Ponendosi in linea di continuità col periodo della signoria viscontea, l’atteggiamento delle autorità dello Stato di Milano nel periodo postridentino e lungo l’arco del XVII secolo segue una linea costante, volta non tanto ad allargare lo spazio della giurisdizione civile quanto a contrastare l’azione ecclesiastica, vista – si tratti di una protesta strumentale o di una preoccupazione in buona fede – come intenta ad innovare i rapporti ampliando l’ambito di competenza del potere ecclesiastico. In buon sostanza, almeno nel periodo spagnolo, il potere civile presenta il proprio agire come una difesa della vita dello Stato, senza che – a contemplarla in una prospettiva più alta – si neghi il riconoscimento della funzione spirituale della Chiesa, ed anche del suo ruolo politico. L’intento è quello di arrivare ad un corretto bilanciamento di potere, cercando, se possibile, di evitare di impantanarsi in controversie di spiccato valore ideologico. Ciò non toglie che i contrasti (a Milano, soprattutto nel periodo dei due cardinali Borromeo; altrove, quando nelle altre sedi sedettero vescovi dal forte imprinting borromaico) potessero essere estremamente aspri e tali, a volte, da rischiare di far saltare ogni equilibrio. Nondimeno, per gran parte dell’arco di tempo considerato, andrà ridimensionata l’idea di incipienti tendenze di rigido giurisdizionalismo: l’atmosfera rimane molto ortodossa, l’autorità della Sede Apostolica è riconosciuta non solo a parole, ad essa si presentano proteste e con essa si intrecciano trattative per via diplomatica, cercando di evitare lo scontro frontale almeno a Roma, se non si riesce a farlo sul territorio. I campi di confronto tra il potere civile e quello ecclesiastico erano molteplici: dall’ambito delle rispettive giurisdizioni (in senso stretto) al tema delle immunità (personali così come reali), dal regime dei benefici vacanti a quello delle nomine ad uffici ecclesiastici, dalla disciplina del diritto d’asilo al problema dei chierici sudditi d’altro Stato, dalla questione della famiglia armata dei vescovi a quella dei giorni festivi. Uno strumento non del tutto efficace in mano all’autorità civile era l’exequatur, il cui ambito di applicazione era rigidamente limitato. A compensazione, però, poteva agire l’istituto del regio economo, che permetteva di giovarsi del momento di disorientamento o di (parziale) vuoto di potere che si creava in ambito ecclesiastico soprattutto quando era vacante una cattedra vescovile: questa situazione offriva all’autorità statuale la possibilità di operare in modo più energico. Canale privilegiato dello sforzo volto a contenere la giurisdizione ecclesiastica era il Senato di Milano, di cui è stata individuata la funzione di motore della politica anticurialista dello Stato: non di rado, vi faceva invece fronte l’azione frenante del Governatore, e talvolta della stessa Corona. Al vertice della struttura giudiziaria, pronto ad avocare a sé le cause in cui venisse in discussione la giurisdizione regia, comprendente tra i suoi membri giuristi talvolta illustri, spesso competenti, che anche nelle loro opere dedicavano uno spazio importante alle controversie con la Chiesa, era al Senato che spettava la funzione di organo conservatore delle tradizioni milanesi, contro le tendenze ecclesiastiche di riguadagnare il terreno perduto al tempo dell’assenteismo di vescovi e arcivescovi. Il controllo del territorio, uno dei compiti naturali dei senatori, trovava applicazione anche nei confronti dell’episcopato. Inevitabilmente, il confronto si accendeva con i vescovi più zelanti: talvolta poteva diventare virulento, talaltra essere invece affidato alle abili cure di uomini, da una parte e dall’altra, pronti a «sopire, troncare […] troncare, sopire». Così, è soprattutto tra Senato e singole curie vescovili che si gioca la partita del giurisdizionalismo nello Stato di Milano: è un gioco complesso, che vede il Senato intervenire a sostegno delle magistrature locali, che vengono talora in urto con l’autorità diocesana, oppure procedere con minacce, istruzioni, ordini, consulte, persino missioni segrete. Dall’altra parte, alcuni vescovi cercano di ribattere colpo su colpo, usando o preannunziando sanzioni spirituali, allestendo una rete di alleanze, scavalcando il consesso milanese per cercare di interagire direttamente con la Corona o i suoi rappresentanti. Con queste armi, in più occasioni, l’episcopato lombardo riesce a contenere l’azione dell’autorità civile, ed anche a rintuzzare alcuni attacchi della sua punta di diamante, il bellicoso Senato. Con l’avanzare del XVII secolo, però, si notano segni di un’accresciuta incisività dell’azione statuale, probabilmente anche in coincidenza con l’esaurirsi della spinta della riforma tridentina, e con una maggiore stanchezza nelle diocesi e nei rispettivi titolari.

La mitria e il laticlavio. Il Senato e il controllo degli episcopati dello Stato di Milano nel XVII secolo / Bruschi, Ugo. - STAMPA. - (2015), pp. 115-146.

La mitria e il laticlavio. Il Senato e il controllo degli episcopati dello Stato di Milano nel XVII secolo

BRUSCHI, UGO
2015

Abstract

Ponendosi in linea di continuità col periodo della signoria viscontea, l’atteggiamento delle autorità dello Stato di Milano nel periodo postridentino e lungo l’arco del XVII secolo segue una linea costante, volta non tanto ad allargare lo spazio della giurisdizione civile quanto a contrastare l’azione ecclesiastica, vista – si tratti di una protesta strumentale o di una preoccupazione in buona fede – come intenta ad innovare i rapporti ampliando l’ambito di competenza del potere ecclesiastico. In buon sostanza, almeno nel periodo spagnolo, il potere civile presenta il proprio agire come una difesa della vita dello Stato, senza che – a contemplarla in una prospettiva più alta – si neghi il riconoscimento della funzione spirituale della Chiesa, ed anche del suo ruolo politico. L’intento è quello di arrivare ad un corretto bilanciamento di potere, cercando, se possibile, di evitare di impantanarsi in controversie di spiccato valore ideologico. Ciò non toglie che i contrasti (a Milano, soprattutto nel periodo dei due cardinali Borromeo; altrove, quando nelle altre sedi sedettero vescovi dal forte imprinting borromaico) potessero essere estremamente aspri e tali, a volte, da rischiare di far saltare ogni equilibrio. Nondimeno, per gran parte dell’arco di tempo considerato, andrà ridimensionata l’idea di incipienti tendenze di rigido giurisdizionalismo: l’atmosfera rimane molto ortodossa, l’autorità della Sede Apostolica è riconosciuta non solo a parole, ad essa si presentano proteste e con essa si intrecciano trattative per via diplomatica, cercando di evitare lo scontro frontale almeno a Roma, se non si riesce a farlo sul territorio. I campi di confronto tra il potere civile e quello ecclesiastico erano molteplici: dall’ambito delle rispettive giurisdizioni (in senso stretto) al tema delle immunità (personali così come reali), dal regime dei benefici vacanti a quello delle nomine ad uffici ecclesiastici, dalla disciplina del diritto d’asilo al problema dei chierici sudditi d’altro Stato, dalla questione della famiglia armata dei vescovi a quella dei giorni festivi. Uno strumento non del tutto efficace in mano all’autorità civile era l’exequatur, il cui ambito di applicazione era rigidamente limitato. A compensazione, però, poteva agire l’istituto del regio economo, che permetteva di giovarsi del momento di disorientamento o di (parziale) vuoto di potere che si creava in ambito ecclesiastico soprattutto quando era vacante una cattedra vescovile: questa situazione offriva all’autorità statuale la possibilità di operare in modo più energico. Canale privilegiato dello sforzo volto a contenere la giurisdizione ecclesiastica era il Senato di Milano, di cui è stata individuata la funzione di motore della politica anticurialista dello Stato: non di rado, vi faceva invece fronte l’azione frenante del Governatore, e talvolta della stessa Corona. Al vertice della struttura giudiziaria, pronto ad avocare a sé le cause in cui venisse in discussione la giurisdizione regia, comprendente tra i suoi membri giuristi talvolta illustri, spesso competenti, che anche nelle loro opere dedicavano uno spazio importante alle controversie con la Chiesa, era al Senato che spettava la funzione di organo conservatore delle tradizioni milanesi, contro le tendenze ecclesiastiche di riguadagnare il terreno perduto al tempo dell’assenteismo di vescovi e arcivescovi. Il controllo del territorio, uno dei compiti naturali dei senatori, trovava applicazione anche nei confronti dell’episcopato. Inevitabilmente, il confronto si accendeva con i vescovi più zelanti: talvolta poteva diventare virulento, talaltra essere invece affidato alle abili cure di uomini, da una parte e dall’altra, pronti a «sopire, troncare […] troncare, sopire». Così, è soprattutto tra Senato e singole curie vescovili che si gioca la partita del giurisdizionalismo nello Stato di Milano: è un gioco complesso, che vede il Senato intervenire a sostegno delle magistrature locali, che vengono talora in urto con l’autorità diocesana, oppure procedere con minacce, istruzioni, ordini, consulte, persino missioni segrete. Dall’altra parte, alcuni vescovi cercano di ribattere colpo su colpo, usando o preannunziando sanzioni spirituali, allestendo una rete di alleanze, scavalcando il consesso milanese per cercare di interagire direttamente con la Corona o i suoi rappresentanti. Con queste armi, in più occasioni, l’episcopato lombardo riesce a contenere l’azione dell’autorità civile, ed anche a rintuzzare alcuni attacchi della sua punta di diamante, il bellicoso Senato. Con l’avanzare del XVII secolo, però, si notano segni di un’accresciuta incisività dell’azione statuale, probabilmente anche in coincidenza con l’esaurirsi della spinta della riforma tridentina, e con una maggiore stanchezza nelle diocesi e nei rispettivi titolari.
2015
La prassi del giurisdizionalismo negli stati italiani. Premesse, ricerche, discussioni
115
146
La mitria e il laticlavio. Il Senato e il controllo degli episcopati dello Stato di Milano nel XVII secolo / Bruschi, Ugo. - STAMPA. - (2015), pp. 115-146.
Bruschi, Ugo
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