John Hejduk. I nuovi programmi dell'architettura delle "maschere"

The global crisis in our development model affects architecture directly, if it is true that for Gadamer its “ruling and founding” role concerns its capacity to represent a horizon of common consciousness within institutions, in which a community can self-represent and recognize itself. For Bauman (2000) this is an epochal epistemic leap, in which all the social presuppositions that the individual used to found his nature as uomo pubblico on are liquefied (Sennet, 1982), along with his capacity and desire to participate and communicate, in other words, his identity. On the basis of these presuppositions, my work intends to investigate one of the roads that architecture suggests to regenerate the individual while reconsidering its own monumental (from memento, remember) and representative presuppositions in the era of liquid modernity. To do so, it looks at the work of the architect John Hejduk, and especially the architecture of “masques”, which, in the American society of the early '80s, prophetically tackled the themes of our global and universal contemporary situation: the solitude of the individual, the relationship between individual and community and hence the urban and political question (polis), the “loss of the centre” with the consequent crisis in architectural language (and the ensuing chaotic and simulacral condition contemporary architecture finds itself in). Hejduk's answer points directly at the heart of architecture, i.e. it concerns the search for a reason in common between architecture and user, passing via the symbolic and archetypal dimension. If the conventions on which the bourgeois city was built are no longer recognized, architecture brings into play all its expressive potential by operating on two fronts: re-education and care of the individual through the formulation of new "ad hoc" functional programmes; a re-monumentalization of architecture through formal expression that, by leveraging the evocative power of the symbol, is able to “meet” the citizen-user in the depths of his unconscious archetypal nature.

/ La crisi globale del nostro modello di sviluppo coinvolge direttamente l'architettura, se è vero che per Gadamer il suo ruolo “reggente e fondante” riguarda la capacità di rappresentare nelle istituzioni un orizzonte di coscienza comune, in cui una comunità possa auto-rappresentarsi e riconoscersi. Per Bauman (2000) si tratta di un salto epistemico epocale nel quale vengono liquefatti tutti i presupposti sociali sui quali l'individuo fondava la sua natura di uomo pubblico (Sennet, 1982), la sua capacità e volontà di partecipare e di comunicare, in altre parole la sua identità. Sulla base di tali presupposti, il mio lavoro intende indagare una delle strade che l'architettura suggerisce per rigenerare l'individuo e ripensare i propri presupposti monumentali (da memento, ricordare) e rappresentativi nell'epoca della modernità liquida. Per fare ciò, prende in esame l'opera dell'architetto John Hejduk e specialmente l'architettura delle “maschere”, la quale affronta profeticamente nella società americana dei primi anni '80 i temi della nostra attualità globale ed universale: la solitudine dell'individuo, il rapporto tra individuo e collettività e quindi la questione urbana e politica (polis), la “perdita del centro” e la conseguente crisi del linguaggio architettonico (e la conseguente condizione babelica e simulacrale in cui versa l'architettura contemporanea). La risposta di Hejduk mira direttamente al cuore dell'architettura, riguarda cioè la ricerca di una ragione in comune tra architettura e utente, che passi attraverso la dimensione simbolica e archetipica. Se le convenzioni sulle quali si era costruita la città borghese non vengono oramai più riconosciute, l'architettura mette in campo tutto il suo potenziale espressivo operando su due fronti: la rieducazione e la cura dell'individuo attraverso la formulazione di nuovi programmi funzionali “ad hoc”; una ri-monumentalizzazione dell'architettura attraverso un'espressione formale che, facendo leva sulla potenza evocativa del simbolo, sia in grado di “incontrare” il cittadino-utente nel profondo della sua natura inconscia ed archetipica.