Il saggio trae origine dalla necessità, largamente percepita nell'ambito degli studi femministi, di affrontare la critica anti-essenzialista sviluppata dai "gender studies". Mettendo in questione la nozione di "donna" in quanto categoria epistemologica, le teoriche antiessenzialiste hanno posto un serio ostacolo all'approccio tradizionalmente universalista e inclusivo della teoria e della pratica femminista. Pur riconoscendo la validità di una critica che di fatto ha le sue radici nel pensiero femminista della differenza, occorre fare attenzione affinché essa non si traduca in una pura e semplice dismissione dell'ambito disciplinare rappresentato dagli studi sulle donne. Nell'affrontare un progetto collettivo di storia femminista del cinema come quello che ha preso forma negli ultimi anni sotto il nome di "Women Film Pioneers", dobbiamo sforzarci di chiarire perché e in quale prospettiva stiamo ancora parlando di donne, perché e in quale prospettiva siamo ancora interessate a sviluppare un progetto storiografico focalizzato su figure femminili. Il saggio tenta di mostrare in che modo il paradigma del "genere come serialità" proposto alcuni anni fa da Iris Marion Young possa servire a superare i limiti evidenti di quella semplicistica opposizione troppo spesso affermata tra l'approccio essenzialista e quello costruzionista, permettendo di argomentare che la modellazione sociale delle identità sessuali è molto più che una semplice nozione teorica, nella misura in cui opera come un processo fattuale che agisce come limitazione concreta delle possibilità di performanza dei soggetti. In altri termini, ciò che, soprattutto in prospettiva storica, risulta più che mai chiaro è che le identità di genere sono molto meno una scelta che un imperativo sociale e che, per i singoli soggetti, trovarsi collocate nella serie femminile risulta fatalmente in una seria limitazione dello spettro delle possibili performanze. L'assunzione di questo paradigma rende possibile un'analisi della storia del cinema che sappia rendere conto anche di quegli aspetti che la teoria femminista tradizionale era incline a trattare ideologicamente, o ignorandoli, o dandone una lettura tendenziosa, come per esempio gli aspetti regressivi della cultura, spesso francamente patriarcale, di molte donne cineaste attive in Italia durante il periodo muto, il loro antifemminismo ecc. Tale approccio permette inoltre di valutare correttamente ciò che appare come un importante elemento comune all'esperienza di queste donne: la loro esperienza del fallimento, che in questa prospettiva può finalmente essere apprezzata nel suo vero valore, come il frutto di un desiderio troppo audace e troppo intenso per potersi mantenere entro i limiti socialmente stabiliti delle performanze di genere.

M. Dall'Asta (2008). Sfide e prospettive di una storia femminista del cinema. LA VALLE DELL'EDEN, 19, luglio-dicembre 2007, 81-94.

Sfide e prospettive di una storia femminista del cinema

DALL'ASTA, MONICA
2008

Abstract

Il saggio trae origine dalla necessità, largamente percepita nell'ambito degli studi femministi, di affrontare la critica anti-essenzialista sviluppata dai "gender studies". Mettendo in questione la nozione di "donna" in quanto categoria epistemologica, le teoriche antiessenzialiste hanno posto un serio ostacolo all'approccio tradizionalmente universalista e inclusivo della teoria e della pratica femminista. Pur riconoscendo la validità di una critica che di fatto ha le sue radici nel pensiero femminista della differenza, occorre fare attenzione affinché essa non si traduca in una pura e semplice dismissione dell'ambito disciplinare rappresentato dagli studi sulle donne. Nell'affrontare un progetto collettivo di storia femminista del cinema come quello che ha preso forma negli ultimi anni sotto il nome di "Women Film Pioneers", dobbiamo sforzarci di chiarire perché e in quale prospettiva stiamo ancora parlando di donne, perché e in quale prospettiva siamo ancora interessate a sviluppare un progetto storiografico focalizzato su figure femminili. Il saggio tenta di mostrare in che modo il paradigma del "genere come serialità" proposto alcuni anni fa da Iris Marion Young possa servire a superare i limiti evidenti di quella semplicistica opposizione troppo spesso affermata tra l'approccio essenzialista e quello costruzionista, permettendo di argomentare che la modellazione sociale delle identità sessuali è molto più che una semplice nozione teorica, nella misura in cui opera come un processo fattuale che agisce come limitazione concreta delle possibilità di performanza dei soggetti. In altri termini, ciò che, soprattutto in prospettiva storica, risulta più che mai chiaro è che le identità di genere sono molto meno una scelta che un imperativo sociale e che, per i singoli soggetti, trovarsi collocate nella serie femminile risulta fatalmente in una seria limitazione dello spettro delle possibili performanze. L'assunzione di questo paradigma rende possibile un'analisi della storia del cinema che sappia rendere conto anche di quegli aspetti che la teoria femminista tradizionale era incline a trattare ideologicamente, o ignorandoli, o dandone una lettura tendenziosa, come per esempio gli aspetti regressivi della cultura, spesso francamente patriarcale, di molte donne cineaste attive in Italia durante il periodo muto, il loro antifemminismo ecc. Tale approccio permette inoltre di valutare correttamente ciò che appare come un importante elemento comune all'esperienza di queste donne: la loro esperienza del fallimento, che in questa prospettiva può finalmente essere apprezzata nel suo vero valore, come il frutto di un desiderio troppo audace e troppo intenso per potersi mantenere entro i limiti socialmente stabiliti delle performanze di genere.
2008
M. Dall'Asta (2008). Sfide e prospettive di una storia femminista del cinema. LA VALLE DELL'EDEN, 19, luglio-dicembre 2007, 81-94.
M. Dall'Asta
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