L’intervento anticipa alcune delle riflessioni che saranno sviluppate nel saggio introduttivo ad un repertorio, in fase di conclusione, dei più di 400 esemplari delle edizioni aretiniane del XVI e XVII secolo oggi conservati nelle biblioteche di Francia. L’obiettivo di una ricerca ormai decennale su "Ciò che resta di un naufragio" era di stabilire, a fronte di un fenomeno editoriale indubitabilmente significativo, il quoziente di veridicità delle testimonianze del tempo; era di capire quali opere avessero effettivamente avuto tra le mani i lettori della Francia di Ancien Régime. Non esistevano a nostra conoscenza studi sulla «fortuna concreta» dell’autore italiano: guardare dentro quei libri significava non solo avere un’idea più precisa di quando essi fossero effettivamente entrati nel territorio francese, dando così un volto ai loro possessori, ma anche vedere poi se e come questi li avessero effettivamente letti. E in effetti le tracce rimaste si sono rivelate sufficienti per intravedere il momento in cui gli addetti ai lavori cinque-seicenteschi – letterati (i Des Gouttes, i Tamisier, gli Huet, i Maynard) o eruditi che essi fossero (citiamo per tutti i fratelli Dupuy) – vengono sostituiti dagli Hoym e dai Méjanes, o quello in cui i membri più influenti della nobiltà di toga e dell’alto clero, che avevano costituito i ceti più colti della società, lasciano il posto al banchiere André, all’agente di cambio Cigongne, o ad oscuri politici e amministratori. E questo anche se non è compito facile, fosse solo perché non sempre gli interventi sono sufficientemente numerosi, o non sempre si conosce a sufficienza il lettore da poter trarre delle conclusioni significative; anche se, insomma, molte questioni sono destinate a rimanere aperte.

Pietro Aretino nelle biblioteche di Francia. Riflessioni su una ricerca in corso

CONCONI, BRUNA
2017

Abstract

L’intervento anticipa alcune delle riflessioni che saranno sviluppate nel saggio introduttivo ad un repertorio, in fase di conclusione, dei più di 400 esemplari delle edizioni aretiniane del XVI e XVII secolo oggi conservati nelle biblioteche di Francia. L’obiettivo di una ricerca ormai decennale su "Ciò che resta di un naufragio" era di stabilire, a fronte di un fenomeno editoriale indubitabilmente significativo, il quoziente di veridicità delle testimonianze del tempo; era di capire quali opere avessero effettivamente avuto tra le mani i lettori della Francia di Ancien Régime. Non esistevano a nostra conoscenza studi sulla «fortuna concreta» dell’autore italiano: guardare dentro quei libri significava non solo avere un’idea più precisa di quando essi fossero effettivamente entrati nel territorio francese, dando così un volto ai loro possessori, ma anche vedere poi se e come questi li avessero effettivamente letti. E in effetti le tracce rimaste si sono rivelate sufficienti per intravedere il momento in cui gli addetti ai lavori cinque-seicenteschi – letterati (i Des Gouttes, i Tamisier, gli Huet, i Maynard) o eruditi che essi fossero (citiamo per tutti i fratelli Dupuy) – vengono sostituiti dagli Hoym e dai Méjanes, o quello in cui i membri più influenti della nobiltà di toga e dell’alto clero, che avevano costituito i ceti più colti della società, lasciano il posto al banchiere André, all’agente di cambio Cigongne, o ad oscuri politici e amministratori. E questo anche se non è compito facile, fosse solo perché non sempre gli interventi sono sufficientemente numerosi, o non sempre si conosce a sufficienza il lettore da poter trarre delle conclusioni significative; anche se, insomma, molte questioni sono destinate a rimanere aperte.
2017
"Parce que c'estoit luy...". Studi sul Cinquecento in memoria di Michel Simonin
1
13
Conconi, Bruna
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