Con la sentenza n. 118 del 2015, la Corte costituzionale ha preso posizione sulle due leggi con cui la Regione Veneto aveva indetto altrettanti referendum consultivi: uno (legge n. 15 del 2014) articolato in cinque quesiti, prodromico a successive iniziative legislative della regione, orientate a rivendicare per quest’ultima maggiore autonomia, soprattutto finanziaria ; l’altro (legge n. 16 del 2014), con un singolo quesito che interrogava gli elettori sulla loro volontà di fare del Veneto una repubblica indipendente e sovrana.A una prima lettura, la motivazione scorre fluida e lineare. In realtà, come lo scritto evidenzia, a fronte di una notevole chiarezza espositiva, numerosi sono gli spunti di interesse: in un certo senso, la stessa impostazione, piana e aderente ai dati positivi, pare sintomatica di un cambiamento metodologico rispetto ai precedenti, e segnala in particolare uno dei nodi sui quali questa nota richiama l’attenzione. Infatti la Corte, pur confermando, come si vede nello scritto, le conclusioni della giurisprudenza anteriore, e soprattutto della decisione n. 496 del 2000, dalle premesse teoriche di quest’ultima sembra voler prendere le distanze, segnando così una certa cesura. Altri punti degni di riflessione che emergono dalla sentenza riguardano: il presunto diritto alla autodeterminazione del popolo veneto; l’ambiguità del quesito referendario inaspettatamente ‘salvato’ dalla Corte; l’attenzione posta sull’art. 116, ultimo comma, Cost. ; la discrepanza tra i quesiti proposti e la ritrosia a perseguire la consultazione da parte della regione; il rilievo centrale che si riconosce allo statuto regionale; il rapporto con i precedenti della Corte; il primo tentativo di dare una definizione di referendum.
Tega, D. (2015). Venezia non è Barcellona. Una via italiana per le rivendicazioni di autonomia?. LE REGIONI, 5-6, 1141-1155 [10.1443/83520].
Venezia non è Barcellona. Una via italiana per le rivendicazioni di autonomia?
TEGA, DILETTA
2015
Abstract
Con la sentenza n. 118 del 2015, la Corte costituzionale ha preso posizione sulle due leggi con cui la Regione Veneto aveva indetto altrettanti referendum consultivi: uno (legge n. 15 del 2014) articolato in cinque quesiti, prodromico a successive iniziative legislative della regione, orientate a rivendicare per quest’ultima maggiore autonomia, soprattutto finanziaria ; l’altro (legge n. 16 del 2014), con un singolo quesito che interrogava gli elettori sulla loro volontà di fare del Veneto una repubblica indipendente e sovrana.A una prima lettura, la motivazione scorre fluida e lineare. In realtà, come lo scritto evidenzia, a fronte di una notevole chiarezza espositiva, numerosi sono gli spunti di interesse: in un certo senso, la stessa impostazione, piana e aderente ai dati positivi, pare sintomatica di un cambiamento metodologico rispetto ai precedenti, e segnala in particolare uno dei nodi sui quali questa nota richiama l’attenzione. Infatti la Corte, pur confermando, come si vede nello scritto, le conclusioni della giurisprudenza anteriore, e soprattutto della decisione n. 496 del 2000, dalle premesse teoriche di quest’ultima sembra voler prendere le distanze, segnando così una certa cesura. Altri punti degni di riflessione che emergono dalla sentenza riguardano: il presunto diritto alla autodeterminazione del popolo veneto; l’ambiguità del quesito referendario inaspettatamente ‘salvato’ dalla Corte; l’attenzione posta sull’art. 116, ultimo comma, Cost. ; la discrepanza tra i quesiti proposti e la ritrosia a perseguire la consultazione da parte della regione; il rilievo centrale che si riconosce allo statuto regionale; il rapporto con i precedenti della Corte; il primo tentativo di dare una definizione di referendum.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.