La politica oggi non va oltre allo stereotipo dell’Italia culla delle arti e delle lettere, paese del sole, del cibo e della bella natura. È questa l’immagine che traspare da Expo 2015, dalle segnalazioni turistiche, ma anche dai discorsi dei personaggi che dicono di essere politici. La cura sia del patrimonio materiale, dai capolavori alle opere di spontanea devozione, sia di quello immateriale è tanto più impellente, quanto più estesa è stata e continua ad essere incisiva la distruzione, la dispersione, la disattenzione. Una millenaria opera di manutenzione del territorio, del museo Italia, è venuta meno assieme a una radicata tradizione culturale ricca di conoscenze tecniche, di miti, di leggende, di impegno civile. È possibile pensare che una particolare disciplina, la Storia dell’Arte, possa trasformare la mentalità delle classi dirigenti o addirittura indirizzare lo sviluppo economico di un intero paese, limitare episodi di speculazione, corruzione, negligenza, malaffare? La Storia dell’Arte da sola non può bastare, ma se si accompagna alla ricerca, al lavoro qualificato, alla giustizia, alla difesa della natura e del paesaggio, alla buona formazione umanistica, scientifica e tecnologica, all’iniziativa locale non limitata da campanilismi e provincialismi, all’imprenditoria giovanile, possiamo trasformare l’immaginazione di futuro in futuro possibile. L’uso innovativo dell’arte incoraggia la partecipazione, la coesione. Lo stiamo vedendo con il successo della creativa Street Art nelle periferie. Non è solo arte di strada, mostra i colori della vita, il dialogo fra arte e vita che sa spronare coinvolgendo gli sguardi. La Storia dell’Arte può diventare il pungolo, il puntello, il collante all’interno delle istituzioni centrali e decentrate preposte alla tutela, un positivo vettore economico creatore di lavoro. Assieme, in un sistema integrato fra musei, archivi, biblioteche, università, sarà allora possibile non solo conservare, bensì meglio conoscere e valorizzare il patrimonio diffuso che sinora ha saputo coniugare eredità classica, messaggio cristiano, impegno civile. Il legame tra la tutela e la ricerca e tra la difesa e la valorizzazione deve diventare sempre più stretto. In più occasioni ho ricordato l’articolo 9 della Costituzione, dove si afferma che la tutela del patrimonio e del paesaggio si salda con la ricerca scientifica1. Occorre infittire le maglie della rete protettiva, ma non è utile ingabbiare la tutela nei soli ristretti piani tecnico-giuridici, anche se le leggi, i bandi, i provvedimenti degli antichi Stati italiani preunitari, dello Stato della Chiesa soprattutto, la legge del 1909 del parlamentare Rosadi, precisata dal ministro Bottai, sono stati in passato esemplari per il mondo intero2. La legge sul riordinamento delle Soprintendenze alle Antichità e alle Belle Arti, sulla tutela delle cose di interesse artistico e storico e per la protezione delle bellezze naturali, nonché le norme istitutive dell’Istituto Centrale del Restauro, sono tutte del 1939. Il rischio di modifiche al Codice dei Beni Culturali è sempre attuale. Anche di recente è stato proposto di eliminare i lacci alla libera circolazione limitando la protezione ai beni aventi oltre cento anni d’età, non più cinquanta, l’estensione di tale soglia cronologica al procedimento di dichiarazione di interesse, la tradizionale notifica, l’introduzione delle soglie di valore per le diverse classi di oggetti, al di sotto delle quali si potrà concedere l’attestato di libera circolazione. È necessario valorizzare le opere del Novecento, non favorirne la dispersione, e coinvolgere tutta la collettività nella consapevolezza dell’effettivo peso culturale e storico, non solo economico. Abbiamo oltre 46000 beni architettonici, 4588 musei, 12700 biblioteche, 51 sedi Unesco. La diversità e la varietà del territorio, del paesaggio, dei centri urbani, dell’Italia intera e del suo sedimento storico sono un’accattivante ricchezza capace di dialogare con l’internazionalismo culturale. La globalizzazione ci invita ad aprirci al confronto, non alla perdita della consapevolezza della propria individualità. Gli abitanti per primi potranno accettare la diversità non come un limite, ma come una stimolante e arricchente variabilità da cogliere con tutti i sensi, rispettandola per goderne di più e più a lungo. I musei, soprattutto quelli di arte contemporanea, oggi rivendicano con forza la loro presenza nella città, molti si propongono quali cittadelle della cultura, nuovo baricentro dei percorsi, occasione di inclusione sociale. Non possono permettersi di essere solo depositi passivi, occorre che allestiscano le loro opere in maniera inedita, sempre mutevole, anche provocatoria, divertente, per invitare al ritorno. I visitatori occasionali diventeranno i frequentatori appassionati dei musei mutanti per approfondire la conoscenza di un’opera che ha emozionato, esaudire il desiderio amoroso e inestinguibile per il sapere, non solo per fotografarsi col selfie stick davanti a un’opera che neanche guardano. Gli scolari diventati padri e madri desidereranno rispettare, frequentare quanto li circonda e parteciparvi per goderne con i figli. Sempre più necessario diventa il lavoro di concerto per snellire le procedure, per rendere più omogenee le decisioni dei diversi uffici preposti all’esportazione. In parallelo occorre attuare una efficace politica di sgravi fiscali per i donatori di collezioni o di singoli beni culturali, per il restauro degli edifici. Va favorita con il controllo dello Stato la libera iniziativa dei cittadini nello svolgimento di attività di interesse culturale e utili alla collettività. Sempre più strategica diventa, accanto alla semplificazione delle amministrazioni periferiche oltre a quella centrale, la comunicazione all’esterno e all’interno dei musei per favorirne la valorizzazione. Le nuove tecnologie multimediali offrono alle istituzioni che si occupano di patrimonio un modo nuovo di connettersi con il pubblico, di coinvolgerlo per la creazione di nuove reti di conoscenza del bene culturale, patrimonio di tutti, un concetto sempre più esteso. Piattaforme digitali, tavoli touchscreen, penne hi-tech permettono ai visitatori di costruire un proprio percorso, di tenerne traccia. Certo marketing e comunicazione sono sempre più richiesti, per non dire imposti, soprattutto ora che i musei, quelli statali, hanno visto riconosciuto lo status giuridico di istituto della cultura e devono diventare autonomi economicamente. Sono le leve fondamentali per lo sviluppo della cultura? Sempre più necessario diventa un sistema museale nazionale che metta in dialogo i musei di ogni tipo fra di loro ponendo fine all’analfabetismo funzionale, sempre più centrale diventa il ruolo giocato dal web e in generale dalle nuove tecnologie della comunicazione e della digitalizzazione, non possiamo ignorarlo. Ma non permettiamo che ci divorino, non dimentichiamo il ruolo della ricerca scientifica e tecnica, il ruolo dell’educazione, propri della missione dei musei, la forza della parola del personale dei musei formatosi nelle aule universitarie di Storia dell’Arte, la forza di un incontro ravvicinato con l’opera che potrà collegarsi al bagaglio di conoscenze che ognuno porta con sé. Emergerà la stratificazione delle materie e dei colori, la maestria delle sfumature, l’anima delle fisionomie.
Pigozzi, M. (2015). Riordino dei Musei. INTRECCI D'ARTE, 1, 1-4.
Riordino dei Musei
PIGOZZI, MARINELLA
2015
Abstract
La politica oggi non va oltre allo stereotipo dell’Italia culla delle arti e delle lettere, paese del sole, del cibo e della bella natura. È questa l’immagine che traspare da Expo 2015, dalle segnalazioni turistiche, ma anche dai discorsi dei personaggi che dicono di essere politici. La cura sia del patrimonio materiale, dai capolavori alle opere di spontanea devozione, sia di quello immateriale è tanto più impellente, quanto più estesa è stata e continua ad essere incisiva la distruzione, la dispersione, la disattenzione. Una millenaria opera di manutenzione del territorio, del museo Italia, è venuta meno assieme a una radicata tradizione culturale ricca di conoscenze tecniche, di miti, di leggende, di impegno civile. È possibile pensare che una particolare disciplina, la Storia dell’Arte, possa trasformare la mentalità delle classi dirigenti o addirittura indirizzare lo sviluppo economico di un intero paese, limitare episodi di speculazione, corruzione, negligenza, malaffare? La Storia dell’Arte da sola non può bastare, ma se si accompagna alla ricerca, al lavoro qualificato, alla giustizia, alla difesa della natura e del paesaggio, alla buona formazione umanistica, scientifica e tecnologica, all’iniziativa locale non limitata da campanilismi e provincialismi, all’imprenditoria giovanile, possiamo trasformare l’immaginazione di futuro in futuro possibile. L’uso innovativo dell’arte incoraggia la partecipazione, la coesione. Lo stiamo vedendo con il successo della creativa Street Art nelle periferie. Non è solo arte di strada, mostra i colori della vita, il dialogo fra arte e vita che sa spronare coinvolgendo gli sguardi. La Storia dell’Arte può diventare il pungolo, il puntello, il collante all’interno delle istituzioni centrali e decentrate preposte alla tutela, un positivo vettore economico creatore di lavoro. Assieme, in un sistema integrato fra musei, archivi, biblioteche, università, sarà allora possibile non solo conservare, bensì meglio conoscere e valorizzare il patrimonio diffuso che sinora ha saputo coniugare eredità classica, messaggio cristiano, impegno civile. Il legame tra la tutela e la ricerca e tra la difesa e la valorizzazione deve diventare sempre più stretto. In più occasioni ho ricordato l’articolo 9 della Costituzione, dove si afferma che la tutela del patrimonio e del paesaggio si salda con la ricerca scientifica1. Occorre infittire le maglie della rete protettiva, ma non è utile ingabbiare la tutela nei soli ristretti piani tecnico-giuridici, anche se le leggi, i bandi, i provvedimenti degli antichi Stati italiani preunitari, dello Stato della Chiesa soprattutto, la legge del 1909 del parlamentare Rosadi, precisata dal ministro Bottai, sono stati in passato esemplari per il mondo intero2. La legge sul riordinamento delle Soprintendenze alle Antichità e alle Belle Arti, sulla tutela delle cose di interesse artistico e storico e per la protezione delle bellezze naturali, nonché le norme istitutive dell’Istituto Centrale del Restauro, sono tutte del 1939. Il rischio di modifiche al Codice dei Beni Culturali è sempre attuale. Anche di recente è stato proposto di eliminare i lacci alla libera circolazione limitando la protezione ai beni aventi oltre cento anni d’età, non più cinquanta, l’estensione di tale soglia cronologica al procedimento di dichiarazione di interesse, la tradizionale notifica, l’introduzione delle soglie di valore per le diverse classi di oggetti, al di sotto delle quali si potrà concedere l’attestato di libera circolazione. È necessario valorizzare le opere del Novecento, non favorirne la dispersione, e coinvolgere tutta la collettività nella consapevolezza dell’effettivo peso culturale e storico, non solo economico. Abbiamo oltre 46000 beni architettonici, 4588 musei, 12700 biblioteche, 51 sedi Unesco. La diversità e la varietà del territorio, del paesaggio, dei centri urbani, dell’Italia intera e del suo sedimento storico sono un’accattivante ricchezza capace di dialogare con l’internazionalismo culturale. La globalizzazione ci invita ad aprirci al confronto, non alla perdita della consapevolezza della propria individualità. Gli abitanti per primi potranno accettare la diversità non come un limite, ma come una stimolante e arricchente variabilità da cogliere con tutti i sensi, rispettandola per goderne di più e più a lungo. I musei, soprattutto quelli di arte contemporanea, oggi rivendicano con forza la loro presenza nella città, molti si propongono quali cittadelle della cultura, nuovo baricentro dei percorsi, occasione di inclusione sociale. Non possono permettersi di essere solo depositi passivi, occorre che allestiscano le loro opere in maniera inedita, sempre mutevole, anche provocatoria, divertente, per invitare al ritorno. I visitatori occasionali diventeranno i frequentatori appassionati dei musei mutanti per approfondire la conoscenza di un’opera che ha emozionato, esaudire il desiderio amoroso e inestinguibile per il sapere, non solo per fotografarsi col selfie stick davanti a un’opera che neanche guardano. Gli scolari diventati padri e madri desidereranno rispettare, frequentare quanto li circonda e parteciparvi per goderne con i figli. Sempre più necessario diventa il lavoro di concerto per snellire le procedure, per rendere più omogenee le decisioni dei diversi uffici preposti all’esportazione. In parallelo occorre attuare una efficace politica di sgravi fiscali per i donatori di collezioni o di singoli beni culturali, per il restauro degli edifici. Va favorita con il controllo dello Stato la libera iniziativa dei cittadini nello svolgimento di attività di interesse culturale e utili alla collettività. Sempre più strategica diventa, accanto alla semplificazione delle amministrazioni periferiche oltre a quella centrale, la comunicazione all’esterno e all’interno dei musei per favorirne la valorizzazione. Le nuove tecnologie multimediali offrono alle istituzioni che si occupano di patrimonio un modo nuovo di connettersi con il pubblico, di coinvolgerlo per la creazione di nuove reti di conoscenza del bene culturale, patrimonio di tutti, un concetto sempre più esteso. Piattaforme digitali, tavoli touchscreen, penne hi-tech permettono ai visitatori di costruire un proprio percorso, di tenerne traccia. Certo marketing e comunicazione sono sempre più richiesti, per non dire imposti, soprattutto ora che i musei, quelli statali, hanno visto riconosciuto lo status giuridico di istituto della cultura e devono diventare autonomi economicamente. Sono le leve fondamentali per lo sviluppo della cultura? Sempre più necessario diventa un sistema museale nazionale che metta in dialogo i musei di ogni tipo fra di loro ponendo fine all’analfabetismo funzionale, sempre più centrale diventa il ruolo giocato dal web e in generale dalle nuove tecnologie della comunicazione e della digitalizzazione, non possiamo ignorarlo. Ma non permettiamo che ci divorino, non dimentichiamo il ruolo della ricerca scientifica e tecnica, il ruolo dell’educazione, propri della missione dei musei, la forza della parola del personale dei musei formatosi nelle aule universitarie di Storia dell’Arte, la forza di un incontro ravvicinato con l’opera che potrà collegarsi al bagaglio di conoscenze che ognuno porta con sé. Emergerà la stratificazione delle materie e dei colori, la maestria delle sfumature, l’anima delle fisionomie.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.