Scrivere un poema epico nella Francia del Cinquecento può significare questo: non grandi battaglie, ma episodi secondari, trascurabili sul piano della Storia, di cui il soldato Agrippa d’Aubigné è stato talvolta testimone, per lo più semplice lettore; una «guerre sans ennemi», che nei Tragiques (V, 841) non vuol dire solo guerra civile, come originariamente nella Farsaglia (I, 682), ma anche guerra priva di un avversario armato, di un avversario capace di resistenza. Le ragioni sono da ricercare, certo, nel tanto ribadito proposito di porre la propria esperienza all’origine della scrittura, ma forse anche nella consapevolezza che quei piccoli eventi più dei grandi possono farsi espressione della degenerazione del presente, rientrano più facilmente nello schema interpretativo elezione-caduta-resurrezione, nella visione dei vinti che sottende l’intero poema. A più di quarant’anni di distanza dalla pubblicazione di un articolo che continua a costituire un punto di riferimento tra gli specialisti – Géralde Nakam, «Une source des Tragiques : l'Histoire memorable de la ville de Sancerre de Jean de Léry» – ritornare sulla lettura albineana di quest’episodio minore delle guerre di religione è occasione per studiare da vicino le strategie di riutilizzo delle fonti messe in atto dall’autore dei Tragiques a dispetto delle sue dichiarazioni di intenti, può aiutarci a illustrare il meccanismo attraverso il quale egli riesce nel duplice intento di dimostrarsi testimone credibile del suo tempo e di «suscitare l’immaginazione dell’inimmaginabile» esperienza della guerra civile.

Quando un frammento di storia diventa poesia: d’Aubigné, Sancerre e il gioco delle fonti

CONCONI, BRUNA
2016

Abstract

Scrivere un poema epico nella Francia del Cinquecento può significare questo: non grandi battaglie, ma episodi secondari, trascurabili sul piano della Storia, di cui il soldato Agrippa d’Aubigné è stato talvolta testimone, per lo più semplice lettore; una «guerre sans ennemi», che nei Tragiques (V, 841) non vuol dire solo guerra civile, come originariamente nella Farsaglia (I, 682), ma anche guerra priva di un avversario armato, di un avversario capace di resistenza. Le ragioni sono da ricercare, certo, nel tanto ribadito proposito di porre la propria esperienza all’origine della scrittura, ma forse anche nella consapevolezza che quei piccoli eventi più dei grandi possono farsi espressione della degenerazione del presente, rientrano più facilmente nello schema interpretativo elezione-caduta-resurrezione, nella visione dei vinti che sottende l’intero poema. A più di quarant’anni di distanza dalla pubblicazione di un articolo che continua a costituire un punto di riferimento tra gli specialisti – Géralde Nakam, «Une source des Tragiques : l'Histoire memorable de la ville de Sancerre de Jean de Léry» – ritornare sulla lettura albineana di quest’episodio minore delle guerre di religione è occasione per studiare da vicino le strategie di riutilizzo delle fonti messe in atto dall’autore dei Tragiques a dispetto delle sue dichiarazioni di intenti, può aiutarci a illustrare il meccanismo attraverso il quale egli riesce nel duplice intento di dimostrarsi testimone credibile del suo tempo e di «suscitare l’immaginazione dell’inimmaginabile» esperienza della guerra civile.
2016
Bruna, Conconi
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