terremoto, una tromba d’aria), mentre i secondi hanno una durata prolungata nel tempo (mesi, anni e financo secoli come i fenomeni di erosione del suolo). Si sottolinea il fatto che la definizione di tali eventi si lega difficilmente ad una classe di magnitudo poiché anche un brevissimo evento potrebbe comportare un danno molto elevato se colpisce un’area particolarmente sensibile (Alexander, 2008). La collocazione geografica delle popolazioni umane e gli eventi geofisici determinano il rischio da calamità naturale (White, 1974). Le calamità naturali colpiscono, con frequenza difforme, aree estremamente diverse, in termini geografici e per caratteristiche ambientali ma anche in termini di livello di sviluppo sociale ed economico (elementi fondamentali in termini di capacità di recupero dopo un disastro naturale). Ne consegue che le ripercussioni generate a seguito dell’evento saranno estremamente differenziate da un territorio all’altro ma ciò non toglie che, per quanto un sistema sia in grado di assorbire o respingere l’impatto, subirà dei danni. Tra i paesi più colpiti, anche se i dati non sono recenti, si ricordano Cina, Indonesia, Bangladesh, Filippine, Perù (Alexander, 2008). L’impatto che i disastri su larga scala hanno sui paesi si differenzia decisamente sulla base del livello di sviluppo degli stessi. Secondo i dati della Banca Mondiale, a partire dal 1980 solo il 9% degli accadimenti calamitosi hanno riguardato paesi in via di sviluppo ma hanno fatto registrare quasi la metà (48%) delle perdite umane complessive per morti e dispersi (http://www.worldbank.org/). Anche in termini economici, l’effetto nei PVS è amplificato rispetto a quello dei paesi industrializzati: si è calcolato che l’impatto negativo sul GDPsia circa venti volte superiore nei primi rispetto a questi ultimi (http://www.worldbank.org/). Riconoscendo, dunque, il grave impatto che le calamità naturali hanno sui paesi in via di sviluppo (e quindi particolarmente vulnerabili con minore capacità di ripresa e ricostruzione), la Banca mondiale ha avviato una rete mondiale di supporto per fornire loro assistenza tecnica e finanziaria per la ripresa post-disastro ma anche per avviare politiche locali di prevenzione (The Global Facility for Disaster Reduction and Recovery o GFDRR). Secondo l’ONU, attualmente, ancora 1 miliardo di persone vive in zone ad alto rischio di alluvioni e si ipotizza che tale numero potrebbe raddoppiare entro il 2050. Nel 2013 i disastri naturali hanno provocato 22 mila vittime (di cui oltre un terzo nelle Filippine per un tifone) e danni alle cose per 119 miliardi di dollari (www.meteoweb.eu). Se confrontato, però, con la media del decennio precedente 93mila morti per disastri naturali quali alluvioni e siccità), l’anno 2013 registra un miglioramento (meno danni a persone e cose). Ciò non deve far pensare che tali eventi si possano classificare secondo un gradiente di periodicità poiché la loro distribuzione nel tempo è casuale. Anche nell’UE la situazione è ancora critica e preoccupante per l’entità delle perdite registrate: i morti dovuti a calamità naturali negli ultimi dieci anni sono stati circa 80 mila, con un danno alle cose stimato intorno ai 95 miliardi di euro (www.ansa.it riportando i dati della Conferenza sui cambiamenti climatici e la qualità dell’aria che il Comitato delle Regioni dell’UE ha tenuto a Bologna nel 2014).

Valutazione economico-estimativa dei danni da calamità / Alessandra, Castellini; Alessandro, Ragazzoni. - STAMPA. - CXXXIV, V serie:(2015), pp. 411-426.

Valutazione economico-estimativa dei danni da calamità

CASTELLINI, ALESSANDRA;RAGAZZONI, ALESSANDRO
2015

Abstract

A tutt’oggi non esiste ancora un quadro completo sulle valutazioni economiche-estimative nel caso di calamità naturali, è un campo di studio e di ricerca che, da pochi anni, si va sviluppando in modo condiviso e partecipato. Ciò sembra incredibile se si pensa che, una delle caratteristiche basiche delle calamità naturali è il fatto di interessare vaste aree su scala mondiale, in tutti i continenti. Eppure, gli approcci e le metodologie di valutazione sono ancora in fase di discussione e di sviluppo, con rilevanti differenze tra loro e nella maggior parte dei casi generano risultati diversi rendendo difficoltosa l’emissione di dati e informazioni di stima corretti, precisi e soprattutto condivisi. In tal modo viene meno anche la possibilità di comparazioni tra indagini compiute in paesi diversi ovvero seguendo differenti metodi; allo stesso modo la mancanza di serie storiche e banche dati complete sul tema ostacola la conduzione di studi atti a rilevare aspetti comuni o di periodicità su tali eventi, utili poi per studiare eventuali piani di prevenzione. A rendere difficile lo studio di questo tema è anche la sua vastità: spesso le ricerche compiute fanno riferimento all’analisi economica solo di un singolo tipo di evento ovvero di una specifica area, tralasciando considerazioni di carattere più generale o trasversale. Da un punto di vista prettamente economico, la bibliografia a disposizione non è vastissima e spesso di carattere settoriale nell’affrontare la tematica, focalizzandosi di preferenza su di un evento in particolare e sugli aspetti ad esso relativi ovvero su di un territorio circoscritto e ben delineato. Difficile dunque rinvenire un quadro teorico e metodologico generale a cui fare riferimento nel momento in cui si decide di avviare una trattazione dell’argomento. Le metodologie e gli approcci di valutazione sono differenti tra loro, molti di essi suscitano ancora incertezze e perplessità e spesso danno risultati diversi rendendo difficile l’emissione di dati e informazioni di stima corretti e precisi. Peraltro, i risultati ottenuti in genere non sono tra loro comparabili. Il testo di riferimento da cui molte considerazioni riportate in questo scritto sono tratte, è un working paper del dicembre 2010, promosso dal World Bank Sustainable Development Network: S. Hallegatte e V. Przyluski (2010) “The economics of natural disasters. Concepts and methods”, Policy Research Working Paper 5507. Tale scritto, pur essendo sostanzialmente breve, ha il pregio di riprendere in mano la materia relativa all’analisi economica di una calamità con l’obiettivo di darne un quadro complessivo e trasversale, non focalizzato su un certo tipo di evento ovvero su di una specifica area geografica. Uno degli obiettivi è anzi quello di tracciare un sentiero comune da seguire per le analisi dei costi derivanti da large scale disasters. Tra l’altro, esso suggerisce ambiti di approfondimento e di studio piuttosto vasti su cui a tutt’oggi è sempre più importante lavorare: per esempio la ricerca, l’individuazione e l’applicazione di appropriati metodi e modelli valutativi. Attraverso l’analisi bibliografica compiuta, che non vuole certo vantare meriti di completezza, si nota una certa eterogeneità nel condurre studi e valutazioni in questo campo e la mancanza, evidenziata poi dallo stesso report della World Bank nonché da alcuni articoli internazionali in merito (Costanza, 2007; Okuyama, 2003), di una base teorica comune di partenza. Sono soprattutto gli aspetti economici quelli considerati dalla bibliografia, poiché l’estimo, ancora considerata da molti pratica esclusivamente professionale, presenta un supporto di studi e articoli accademici piuttosto povero. Da non sottovalutare il fatto che dati utili a condurre valutazioni possono essere desunti da riviste del settore immobiliare e assicurativo. Si cita il rapporto CRESME che a tutt’oggi rappresenta una fonte ufficiale abbastanza completa e aggiornata di informazioni in merito allo stato del territorio italiano, riportando anche dati economici relativi a tali eventi. Per tale motivo, in questo lavoro si è fatto abbondantemente ricorso a questa fonte e ai suoi contenuti. Il titolo del lavoro mette in evidenza la duplice natura della valutazione: si ritiene, infatti, che esaminando la questione relativa ai danni da calamità, contemporaneamente da un punto di vista economico e da uno estimativo si possano osservare e rilevare aspetti differenti, strettamente integrati tra loro, utili a tale proposito. Lo studio può essere condotto a livello micro (per es. danno e costi per la singola azienda) ma anche macro considerando il sistema economico nel suo insieme (per es. interruzione nella produzione di PIL, impatto su di un intero sistema economico in un’area/regione...). I due elementi sono strettamente collegati perché, quando un disastro naturale colpisce un’area, l’insieme delle unità colpite va a creare un vulnus nel flusso economico complessivo della regione nonché, in considerazione del fatto che non si tratta di sistemi isolati, ne risentono tutti i circuiti relazionali presenti in cui l’elemento colpito è coinvolto. Nell’analisi economica si dovrebbe concentrare sulla considerazione non solo delle rilevazioni legate ai costi (attenzione alla natura degli stessi, diretti e indiretti) ma anche sugli aspetti sociali coinvolti, le ripercussioni sul benessere della popolazione colpita. Naturalmente secondo un’ottica economica. Se si considera poi quanto sostiene Costanza «an economic system should allocate available resources in a way that equitably and efficiently provides for the sustainable well-being of people by protecting and investing in all four types of capital (built, natural, social and human capital)» (Costanza, 2007) si coglie il legame forte tra economia come allocazione di risorse e conseguente benessere sostenibile per la popolazione e la multidimensionalità del capitale, non solo in termini meramente produttivi. Per ciò che concerne l’estimo, esso è ormai riconosciuto come una disciplina di natura economica e non più solamente di carattere metodologico. Sosteneva Forte che «È proprio il trasporre le leggi economiche nel campo della logica estimativa a determinare una serie di principi e norme che possono non limitare l’estimo a sola metodologia, consentendo quindi di ammettere l’esistenza di una autonoma disciplina estimativa nella scienza economica» (Forte 1968). La bibliografia in merito si compone di numerosi manuali di teoria estimativa e documenti applicativi. È ancora abbastanza ridotto, invece, il numero di articoli e contributi scientifici in merito lasciando uno spazio decisamente più ampio a documentazione di tipo professionale. Peraltro risulta difficile una consultazione di fonti internazionali per le peculiarità che legano le pratiche estimative al territorio di riferimento. Oggetto del lavoro sono le valutazioni di danni da calamità naturali. La calamità (large scale disasters o disastri su larga scala) rappresentano un insieme di eventi molto differenti tra loro per modalità di manifestazione, effetti, periodicità, durata, la cui definizione si presenta alquanto complessa poiché coinvolge aspetti di natura estremamente eterogenea. Esso si declina in una serie estremamente differenziata e articolata di eventi, ciascuno portatore di proprie caratteristiche nell’origine, sviluppo e effetti finali che avranno ripercussione anche sull’analisi economica; tra questi: i terremoti, le alluvioni, le tempeste, gli uragani, i fenomeni di precipitazioni intense, la siccità e così via. Secondo Ball (1979) si definisce estremo l’evento a carico del sistema geofisico che manifesta valori che deviano significativamente dalla media a lungo termine. Il disastro naturale, invece, si può individuare come un rapido impatto dell’ambiente naturale sul sistema socio-economico umano che, a sua volta, non ha la capacità di rifletterlo, assorbirlo o respingerlo (White, 1974). Un tentativo di classificare tali eventi li divide in disastri a impatto brusco e a impatto lento (Alexander, 2008). I primi avvengono in un intervallo che può andare da pochi secondi a poche ore (un terremoto, una tromba d’aria), mentre i secondi hanno una durata prolungata nel tempo (mesi, anni e financo secoli come i fenomeni di erosione del suolo). Si sottolinea il fatto che la definizione di tali eventi si lega difficilmente ad una classe di magnitudo poiché anche un brevissimo evento potrebbe comportare un danno molto elevato se colpisce un’area particolarmente sensibile (Alexander, 2008). La collocazione geografica delle popolazioni umane e gli eventi geofisici determinano il rischio da calamità naturale (White, 1974). Le calamità naturali colpiscono, con frequenza difforme, aree estremamente diverse, in termini geografici e per caratteristiche ambientali ma anche in termini di livello di sviluppo sociale ed economico (elementi fondamentali in termini di capacità di recupero dopo un disastro naturale). Ne consegue che le ripercussioni generate a seguito dell’evento saranno estremamente differenziate da un territorio all’altro ma ciò non toglie che, per quanto un sistema sia in grado di assorbire o respingere l’impatto, subirà dei danni. Tra i paesi più colpiti, anche se i dati non sono recenti, si ricordano Cina, Indonesia, Bangladesh, Filippine, Perù (Alexander, 2008). L’impatto che i disastri su larga scala hanno sui paesi si differenzia decisamente sulla base del livello di sviluppo degli stessi. Secondo i dati della Banca Mondiale, a partire dal 1980 solo il 9% degli accadimenti calamitosi hanno riguardato paesi in via di sviluppo ma hanno fatto registrare quasi la metà (48%) delle perdite umane complessive per morti e dispersi (http://www.worldbank.org/). Anche in termini economici, l’effetto nei PVS è amplificato rispetto a quello dei paesi industrializzati: si è calcolato che l’impatto negativo sul GDPsia circa venti volte superiore nei primi rispetto a questi ultimi (http://www.worldbank.org/). Riconoscendo, dunque, il grave impatto che le calamità naturali hanno sui paesi in via di sviluppo (e quindi particolarmente vulnerabili con minore capacità di ripresa e ricostruzione), la Banca mondiale ha avviato una rete mondiale di supporto per fornire loro assistenza tecnica e finanziaria per la ripresa post-disastro ma anche per avviare politiche locali di prevenzione (The Global Facility for Disaster Reduction and Recovery o GFDRR). Secondo l’ONU, attualmente, ancora 1 miliardo di persone vive in zone ad alto rischio di alluvioni e si ipotizza che tale numero potrebbe raddoppiare entro il 2050. Nel 2013 i disastri naturali hanno provocato 22 mila vittime (di cui oltre un terzo nelle Filippine per un tifone) e danni alle cose per 119 miliardi di dollari (www.meteoweb.eu). Se confrontato, però, con la media del decennio precedente 93mila morti per disastri naturali quali alluvioni e siccità), l’anno 2013 registra un miglioramento (meno danni a persone e cose). Ciò non deve far pensare che tali eventi si possano classificare secondo un gradiente di periodicità poiché la loro distribuzione nel tempo è casuale. Anche nell’UE la situazione è ancora critica e preoccupante per l’entità delle perdite registrate: i morti dovuti a calamità naturali negli ultimi dieci anni sono stati circa 80 mila, con un danno alle cose stimato intorno ai 95 miliardi di euro (www.ansa.it riportando i dati della Conferenza sui cambiamenti climatici e la qualità dell’aria che il Comitato delle Regioni dell’UE ha tenuto a Bologna nel 2014).
2015
Accademia Nazionale dell'Agricoltura - Annali vol. CXXXIV
411
426
Valutazione economico-estimativa dei danni da calamità / Alessandra, Castellini; Alessandro, Ragazzoni. - STAMPA. - CXXXIV, V serie:(2015), pp. 411-426.
Alessandra, Castellini; Alessandro, Ragazzoni
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