Le scelte normative, gli stili di governo e gli stessi orientamenti dei cittadini (in forma singola e associata) sembrano indicare, negli ultimi anni, una generalizzata tendenza ad accentuare l’importanza delle dimensione locale nelle dinamiche di organizzazione e riorganizzazione sociale. Il decentramento, tuttavia, non appare una novità assoluta nella storia dei governi occidentali e nella cosiddetta ‘Europa delle città’. Si può sostenere, infatti, che alla crisi di organizzazioni politiche di ampio raggio anche nel passato abbia fatto seguito una fase di recentrage dell’organizzazione sociale a livelli locali. Se si guarda allo specifico del sistema di welfare, si può assumere la sua trasformazione come uno dei fattori generali che, in molti Paesi, ha sollecitato il dispiegarsi di processi di decentramento. Lo Stato sociale, nella sua parabola di transizione e riforma, appare su scala europea come uno dei ‘luoghi’ della localizzazione delle politiche. Per venire alla realtà italiana, appare evidente come a partire dagli anni Novanta le autonomie locali si siano trovate al centro di una forte pressione al cambiamento istituzionale, assumendo un ruolo innovativo che si riallaccia al fermento riformistico degli anni Settanta, al cui interno si manifestò una forte attenzione alla territorializzazione delle politiche sociali e sanitarie e si definì il concetto di unità locale e di ‘distretto’, dando il via alla stagione programmatoria in concomitanza con l’approvazione della legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale. Se, tuttavia, trent’anni fa si poteva osservare il decentramento come completamento del progetto repubblicano democratico, oggi esso appare maggiormente come istanza riformistica dello Stato. La questione della localizzazione, peraltro, va ben oltre un discorso di ridefinizione dei poteri tutto interno al governo pubblico, ed anzi proprio nella emersione di pressioni, rivendicazioni e proposte provenienti dalla società civile (secondo codici sia di reciprocità sia di mercato) si rintraccia una delle direttrici più forti e pervasive del cambiamento. La curvatura verso la dimensione territoriale delle politiche chiama in causa il concetto di ‘società locale’, con il quale si fa riferimento all’esistenza di formazioni sociali specifiche che si differenziano l’una dall’altra non solo sul piano geografico, ma soprattutto per le proprie peculiari costellazioni economiche, demografiche, culturali e politiche. L’articolo prende in rassegna tendenze, dimensioni, problemi e opportunità della governance territoriale delle politiche sociali, analizzando vantaggi e i limiti di un punto di vista locale sul welfare e dedicando specifica attenzione alla pianificazione sociale di zona.
A. Martelli (2007). Verso una nuova governance locale delle politiche sociali?. AUTONOMIE LOCALI E SERVIZI SOCIALI, 1, 97-108.
Verso una nuova governance locale delle politiche sociali?
MARTELLI, ALESSANDRO
2007
Abstract
Le scelte normative, gli stili di governo e gli stessi orientamenti dei cittadini (in forma singola e associata) sembrano indicare, negli ultimi anni, una generalizzata tendenza ad accentuare l’importanza delle dimensione locale nelle dinamiche di organizzazione e riorganizzazione sociale. Il decentramento, tuttavia, non appare una novità assoluta nella storia dei governi occidentali e nella cosiddetta ‘Europa delle città’. Si può sostenere, infatti, che alla crisi di organizzazioni politiche di ampio raggio anche nel passato abbia fatto seguito una fase di recentrage dell’organizzazione sociale a livelli locali. Se si guarda allo specifico del sistema di welfare, si può assumere la sua trasformazione come uno dei fattori generali che, in molti Paesi, ha sollecitato il dispiegarsi di processi di decentramento. Lo Stato sociale, nella sua parabola di transizione e riforma, appare su scala europea come uno dei ‘luoghi’ della localizzazione delle politiche. Per venire alla realtà italiana, appare evidente come a partire dagli anni Novanta le autonomie locali si siano trovate al centro di una forte pressione al cambiamento istituzionale, assumendo un ruolo innovativo che si riallaccia al fermento riformistico degli anni Settanta, al cui interno si manifestò una forte attenzione alla territorializzazione delle politiche sociali e sanitarie e si definì il concetto di unità locale e di ‘distretto’, dando il via alla stagione programmatoria in concomitanza con l’approvazione della legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale. Se, tuttavia, trent’anni fa si poteva osservare il decentramento come completamento del progetto repubblicano democratico, oggi esso appare maggiormente come istanza riformistica dello Stato. La questione della localizzazione, peraltro, va ben oltre un discorso di ridefinizione dei poteri tutto interno al governo pubblico, ed anzi proprio nella emersione di pressioni, rivendicazioni e proposte provenienti dalla società civile (secondo codici sia di reciprocità sia di mercato) si rintraccia una delle direttrici più forti e pervasive del cambiamento. La curvatura verso la dimensione territoriale delle politiche chiama in causa il concetto di ‘società locale’, con il quale si fa riferimento all’esistenza di formazioni sociali specifiche che si differenziano l’una dall’altra non solo sul piano geografico, ma soprattutto per le proprie peculiari costellazioni economiche, demografiche, culturali e politiche. L’articolo prende in rassegna tendenze, dimensioni, problemi e opportunità della governance territoriale delle politiche sociali, analizzando vantaggi e i limiti di un punto di vista locale sul welfare e dedicando specifica attenzione alla pianificazione sociale di zona.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.