Avvicinarsi ai materiali audiovisivi ha sempre creato una sorta di imbarazzo tra il corpo docente. In particolare, l’inserimento di prodotti multimediali quali lungometraggi, fiction, clip musicali o notiziari televisivi all’interno dei corsi di lingua attraverso una ponderata programmazione didattica ha sovente spiazzato chi era in evidente deficit tecnologico o chi, invece, era obbligato a dover procedere con sollecitudine nell’insegnamento linguistico rispettando sillabi grammatico-centrici e/o poveri di riferimenti socioculturali. Tuttavia, come ricordava in una sua pubblicazione recente Giovanni Bonaiuti (2010), pur rimanendo nell’ottica di un’accurata programmazione, didattizzazione e organizzazione delle attività di classe, prima o poi sarà necessario confrontarsi con l’audiovisivo. Soprattutto ponendo attenzione a non “svilire” l’intervento multimediale rendendolo solo un simpatico diversivo dalla routine delle lezioni di lingua. A conferma di ciò, va ricordato come negli ultimi anni ricerche e teorie sulla didattica multimediale provenienti da vari ambiti disciplinari (principalmente dalla neurolinguistica, glottodidattica, linguistica applicata, didattologia delle lingueculture, multimedia, cultural e translation studies) abbiano dimostrato quanto sia necessario rimanere al passo coi tempi. Soprattutto con quelli dei nostri apprendenti i quali, lungi dal dipendere come in passato dal manuale di lingua e dalla sola interazione col docente, sono oggi coinvolti in un inesauribile network informativo che sempre di più li coinvolge affettivamente nel proprio quotidiano: nella veste di nativi digitali, infatti, questi sembrano indirizzarsi sempre più verso il canale multimediale al fine di selezionare i propri modelli linguistici di riferimento. Come ricorda Cristiana Cervini in un suo attualissimo studio, oggi le angolazioni e i punti di vista della didattica si moltiplicano, le competenze e i ruoli si intersecano (2015: 18). Ciò perché l’apprendimento formale in aula si incrocia inevitabilmente con l’educazione informale che scaturisce dall’incontro virtuale e spontaneo con la rete dove prendono vita nuovi scenari pedagogici, nonché inaspettate modalità di interazione volte a promuovere non solo l’acquisizione delle conoscenze, ma anche il multilinguismo e l’apprendimento delle lingue straniere. Tuttavia, come si suggerisce in questo studio, così come fruizione non è sempre sinonimo di apprendimento, analogamente, autoapprendimento non sarà sinonimo di autonomia. Non a caso, come sottolinea la suddetta studiosa, sono rari i casi in cui gli studenti in autoapprendimento dispongono davvero delle modalità, della consapevolezza e delle strategie per essere definiti apprendenti autonomi (ibidem, 19). Questo perché sebbene la rete li esponga a numerosi input sociolinguistici, la divaricazione tra questi ultimi ed un effettivo intake rappresenta un reale problema nell’ambito delle loro frequentazioni spontanee in Internet. Nei suoi studi precedenti, l’autore ha già sottolineato come il coinvolgimento virtuale sia oggi sempre più legato ad una fruizione multisensoriale e multimediale che assegna alla rete il ruolo di fonte principale di materiali per l’(auto)apprendimento. Nel caso del giapponese, tale frequentazione rappresenta quasi un passo obbligato, data la lontananza geografica e socioculturale con la suddetta lingua, nonché il successo di quei fenomeni tipici della JCulture (manga, animazioni, cinema, dorama) che maggiormente interessano i nostri studenti. Ecco quindi, che oltre al mero apprendimento linguistico formale, il contatto con i materiali multimediali autentici si rivela oggi di fondamentale importanza per la conoscenza delle società oggetto di studio, nonché per gli impliciti culturali che spesso si sviluppano all’interno dei riti linguistici in esse contenuti. Tali competenze, già poste in risalto dal Q.C.E.R. tramite i concetti di ricezione audiovisiva e competenza sociopragmatica, dovrebbero difatti contribuire alla formazione del cosiddetto intercultural speaker, ovvero di quel soggetto sociale capace di poter gestire autonomamente in una prospettiva interlinguistica le variabili contestuali della lingua, il ruolo dei parlanti, le intenzioni comunicative, nonché le situazioni extra e paraverbali che si producono nell’oralità. La formazione dello intercultural speaker, alla quale si auspica attraverso le attività didattiche presentate in questo studio, rimane altresì in linea con i principi della competenza comunicativa, poiché attraverso l’interazione con prototesti multimediali autentici e la relativa attività di traduzione e sottotitolazione, gli apprendenti hanno la possibilità di decifrare, a titolo di esempio, le regole di cortesia della cultura source, gli impliciti pragmatici in questa contenuti, gli stereotipi culturali, confrontandosi altresì con lo humour da questa scaturito. Come ricorda sempre Cervini, la competenza linguistica formale non è che un piccolo tassello della competenza comunicativa che si esplicita, invece, in competenza metalinguistica, sociolinguistica, strategica, discorsiva, paralinguistica, extralinguistica, culturale e interculturale (2015:76). Spostandosi poi in una prospettiva interculturale e prendendo a prestito una terminologia coniata da Hoefstede (2002), si potrebbe sottolineare come oggi l’esposizione al multimediale autentico permetta agli apprendenti di poter entrare in contatto privilegiato non solo con i software of the mind, ovvero l’insieme delle regole culturali che regolano la comunicazione linguistica, ma anche con i software di comunicazione, ossia l’insieme di tutti quegli aspetti pragmatici che si accompagnano al linguaggio. Qualora si volesse, invece, ricorrere ad una terminologia affine coniata da Balboni-Caon (2015), si potrebbe altresì definire la suddetta competenza interculturale come la somma dell’analisi delle ways of thinking (cioè, del modo di pensare interno alle varie culture) e delle ways of life (comportamenti ed abitudini scaturiti dalle specificità culturali che si manifestano nella vita quotidiana). Presentando gli esiti delle ricerche sviluppate dall’autore nell’ambito di un laboratorio monografico di traduzione audiovisiva per apprendenti di lingua giapponese di livello magistrale svoltosi presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia dall’anno accademico 2011/12, questo volume intende focalizzarsi sulla teoria della sottotitolazione audiovisiva nonché sulle declinazioni didattiche in aula della sottotitolazione di lungometraggi giapponesi contemporanei. Da una prospettiva organizzativa, il modello di interazione proposto durante il laboratorio ha cercato di attenuare l’attuale divario tra il fare dell’apprendente contemporaneo e quello del docente in contesto di apprendimento formale attraverso un approccio aperto “a geometria variabile” che potesse intersecare le modalità percettive preferenziali degli apprendenti (quali l’interazione in gruppo, l’utilizzo del computer e di software per la sottotitolazione) con le necessità di ricerca e sperimentazione del docente. Grazie all’esposizione ai suddetti prodotti multimediali, è emersa con chiarezza l’esigenza di dover guidare gli apprendenti in un processo di osservazione che prendesse in considerazione non solo la lingua, ma anche gli elementi della cinesica (quindi lo studio dei gesti, delle espressioni e dello eye-contact), della prossemica, della vestemica, dell’oggettemica, nonché di tutti quei fenomeni socioculturali che si attestano in determinati momenti nella vita di una data società (mode, personaggi e/o prodotti di successo). In particolare, al fine di risultare efficace, l’approccio didattico e di ricerca, oltre a fondarsi sulle teorie classiche della glottodidattica e della traduzione audiovisiva, ha inteso ispirarsi anche agli studi della Intercultural Foreign Language Education che ha recentemente contribuito a raffinare le suddette tematiche . Come suggerisce anche Borghetti a questo proposito: “(…) reflection on how this didactic practice can be used to better promote the development of students’ cultural and intercultural awareness seems necessary at this time of broad consensus on the idea that foreign language learning must provide the opportunity to approach a foreign culture and, more importantly, to develop intercultural knowledge, attitudes and skills. (…) in parallel with these objectives , the main content that IFLE students must acquire beyond the linguistic code per se, is a method of observation and cultural inquiry equally applicable to both the foreign culture and their own culture. ” (in Incalcaterra McKoughlin, Biscio, Ní Mhainnín, pp. 112, 115, 2011). Dalla suddetta citazione, è interessante estrapolare la dicitura “method of observation”. Questo perché, come anticipato, un’attenta intermediazione linguistica e interculturale non potrà ridurre il processo di apprendimento ad una mera acquisizione di modelli sintattico-grammaticali di stampo strutturalista-formalista, quanto basarsi, piuttosto, su di un modello apprenditivo del tipo proattivo basato sui concetti di learning by doing, learning by reflection e case-based learning. Non a caso, attraverso attività incentrate sull’estrema verosimiglianza delle task che coinvolgano e responsabilizzino i discenti rendendoli protagonisti dell’apprendimento, è possibile osservare con maggior profitto le lingueculture (languaculture) oggetto di studio entrando direttamente nel loro tessuto sociolinguistico. A questo proposito, come già illustrato dall’autore in studi recenti, l’osservazione che scaturisce dal contatto con la multimedialità si sviluppa sempre su due binari paralleli ma mai disgiunti, ovvero: l’osservazione specifica della lingua, nonché l’esplorazione di quei macro aspetti culturali che ho personalmente definito “oltre la lingua”. La prima include l’analisi dei generi comunicativi, delle strutture grammatico-sintattico-lessicali, delle realtà paralinguistiche, nonché delle variazioni (soprattutto la diastratia, la diafasia e la diatopia) la cui comprensione rende la traduzione interlinguistica ostica per i nostri apprendenti. La seconda, invece, si concentrerà essenzialmente su quei sottintesi culturali che si palesano negli elementi extraverbali, pragmatici e di costume che tanto si riflettono sulla qualità della sintesi culturale. Come già illustrato ampiamente nella letteratura degli Intercultural Foreign Language Education, il momento dell’osservazione interculturale si tramuterà in comprensione solo se gli apprendenti potranno sublimare il mero stadio traduttivo per giungere ad una prima decodifica degli elementi sociolinguistici della linguacultura source e, successivamente, ad una ricodifica di questi nella linguacultura target. Come suggerisce Borghetti (ibidem), la complessità dell’operazione sarà tale da permettere un parallelismo tra operazioni traduttive e i princìpi della IFLE poiché analoghe saranno le responsabilità che i discenti/sottotitolatori e i mediatori interculturali dovranno farsi carico. Tra queste: l’investigazione obiettiva dei testi prodotti dalla cultura source, la necessità di un approccio olistico a questi al fine di garantire il passaggio comunicativo, la presa di coscienza dei vincoli esistenti tra testo e cultura. Al fine di ottimizzare il suddetto processo di osservazione, il cinema si rivela uno strumento straordinario. Innanzitutto per la sua immediatezza audiovisiva. Successivamente, per la leva affettiva che innesca ogniqualvolta vengono proposte attività di sottotitolazione. Attività, queste, che si rivelano strategiche al fine di sfruttare al massimo le preconoscenze e le competenze linguistiche già in possesso dei discenti. Portando la simulazione all’estremo, infatti, sarà possibile responsabilizzarli creando un momento apprenditivo di inestimabile crescita e soddisfazione. Una crescita che sarà spesso inconscia e autogenerata e che potrà essere paragonata al sentimento della scoperta. Una scoperta che si rivelerà profonda ed incisiva proprio perché scaturita dall’osservazione della complessità semiotica dei testi con i quali si entrerà in contatto. Da una prospettiva operativa, nella seguente ricerca sono stati selezionati prodotti filmici recenti o addirittura recentissimi della produzione giapponese con particolare attenzione verso i generi della commedia e dei film drammatici che potessero incontrare sia l’interesse dei discenti verso i fenomeni contemporanei della cultura giapponese, sia le esigenze didattiche e di apprendimento legate al corso. Al fine di non diluire il sentimento di novità e l’interesse mediatico veicolati dai lungometraggi proposti, sono stati inseriti prodotti che presentassero quegli elementi linguistici necessari alla trattazione in aula (l’utilizzo della lingua giapponese standard e di un linguaggio poco marcato dal punto di vista gergale) limitando, invece, al minimo quelli recanti fenomeni linguistici complessi quali il code shifting o il code mixing. Tranne che per i suddetti accorgimenti strategici ai fini della programmazione didattica, i lungometraggi trattati non hanno passato ulteriori filtri e l’analisi che ne è scaturita è stata essenzialmente frutto dell’attività di gruppo organizzata in classe nonché di una realistic language experience , ovvero di un contatto diretto dei discenti con gli script e l’intera cornice culturale insita nei film proposti. Difatti, attraverso un modulo di lezione di tipo collaborativo, è stato possibile affrontare con dovizia di particolari le varie problematiche di traduzione che si proponevano durante l’attività affrontando i lungometraggi senza una necessaria preventivazione delle difficoltà e facendosi carico degli elementi di novità insiti nelle task attraverso il rapporto instauratosi tra i gruppi di lavoro ed il docente. Di certo, la variabile della “sorpresa” ha contribuito a rendere l’ambiente di apprendimento maggiormente informale e più incline ad un atteggiamento di problem solving che ha facilitato non di poco le operazioni didattiche. Tale esperienza ha rivelato, quindi, che è possibile stemperare la classica “paura” di misurarsi con un prodotto linguistico autoctono attraverso il rapporto con i propri pari e grazie ad una costruzione delle conoscenze necessariamente partecipativa che ha scardinato il classico rapporto formale docente-discente andando ad influire altresì sulla qualità dei flussi comunicativi all’interno del nuovo spazio-classe. Un ultimo riferimento alla traduzione è d’obbligo. Si è spesso criticata la traduzione passiva considerandola uno strumento cognitivo obsoleto e poco consono ai nuovi ambienti di apprendimento. Nonostante ciò, negli ultimi anni la letteratura di settore (ed in particolare quella audiovisiva) mostra come ci si possa riappropriare dello strumento traduttivo al fine di stimolare i processi di inferenza e di osservazione linguistica. Ciò perché sia a livello micro che macrolinguistico, la traduzione rappresenta una situazione di contatto che ben esemplifica la realtà del mondo contemporaneo dove le lingue oggetto di studio e i relativi parlanti/apprendenti possono rimanere a stretto contatto nonostante le distanze fisiche (Pavesi-Freddi, 2009: 12). Come suggeriscono anche gli studi di David Atkinson (1987), la traduzione rimane una delle strategie preferite dagli apprendenti per incamerare lessico e strutture sintattiche in maniera autonoma nonché un aspetto inevitabile dell’acquisizione della L2. Oltre a ciò, come ricorda Incalcaterra (2011), l’odierna sfida della traduzione interlinguistica consisterà nello shiftare da un modello traduttivo chiuso e autoreferenziale verso un più ampio contesto comunicativo dove l’elemento verbale venga rafforzato ed integrato dalla più vasta cornice multisemiotica. Tale attività traduttiva, infatti, non dovrà mai puntare alla mera produzione di sottotitoli ineccepibili, quanto piuttosto a stimolare una presa di coscienza di tutti gli elementi che contribuiscono alla formazione dei significati giungendo all’interiorizzazione delle strutture e delle espressioni presenti nella lingua source. Indubbiamente, tale obiettivo può essere raggiunto solo attraverso un approccio didattico interdisciplinare che ponga gli apprendenti nella posizione di poter produrre sottotitoli interlinguistici ben organizzati da poter eventualmente sfruttare in futuri ambiti lavorativi. Ecco allora che la base teorica offerta dagli studi sulla traduzione audiovisiva di Gambier, Gottlieb, Lomheim, Perego, Díaz-Cintas e Taylor, nonché gli accorgimenti tecnici che a questi si accompagnano divengono utili alleati per condurre i discenti in un processo di apprendimento basato su di un modello simulativo più coinvolgente e mirato all’ottenimento di precisi obiettivi extralinguistici (condivisione del prodotto sottotitolato con i pari, in rete, in contesti professionali, o all’interno di altre comunità di studio). Per raggiungere questo fine, sarà dunque fondamentale porre una distanza (che è spesso “affettiva” per i nostri apprendenti) tra la traduzione interlinguistica ad hoc e la cosiddetta pratica amatoriale fansubbing che sovente rischia di apparire come una traduzione “corretta” o, peggio ancora, “creativa”. Come già illustrato dall’autore in studi recenti, risulterà fondamentale chiarire ai discenti le differenze qualitative tra queste due tipologie traduttive. Ciò per tre motivi: 1. Al fine di renderli coscienti del know-how tecnico che andranno ad acquisire durante il percorso di apprendimento con il docente; 2. Per illustrare loro la mancanza di riferimenti teorici tipica del fansubbing (si pensi alle teorie del Multimedia Learning e del carico cognitivo, ad esempio) essenziali, invece, per una corretta collocazione dei titoli e dei sottotitoli sullo schermo; 3. Per responsabilizzarli nella traduzione senza ricorrere a traduzioni “calco” ottenute attraverso l’intermediazione di una terza lingua (sovente l’inglese) . Di conseguenza, facendo leva sul già citato interesse dei discenti di lingua giapponese per i prodotti audiovisivi contemporanei e attraverso un’attività didattica incentrata sulla sottotitolazione interlinguistica dei lungometraggi, sarà possibile stimolare ulteriormente gli apprendenti nella fruizione di tali materiali e raggiungere in contemporanea sia gli obiettivi di tipo linguistico che il corso di lingua si prefigge, sia un livello di know how tecnico da poter riutilizzare in futuri contesti lavorativi. ・・・ Il presente volume intende indirizzarsi sia a studiosi che ad apprendenti di lingua giapponese coinvolti nella pratica della sottotitolazione ed è organizzato in due macrosezioni con appendice finale: la prima intende presentare l’impianto teorico degli audiovisual translation studies nonché i contributi che i maggiori studiosi del settore hanno apportato a questa branca di studi. I primi paragrafi, in particolare, si pongono l’obiettivo di fornire una precisa definizione di testo audiovisivo nonché di guidare il lettore nelle caratteristiche tecniche di inserimento dei sottotitoli illustrando. Successivamente, grazie al supporto di dati raccolti dall’autore nell’ambito della propria attività di ricerca, vengono presentati alcuni spunti di riflessione sulle problematiche lessicali e verbali nell’ambito della sottotitolazione interlinguistica della coppia giapponese-italiano per la quale non esistono ancora studi specifici in merito. Nella seconda sezione sono analizzate alcune scene estrapolate dai lungometraggi trattati all’interno del laboratorio magistrale di sottotitolazione diretto dall’autore presso l’università Ca’ Foscari. Per ogni lungometraggio saranno proposte le trame e i contesti macro-sociali di riferimento (setting) seguiti da brevi analisi di sequenze sottotitolate presentate su due piani paralleli: il piano intralinguistico delle captions che intende presentare le eventuali tematiche linguistiche da trattare in ambito didattico (intra), ed un piano traduttivo interlinguistico (inter) che si concentra sugli elementi verbali e sociolinguistici ai fini della creazione dei sottotitoli (subtitles). L’appendice finale presenta, invece, i sottotitoli integrali del lungometraggio Air Doll (2009) del regista giapponese Koreeda Hirokazu così come elaborati dagli apprendenti del laboratorio di traduzione audiovisiva magistrale di Ca’ Foscari.

Vitucci, F. (2016). Ciak! Si sottotitola - Traduzione audiovisiva e didattica del giapponese. Bologna : Clueb.

Ciak! Si sottotitola - Traduzione audiovisiva e didattica del giapponese

VITUCCI, FRANCESCO
2016

Abstract

Avvicinarsi ai materiali audiovisivi ha sempre creato una sorta di imbarazzo tra il corpo docente. In particolare, l’inserimento di prodotti multimediali quali lungometraggi, fiction, clip musicali o notiziari televisivi all’interno dei corsi di lingua attraverso una ponderata programmazione didattica ha sovente spiazzato chi era in evidente deficit tecnologico o chi, invece, era obbligato a dover procedere con sollecitudine nell’insegnamento linguistico rispettando sillabi grammatico-centrici e/o poveri di riferimenti socioculturali. Tuttavia, come ricordava in una sua pubblicazione recente Giovanni Bonaiuti (2010), pur rimanendo nell’ottica di un’accurata programmazione, didattizzazione e organizzazione delle attività di classe, prima o poi sarà necessario confrontarsi con l’audiovisivo. Soprattutto ponendo attenzione a non “svilire” l’intervento multimediale rendendolo solo un simpatico diversivo dalla routine delle lezioni di lingua. A conferma di ciò, va ricordato come negli ultimi anni ricerche e teorie sulla didattica multimediale provenienti da vari ambiti disciplinari (principalmente dalla neurolinguistica, glottodidattica, linguistica applicata, didattologia delle lingueculture, multimedia, cultural e translation studies) abbiano dimostrato quanto sia necessario rimanere al passo coi tempi. Soprattutto con quelli dei nostri apprendenti i quali, lungi dal dipendere come in passato dal manuale di lingua e dalla sola interazione col docente, sono oggi coinvolti in un inesauribile network informativo che sempre di più li coinvolge affettivamente nel proprio quotidiano: nella veste di nativi digitali, infatti, questi sembrano indirizzarsi sempre più verso il canale multimediale al fine di selezionare i propri modelli linguistici di riferimento. Come ricorda Cristiana Cervini in un suo attualissimo studio, oggi le angolazioni e i punti di vista della didattica si moltiplicano, le competenze e i ruoli si intersecano (2015: 18). Ciò perché l’apprendimento formale in aula si incrocia inevitabilmente con l’educazione informale che scaturisce dall’incontro virtuale e spontaneo con la rete dove prendono vita nuovi scenari pedagogici, nonché inaspettate modalità di interazione volte a promuovere non solo l’acquisizione delle conoscenze, ma anche il multilinguismo e l’apprendimento delle lingue straniere. Tuttavia, come si suggerisce in questo studio, così come fruizione non è sempre sinonimo di apprendimento, analogamente, autoapprendimento non sarà sinonimo di autonomia. Non a caso, come sottolinea la suddetta studiosa, sono rari i casi in cui gli studenti in autoapprendimento dispongono davvero delle modalità, della consapevolezza e delle strategie per essere definiti apprendenti autonomi (ibidem, 19). Questo perché sebbene la rete li esponga a numerosi input sociolinguistici, la divaricazione tra questi ultimi ed un effettivo intake rappresenta un reale problema nell’ambito delle loro frequentazioni spontanee in Internet. Nei suoi studi precedenti, l’autore ha già sottolineato come il coinvolgimento virtuale sia oggi sempre più legato ad una fruizione multisensoriale e multimediale che assegna alla rete il ruolo di fonte principale di materiali per l’(auto)apprendimento. Nel caso del giapponese, tale frequentazione rappresenta quasi un passo obbligato, data la lontananza geografica e socioculturale con la suddetta lingua, nonché il successo di quei fenomeni tipici della JCulture (manga, animazioni, cinema, dorama) che maggiormente interessano i nostri studenti. Ecco quindi, che oltre al mero apprendimento linguistico formale, il contatto con i materiali multimediali autentici si rivela oggi di fondamentale importanza per la conoscenza delle società oggetto di studio, nonché per gli impliciti culturali che spesso si sviluppano all’interno dei riti linguistici in esse contenuti. Tali competenze, già poste in risalto dal Q.C.E.R. tramite i concetti di ricezione audiovisiva e competenza sociopragmatica, dovrebbero difatti contribuire alla formazione del cosiddetto intercultural speaker, ovvero di quel soggetto sociale capace di poter gestire autonomamente in una prospettiva interlinguistica le variabili contestuali della lingua, il ruolo dei parlanti, le intenzioni comunicative, nonché le situazioni extra e paraverbali che si producono nell’oralità. La formazione dello intercultural speaker, alla quale si auspica attraverso le attività didattiche presentate in questo studio, rimane altresì in linea con i principi della competenza comunicativa, poiché attraverso l’interazione con prototesti multimediali autentici e la relativa attività di traduzione e sottotitolazione, gli apprendenti hanno la possibilità di decifrare, a titolo di esempio, le regole di cortesia della cultura source, gli impliciti pragmatici in questa contenuti, gli stereotipi culturali, confrontandosi altresì con lo humour da questa scaturito. Come ricorda sempre Cervini, la competenza linguistica formale non è che un piccolo tassello della competenza comunicativa che si esplicita, invece, in competenza metalinguistica, sociolinguistica, strategica, discorsiva, paralinguistica, extralinguistica, culturale e interculturale (2015:76). Spostandosi poi in una prospettiva interculturale e prendendo a prestito una terminologia coniata da Hoefstede (2002), si potrebbe sottolineare come oggi l’esposizione al multimediale autentico permetta agli apprendenti di poter entrare in contatto privilegiato non solo con i software of the mind, ovvero l’insieme delle regole culturali che regolano la comunicazione linguistica, ma anche con i software di comunicazione, ossia l’insieme di tutti quegli aspetti pragmatici che si accompagnano al linguaggio. Qualora si volesse, invece, ricorrere ad una terminologia affine coniata da Balboni-Caon (2015), si potrebbe altresì definire la suddetta competenza interculturale come la somma dell’analisi delle ways of thinking (cioè, del modo di pensare interno alle varie culture) e delle ways of life (comportamenti ed abitudini scaturiti dalle specificità culturali che si manifestano nella vita quotidiana). Presentando gli esiti delle ricerche sviluppate dall’autore nell’ambito di un laboratorio monografico di traduzione audiovisiva per apprendenti di lingua giapponese di livello magistrale svoltosi presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia dall’anno accademico 2011/12, questo volume intende focalizzarsi sulla teoria della sottotitolazione audiovisiva nonché sulle declinazioni didattiche in aula della sottotitolazione di lungometraggi giapponesi contemporanei. Da una prospettiva organizzativa, il modello di interazione proposto durante il laboratorio ha cercato di attenuare l’attuale divario tra il fare dell’apprendente contemporaneo e quello del docente in contesto di apprendimento formale attraverso un approccio aperto “a geometria variabile” che potesse intersecare le modalità percettive preferenziali degli apprendenti (quali l’interazione in gruppo, l’utilizzo del computer e di software per la sottotitolazione) con le necessità di ricerca e sperimentazione del docente. Grazie all’esposizione ai suddetti prodotti multimediali, è emersa con chiarezza l’esigenza di dover guidare gli apprendenti in un processo di osservazione che prendesse in considerazione non solo la lingua, ma anche gli elementi della cinesica (quindi lo studio dei gesti, delle espressioni e dello eye-contact), della prossemica, della vestemica, dell’oggettemica, nonché di tutti quei fenomeni socioculturali che si attestano in determinati momenti nella vita di una data società (mode, personaggi e/o prodotti di successo). In particolare, al fine di risultare efficace, l’approccio didattico e di ricerca, oltre a fondarsi sulle teorie classiche della glottodidattica e della traduzione audiovisiva, ha inteso ispirarsi anche agli studi della Intercultural Foreign Language Education che ha recentemente contribuito a raffinare le suddette tematiche . Come suggerisce anche Borghetti a questo proposito: “(…) reflection on how this didactic practice can be used to better promote the development of students’ cultural and intercultural awareness seems necessary at this time of broad consensus on the idea that foreign language learning must provide the opportunity to approach a foreign culture and, more importantly, to develop intercultural knowledge, attitudes and skills. (…) in parallel with these objectives , the main content that IFLE students must acquire beyond the linguistic code per se, is a method of observation and cultural inquiry equally applicable to both the foreign culture and their own culture. ” (in Incalcaterra McKoughlin, Biscio, Ní Mhainnín, pp. 112, 115, 2011). Dalla suddetta citazione, è interessante estrapolare la dicitura “method of observation”. Questo perché, come anticipato, un’attenta intermediazione linguistica e interculturale non potrà ridurre il processo di apprendimento ad una mera acquisizione di modelli sintattico-grammaticali di stampo strutturalista-formalista, quanto basarsi, piuttosto, su di un modello apprenditivo del tipo proattivo basato sui concetti di learning by doing, learning by reflection e case-based learning. Non a caso, attraverso attività incentrate sull’estrema verosimiglianza delle task che coinvolgano e responsabilizzino i discenti rendendoli protagonisti dell’apprendimento, è possibile osservare con maggior profitto le lingueculture (languaculture) oggetto di studio entrando direttamente nel loro tessuto sociolinguistico. A questo proposito, come già illustrato dall’autore in studi recenti, l’osservazione che scaturisce dal contatto con la multimedialità si sviluppa sempre su due binari paralleli ma mai disgiunti, ovvero: l’osservazione specifica della lingua, nonché l’esplorazione di quei macro aspetti culturali che ho personalmente definito “oltre la lingua”. La prima include l’analisi dei generi comunicativi, delle strutture grammatico-sintattico-lessicali, delle realtà paralinguistiche, nonché delle variazioni (soprattutto la diastratia, la diafasia e la diatopia) la cui comprensione rende la traduzione interlinguistica ostica per i nostri apprendenti. La seconda, invece, si concentrerà essenzialmente su quei sottintesi culturali che si palesano negli elementi extraverbali, pragmatici e di costume che tanto si riflettono sulla qualità della sintesi culturale. Come già illustrato ampiamente nella letteratura degli Intercultural Foreign Language Education, il momento dell’osservazione interculturale si tramuterà in comprensione solo se gli apprendenti potranno sublimare il mero stadio traduttivo per giungere ad una prima decodifica degli elementi sociolinguistici della linguacultura source e, successivamente, ad una ricodifica di questi nella linguacultura target. Come suggerisce Borghetti (ibidem), la complessità dell’operazione sarà tale da permettere un parallelismo tra operazioni traduttive e i princìpi della IFLE poiché analoghe saranno le responsabilità che i discenti/sottotitolatori e i mediatori interculturali dovranno farsi carico. Tra queste: l’investigazione obiettiva dei testi prodotti dalla cultura source, la necessità di un approccio olistico a questi al fine di garantire il passaggio comunicativo, la presa di coscienza dei vincoli esistenti tra testo e cultura. Al fine di ottimizzare il suddetto processo di osservazione, il cinema si rivela uno strumento straordinario. Innanzitutto per la sua immediatezza audiovisiva. Successivamente, per la leva affettiva che innesca ogniqualvolta vengono proposte attività di sottotitolazione. Attività, queste, che si rivelano strategiche al fine di sfruttare al massimo le preconoscenze e le competenze linguistiche già in possesso dei discenti. Portando la simulazione all’estremo, infatti, sarà possibile responsabilizzarli creando un momento apprenditivo di inestimabile crescita e soddisfazione. Una crescita che sarà spesso inconscia e autogenerata e che potrà essere paragonata al sentimento della scoperta. Una scoperta che si rivelerà profonda ed incisiva proprio perché scaturita dall’osservazione della complessità semiotica dei testi con i quali si entrerà in contatto. Da una prospettiva operativa, nella seguente ricerca sono stati selezionati prodotti filmici recenti o addirittura recentissimi della produzione giapponese con particolare attenzione verso i generi della commedia e dei film drammatici che potessero incontrare sia l’interesse dei discenti verso i fenomeni contemporanei della cultura giapponese, sia le esigenze didattiche e di apprendimento legate al corso. Al fine di non diluire il sentimento di novità e l’interesse mediatico veicolati dai lungometraggi proposti, sono stati inseriti prodotti che presentassero quegli elementi linguistici necessari alla trattazione in aula (l’utilizzo della lingua giapponese standard e di un linguaggio poco marcato dal punto di vista gergale) limitando, invece, al minimo quelli recanti fenomeni linguistici complessi quali il code shifting o il code mixing. Tranne che per i suddetti accorgimenti strategici ai fini della programmazione didattica, i lungometraggi trattati non hanno passato ulteriori filtri e l’analisi che ne è scaturita è stata essenzialmente frutto dell’attività di gruppo organizzata in classe nonché di una realistic language experience , ovvero di un contatto diretto dei discenti con gli script e l’intera cornice culturale insita nei film proposti. Difatti, attraverso un modulo di lezione di tipo collaborativo, è stato possibile affrontare con dovizia di particolari le varie problematiche di traduzione che si proponevano durante l’attività affrontando i lungometraggi senza una necessaria preventivazione delle difficoltà e facendosi carico degli elementi di novità insiti nelle task attraverso il rapporto instauratosi tra i gruppi di lavoro ed il docente. Di certo, la variabile della “sorpresa” ha contribuito a rendere l’ambiente di apprendimento maggiormente informale e più incline ad un atteggiamento di problem solving che ha facilitato non di poco le operazioni didattiche. Tale esperienza ha rivelato, quindi, che è possibile stemperare la classica “paura” di misurarsi con un prodotto linguistico autoctono attraverso il rapporto con i propri pari e grazie ad una costruzione delle conoscenze necessariamente partecipativa che ha scardinato il classico rapporto formale docente-discente andando ad influire altresì sulla qualità dei flussi comunicativi all’interno del nuovo spazio-classe. Un ultimo riferimento alla traduzione è d’obbligo. Si è spesso criticata la traduzione passiva considerandola uno strumento cognitivo obsoleto e poco consono ai nuovi ambienti di apprendimento. Nonostante ciò, negli ultimi anni la letteratura di settore (ed in particolare quella audiovisiva) mostra come ci si possa riappropriare dello strumento traduttivo al fine di stimolare i processi di inferenza e di osservazione linguistica. Ciò perché sia a livello micro che macrolinguistico, la traduzione rappresenta una situazione di contatto che ben esemplifica la realtà del mondo contemporaneo dove le lingue oggetto di studio e i relativi parlanti/apprendenti possono rimanere a stretto contatto nonostante le distanze fisiche (Pavesi-Freddi, 2009: 12). Come suggeriscono anche gli studi di David Atkinson (1987), la traduzione rimane una delle strategie preferite dagli apprendenti per incamerare lessico e strutture sintattiche in maniera autonoma nonché un aspetto inevitabile dell’acquisizione della L2. Oltre a ciò, come ricorda Incalcaterra (2011), l’odierna sfida della traduzione interlinguistica consisterà nello shiftare da un modello traduttivo chiuso e autoreferenziale verso un più ampio contesto comunicativo dove l’elemento verbale venga rafforzato ed integrato dalla più vasta cornice multisemiotica. Tale attività traduttiva, infatti, non dovrà mai puntare alla mera produzione di sottotitoli ineccepibili, quanto piuttosto a stimolare una presa di coscienza di tutti gli elementi che contribuiscono alla formazione dei significati giungendo all’interiorizzazione delle strutture e delle espressioni presenti nella lingua source. Indubbiamente, tale obiettivo può essere raggiunto solo attraverso un approccio didattico interdisciplinare che ponga gli apprendenti nella posizione di poter produrre sottotitoli interlinguistici ben organizzati da poter eventualmente sfruttare in futuri ambiti lavorativi. Ecco allora che la base teorica offerta dagli studi sulla traduzione audiovisiva di Gambier, Gottlieb, Lomheim, Perego, Díaz-Cintas e Taylor, nonché gli accorgimenti tecnici che a questi si accompagnano divengono utili alleati per condurre i discenti in un processo di apprendimento basato su di un modello simulativo più coinvolgente e mirato all’ottenimento di precisi obiettivi extralinguistici (condivisione del prodotto sottotitolato con i pari, in rete, in contesti professionali, o all’interno di altre comunità di studio). Per raggiungere questo fine, sarà dunque fondamentale porre una distanza (che è spesso “affettiva” per i nostri apprendenti) tra la traduzione interlinguistica ad hoc e la cosiddetta pratica amatoriale fansubbing che sovente rischia di apparire come una traduzione “corretta” o, peggio ancora, “creativa”. Come già illustrato dall’autore in studi recenti, risulterà fondamentale chiarire ai discenti le differenze qualitative tra queste due tipologie traduttive. Ciò per tre motivi: 1. Al fine di renderli coscienti del know-how tecnico che andranno ad acquisire durante il percorso di apprendimento con il docente; 2. Per illustrare loro la mancanza di riferimenti teorici tipica del fansubbing (si pensi alle teorie del Multimedia Learning e del carico cognitivo, ad esempio) essenziali, invece, per una corretta collocazione dei titoli e dei sottotitoli sullo schermo; 3. Per responsabilizzarli nella traduzione senza ricorrere a traduzioni “calco” ottenute attraverso l’intermediazione di una terza lingua (sovente l’inglese) . Di conseguenza, facendo leva sul già citato interesse dei discenti di lingua giapponese per i prodotti audiovisivi contemporanei e attraverso un’attività didattica incentrata sulla sottotitolazione interlinguistica dei lungometraggi, sarà possibile stimolare ulteriormente gli apprendenti nella fruizione di tali materiali e raggiungere in contemporanea sia gli obiettivi di tipo linguistico che il corso di lingua si prefigge, sia un livello di know how tecnico da poter riutilizzare in futuri contesti lavorativi. ・・・ Il presente volume intende indirizzarsi sia a studiosi che ad apprendenti di lingua giapponese coinvolti nella pratica della sottotitolazione ed è organizzato in due macrosezioni con appendice finale: la prima intende presentare l’impianto teorico degli audiovisual translation studies nonché i contributi che i maggiori studiosi del settore hanno apportato a questa branca di studi. I primi paragrafi, in particolare, si pongono l’obiettivo di fornire una precisa definizione di testo audiovisivo nonché di guidare il lettore nelle caratteristiche tecniche di inserimento dei sottotitoli illustrando. Successivamente, grazie al supporto di dati raccolti dall’autore nell’ambito della propria attività di ricerca, vengono presentati alcuni spunti di riflessione sulle problematiche lessicali e verbali nell’ambito della sottotitolazione interlinguistica della coppia giapponese-italiano per la quale non esistono ancora studi specifici in merito. Nella seconda sezione sono analizzate alcune scene estrapolate dai lungometraggi trattati all’interno del laboratorio magistrale di sottotitolazione diretto dall’autore presso l’università Ca’ Foscari. Per ogni lungometraggio saranno proposte le trame e i contesti macro-sociali di riferimento (setting) seguiti da brevi analisi di sequenze sottotitolate presentate su due piani paralleli: il piano intralinguistico delle captions che intende presentare le eventuali tematiche linguistiche da trattare in ambito didattico (intra), ed un piano traduttivo interlinguistico (inter) che si concentra sugli elementi verbali e sociolinguistici ai fini della creazione dei sottotitoli (subtitles). L’appendice finale presenta, invece, i sottotitoli integrali del lungometraggio Air Doll (2009) del regista giapponese Koreeda Hirokazu così come elaborati dagli apprendenti del laboratorio di traduzione audiovisiva magistrale di Ca’ Foscari.
2016
168
9788849155136
Vitucci, F. (2016). Ciak! Si sottotitola - Traduzione audiovisiva e didattica del giapponese. Bologna : Clueb.
Vitucci, Francesco
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/572739
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