Le ville di Le Corbusier e Pierre Jeanneret degli anni Venti sono state propagandate da fotografie in bianco e nero, e sono entrate nella storia dell’architettura e nell’immaginario collettivo come bianchi volumi sotto la luce. Invece l’analisi dei documenti mostra l’esistenza di una gamma di valori di superfici intonacate in cui non esisteva in origine quel bianco che adesso qualifica quelle opere. Le Corbusier ricerca tipi di intonaco resistenti alle conseguenze della sua ossessione estetica di ridurre ogni modanatura a una linea sottile, sino a farla scomparire del tutto, lasciando le facciate prive di ogni protezione. Si sviluppa in questo contesto estetico quella sperimentazione su mouchetis, intonaci a base di calce, intonaci a base di plâtre ordinario, lithogène, cimentaline, ciment blanc, intonaci a base di cemento ordinario, ciment-pierre, ognuno di questi da mettere in opera quasi sempre senza strato di pittura, perciò lasciati a vista con il colore proprio degli inerti, colore che la letteratura dell’epoca indicava come simili-pierre. Non sfuggirà, dunque, la crucialità di quella che possiamo definire una vera e propria scoperta che azzera l’idea che il bianco fosse il colore ricercato da Le Corbusier per la sua architettura purista, e quindi conseguentemente azzera tutte le considerazioni filosofico-estetiche che da questa errata convinzione sono state formulate e sulle quali si è costruita una falsa immagine dell’architettura del purismo. Nella maggior parte dei casi, i radicali interventi di restauro compiuti a più riprese sulle architetture di Le Corbusier ed emblematico è il cantiere dei restauri della villa Savoye -, hanno reso il testo l’opera irrimediabilmente perduto, come nel caso di un restauro pittorico che avesse raschiato i trattamenti superficiali ultimi che i pittori stendevano sui loro quadri per infondere lucentezza o opacità. Nel caso dell’architettura, si è spesso asportata non la patina ma l’intera scorza di rivestimento e con essa il colore naturale dell’intonaco. Se poi consideriamo che certi intonaci usati da Le Corbusier all’inizio degli anni Venti ormai spariti dal commercio, si capirà ancor meglio come la prospettiva di avere un’idea della originaria qualità della superficie delle sue architettura sia diventata una pura illusione. È in questo quadro che i documenti di cantiere conservati presso la Fondation Le Corbusier appaiono nella loro tragicità di testimonianza di una pelle di cui resta solo la descrizione e di cui solo possiamo immaginare il colore.

Anna Rosellini (2012). Le Corbusier e la superficie: i rivestimenti d'intonaco delle prime ville puriste. ARCHI, Senza Numero, 1-11.

Le Corbusier e la superficie: i rivestimenti d'intonaco delle prime ville puriste

ROSELLINI, ANNA
2012

Abstract

Le ville di Le Corbusier e Pierre Jeanneret degli anni Venti sono state propagandate da fotografie in bianco e nero, e sono entrate nella storia dell’architettura e nell’immaginario collettivo come bianchi volumi sotto la luce. Invece l’analisi dei documenti mostra l’esistenza di una gamma di valori di superfici intonacate in cui non esisteva in origine quel bianco che adesso qualifica quelle opere. Le Corbusier ricerca tipi di intonaco resistenti alle conseguenze della sua ossessione estetica di ridurre ogni modanatura a una linea sottile, sino a farla scomparire del tutto, lasciando le facciate prive di ogni protezione. Si sviluppa in questo contesto estetico quella sperimentazione su mouchetis, intonaci a base di calce, intonaci a base di plâtre ordinario, lithogène, cimentaline, ciment blanc, intonaci a base di cemento ordinario, ciment-pierre, ognuno di questi da mettere in opera quasi sempre senza strato di pittura, perciò lasciati a vista con il colore proprio degli inerti, colore che la letteratura dell’epoca indicava come simili-pierre. Non sfuggirà, dunque, la crucialità di quella che possiamo definire una vera e propria scoperta che azzera l’idea che il bianco fosse il colore ricercato da Le Corbusier per la sua architettura purista, e quindi conseguentemente azzera tutte le considerazioni filosofico-estetiche che da questa errata convinzione sono state formulate e sulle quali si è costruita una falsa immagine dell’architettura del purismo. Nella maggior parte dei casi, i radicali interventi di restauro compiuti a più riprese sulle architetture di Le Corbusier ed emblematico è il cantiere dei restauri della villa Savoye -, hanno reso il testo l’opera irrimediabilmente perduto, come nel caso di un restauro pittorico che avesse raschiato i trattamenti superficiali ultimi che i pittori stendevano sui loro quadri per infondere lucentezza o opacità. Nel caso dell’architettura, si è spesso asportata non la patina ma l’intera scorza di rivestimento e con essa il colore naturale dell’intonaco. Se poi consideriamo che certi intonaci usati da Le Corbusier all’inizio degli anni Venti ormai spariti dal commercio, si capirà ancor meglio come la prospettiva di avere un’idea della originaria qualità della superficie delle sue architettura sia diventata una pura illusione. È in questo quadro che i documenti di cantiere conservati presso la Fondation Le Corbusier appaiono nella loro tragicità di testimonianza di una pelle di cui resta solo la descrizione e di cui solo possiamo immaginare il colore.
2012
Anna Rosellini (2012). Le Corbusier e la superficie: i rivestimenti d'intonaco delle prime ville puriste. ARCHI, Senza Numero, 1-11.
Anna Rosellini
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/567457
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