Tutti i manuali della prima metà del Seicento concordano nell’affermare che la festa è strumento politico e di controllo, è rappresentativa e socializzante, è necessaria ad un sovrano cosciente del suo ruolo, è una pratica che appartiene alla storia, sa sollecitare gli animi e coinvolgerli, non è esclusiva di una classe, anzi può essere uno strumento di coesione della comunità, è decisiva per la politica estera, una palestra di sperimentazione delle arti, da quella di governo a quella militare, senza escludere le belle arti, è la più coinvolgente verifica del potere e certa via alla fama. L’influsso decisivo e prolungato del Concilio Tridentino si manifesta anche nella moralizzazione dei temi delle occasioni di festa. Nella nuova capitale e a Reggio Emilia la propaganda dinastica si è subito appropriata della festa, prima delle feste tradizionali del calendario liturgico ( Natale, Quaresima, Pasqua, Ascensione, che qui non considereremo) e di quello cittadino, poi delle feste periodiche e cicliche, ma senza accollarsi le spese. Solo più tardi ha contribuito a finanziare le celebrazioni dinastiche. In questo tempo della festa, eccezionale poiché spezza il continuum dei giorni lavorativi e perché come tempo dello spreco si oppone a quello quotidiano del risparmio, si sperimentano le arti, si creano occasioni di stimolo economico per artisti e botteghe artigiane. La Comunità e la casa regnante utilizzano la festa quale occasione e strumento d’avvicinamento sociale, v’investono per riceverne profitti materiali e simbolici, per farne la proiezione all’esterno della continuità dinastica, del rinnovamento, della progettualità. Anche se nel 1607 Fulvio Paciani dedica il suo Dell’arte di governare bene i popoli a Cosimo de’ Medici, non ad un membro della famiglia Estense, dal 1591 al 1604 egli è stato segretario e consigliere prima a Ferrara di Alfonso II, quindi a Modena di Cesare d’Este1. In questi anni dopo le esperienze dei trattati di Machiavelli e di Guicciardini, che hanno proprio nella consapevolezza della relatività un valore assoluto e universale, la letteratura politica al pari di quella religiosa ed artistica si arricchisce di didattici, moralistici, rassicuranti manuali di buon governo che assegnano alla festa un ruolo strategico per il dialogo con la comunità. Grazie agli stretti rapporti politici e matrimoniali fra gli Este e Parigi si conosceranno nel ducato anche i Mémoires pour l’instruction du Dauphin, scritti dal re Sole per il figlio con l’evidente finalità di prepararlo al governo. In tutti questi testi la festa rientra fra gli strumenti di orgoglio dinastico, di convincimento e occasione di buon governo
Pigozzi, M. (2015). Gli aspetti spettacolari delle feste religiose e profane. Reggio Emilia : Edizioni Tecnograf.
Gli aspetti spettacolari delle feste religiose e profane
PIGOZZI, MARINELLA
2015
Abstract
Tutti i manuali della prima metà del Seicento concordano nell’affermare che la festa è strumento politico e di controllo, è rappresentativa e socializzante, è necessaria ad un sovrano cosciente del suo ruolo, è una pratica che appartiene alla storia, sa sollecitare gli animi e coinvolgerli, non è esclusiva di una classe, anzi può essere uno strumento di coesione della comunità, è decisiva per la politica estera, una palestra di sperimentazione delle arti, da quella di governo a quella militare, senza escludere le belle arti, è la più coinvolgente verifica del potere e certa via alla fama. L’influsso decisivo e prolungato del Concilio Tridentino si manifesta anche nella moralizzazione dei temi delle occasioni di festa. Nella nuova capitale e a Reggio Emilia la propaganda dinastica si è subito appropriata della festa, prima delle feste tradizionali del calendario liturgico ( Natale, Quaresima, Pasqua, Ascensione, che qui non considereremo) e di quello cittadino, poi delle feste periodiche e cicliche, ma senza accollarsi le spese. Solo più tardi ha contribuito a finanziare le celebrazioni dinastiche. In questo tempo della festa, eccezionale poiché spezza il continuum dei giorni lavorativi e perché come tempo dello spreco si oppone a quello quotidiano del risparmio, si sperimentano le arti, si creano occasioni di stimolo economico per artisti e botteghe artigiane. La Comunità e la casa regnante utilizzano la festa quale occasione e strumento d’avvicinamento sociale, v’investono per riceverne profitti materiali e simbolici, per farne la proiezione all’esterno della continuità dinastica, del rinnovamento, della progettualità. Anche se nel 1607 Fulvio Paciani dedica il suo Dell’arte di governare bene i popoli a Cosimo de’ Medici, non ad un membro della famiglia Estense, dal 1591 al 1604 egli è stato segretario e consigliere prima a Ferrara di Alfonso II, quindi a Modena di Cesare d’Este1. In questi anni dopo le esperienze dei trattati di Machiavelli e di Guicciardini, che hanno proprio nella consapevolezza della relatività un valore assoluto e universale, la letteratura politica al pari di quella religiosa ed artistica si arricchisce di didattici, moralistici, rassicuranti manuali di buon governo che assegnano alla festa un ruolo strategico per il dialogo con la comunità. Grazie agli stretti rapporti politici e matrimoniali fra gli Este e Parigi si conosceranno nel ducato anche i Mémoires pour l’instruction du Dauphin, scritti dal re Sole per il figlio con l’evidente finalità di prepararlo al governo. In tutti questi testi la festa rientra fra gli strumenti di orgoglio dinastico, di convincimento e occasione di buon governoI documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.