In ossequio alle pronunzie di poetica dello stesso Primo Levi, il quale giudicava innaturale la separazione tra le cosiddette due culture e anzi auspicava il continuo attraversamento dei confini spesso surrettiziamente innalzati tra scienza e letteratura, il saggio mostra come nella stesura del suo “Sistema periodico“ si ricorra agli elementi della Tavola di Mendeleev per dare luogo a una sorta di autobiografia. E si fa vedere come nei suoi racconti di fantascienza raccolti in “Storie naturali“ e in “Vizio di forma“ la scienza e soprattutto la chimica siano impiegate dallo scrittore per estendere le sue capacità di osservazione dal mondo della natura al mondo degli uomini. Lungi dall’essere un “io diviso”, l’uomo deve mettere in atto tutti gli strumenti cognitivi a disposizione, compresi quelli pratici e manuali, tipici di un sapere tecnologico, cui non si può negare un valore formativo. Di questa componente il saggio mette in rilievo un connotato etico, quello dell’umiltà, espressione del riconoscimento di «mestieri» che non possono più fare a meno di integrarsi con esperienze non esclusivamente settoriali. L’irresistibile passione di Levi per la tecnica ancora più che per la scienza e il tributo incondizionato pagato alla manualità sono visti nel saggio come aspetti ereditati dalla cultura positivistica di fine Ottocento, spogliata però di facile ottimismo. Nel momento stesso in cui investe l’interrogazione della natura di un ethos che non lesina ogni sforzo per conoscerne i comportamenti, fiducioso nelle possibilità cognitive dell’uomo, Levi è anche pronto a denunciare la hybris di quanti pretendono di farle violenza. Sono questi i temi dominanti dei racconti che formano il dittico delle “Storie naturali“ e di “Vizio di forma“, dove figurano macchine che duplicano l’uomo, congegni che scrivono poesie, misuratori di bellezza, indicatori del carattere delle persone, apparecchi che suscitano sensazioni nel cervello senza la mediazione dei sensi immergendo l’uomo in situazioni e vicende affatto virtuali, esperimenti di ingegneria genetica che fanno nascere i bambini in laboratorio, progetti di creare l’uomo con gli stessi criteri con cui si fabbrica una macchina, dopo che una commissione di tecnici e scienziati ha studiato i rapporti economici tra costi e benefici. I suoi racconti dimostrano che gli scrittori possono trattare di scienza senza doverne per forza fare un feticcio da venerare o un mostro da esecrare. Abbandonati i pretesi imperialismi dell’una o dell’altra cultura, Levi si è appostato nelle zone di confine, dove ha gettato senza paura le sue passerelle tra cultura scientifica e cultura letteraria, per non rinunciare alle sue scorrerie nei territori dell’«altrui mestiere».
Andrea, B. (2015). Le scorribande di Primo Levi nei territori dell’“altrui mestiere”. RIVISTA DI STUDI ITALIANI, 33(2), 143-154.
Le scorribande di Primo Levi nei territori dell’“altrui mestiere”
BATTISTINI, ANDREA
2015
Abstract
In ossequio alle pronunzie di poetica dello stesso Primo Levi, il quale giudicava innaturale la separazione tra le cosiddette due culture e anzi auspicava il continuo attraversamento dei confini spesso surrettiziamente innalzati tra scienza e letteratura, il saggio mostra come nella stesura del suo “Sistema periodico“ si ricorra agli elementi della Tavola di Mendeleev per dare luogo a una sorta di autobiografia. E si fa vedere come nei suoi racconti di fantascienza raccolti in “Storie naturali“ e in “Vizio di forma“ la scienza e soprattutto la chimica siano impiegate dallo scrittore per estendere le sue capacità di osservazione dal mondo della natura al mondo degli uomini. Lungi dall’essere un “io diviso”, l’uomo deve mettere in atto tutti gli strumenti cognitivi a disposizione, compresi quelli pratici e manuali, tipici di un sapere tecnologico, cui non si può negare un valore formativo. Di questa componente il saggio mette in rilievo un connotato etico, quello dell’umiltà, espressione del riconoscimento di «mestieri» che non possono più fare a meno di integrarsi con esperienze non esclusivamente settoriali. L’irresistibile passione di Levi per la tecnica ancora più che per la scienza e il tributo incondizionato pagato alla manualità sono visti nel saggio come aspetti ereditati dalla cultura positivistica di fine Ottocento, spogliata però di facile ottimismo. Nel momento stesso in cui investe l’interrogazione della natura di un ethos che non lesina ogni sforzo per conoscerne i comportamenti, fiducioso nelle possibilità cognitive dell’uomo, Levi è anche pronto a denunciare la hybris di quanti pretendono di farle violenza. Sono questi i temi dominanti dei racconti che formano il dittico delle “Storie naturali“ e di “Vizio di forma“, dove figurano macchine che duplicano l’uomo, congegni che scrivono poesie, misuratori di bellezza, indicatori del carattere delle persone, apparecchi che suscitano sensazioni nel cervello senza la mediazione dei sensi immergendo l’uomo in situazioni e vicende affatto virtuali, esperimenti di ingegneria genetica che fanno nascere i bambini in laboratorio, progetti di creare l’uomo con gli stessi criteri con cui si fabbrica una macchina, dopo che una commissione di tecnici e scienziati ha studiato i rapporti economici tra costi e benefici. I suoi racconti dimostrano che gli scrittori possono trattare di scienza senza doverne per forza fare un feticcio da venerare o un mostro da esecrare. Abbandonati i pretesi imperialismi dell’una o dell’altra cultura, Levi si è appostato nelle zone di confine, dove ha gettato senza paura le sue passerelle tra cultura scientifica e cultura letteraria, per non rinunciare alle sue scorrerie nei territori dell’«altrui mestiere».I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.


