All’interno del processo di socializzazione, che prende avvio fin dalla più tenera età, si colloca anche la costruzione della identità di genere. Il presupposto dal quale si sviluppano le considerazioni che seguono consiste nel considerare le relazioni tra i due sessi culturalmente e storicamente determinate. Se infatti il sesso di appartenenza di un individuo è biologicamente determinato, ciò che è appropriato per ciascun sesso in un certo gruppo culturale e in un determinato momento storico rappresenta il frutto di una costruzione sociale. Secondo Nicholson (1996) «il sesso è il contenitore simbolico che in relazione al tema della differenza sessuale utilizza criteri di classificazione fondati su dati biologico-naturali e il genere è il costrutto che [...] individua il focus della riflessione sulla considerazione della rilevanza di specifiche istanze o determinanti socio-culturali». In letteratura si riscontrano dati che dimostrano come l’acquisizione dell’appartenenza di genere interessi bambini in tenera età. Capecchi (1997) ad esempio ha condotto uno studio con bambini e bambine, dal quale è emerso che già a tre anni essi riescono a collocarsi all’interno di categorie di genere e di richiamarle quando devono dare una definizione di sé. L’acquisizione del gender passa sia attraverso messaggi espliciti e intenzionalmente trasmessi dalle generazioni più mature a quelle più giovani, sia attraverso la veicolazione più o meno consapevole di stereotipi e di aspettative di conformità a norme comportamentali considerate adeguate in base al sesso (Gianini Belotti 1973; Mapelli 2007; Gamberi, Maio, Selmi 2010). Stanti queste premesse il contesto educativo e la professionalità degli insegnanti assumono un ruolo importante nel processo di acquisizione del genere. In merito esistono pochi studi empirici che aiutano a cogliere le culture di genere diffuse tra gli insegnanti. Pertanto si è voluto dare un contributo conoscitivo in proposito, raccogliendo e analizzando dati relativi alla percezione della professionalità insegnante e dell’agire educativo espresse da un campione di insegnanti di scuola dell’infanzia e genitori (di bambini frequentanti tali scuole) appartenenti al territorio emiliano-romagnolo. I dati sembrano sottolineare quanto l’educazione di genere passi attraverso pratiche irriflesse, che non sottoponendo al vaglio critico azioni, parole e atteggiamenti rischiano di diventare veicolo di stereotipizzazioni sessiste. Nel campione indagato sono emerse posizioni orientate a una neutralità che mette sullo stesso piano maschi e femmine. Dietro questo egualitarismo tuttavia è stato possibile cogliere pedagogie di genere latenti, secondo le quali si interpretano diversamente inclinazioni, preferenze e atteggiamenti di bambini e bambine. A partire da esse possono scaturire poi in maniera più o meno consapevole condotte diversificate in relazione ai due generi. Atteggiamenti neutrali e condotte diversificate costituiscono entrambi sentieri che rischiano di condurre lontano dagli equilibri di genere: i primi tendono a (mal)celare differenze che pure esistono, con l’effetto di offrire soluzioni sommarie ai problemi che la gestione di tali differenze necessariamente comporta, primo fra tutti l’approdo a un chiaro patto educativo con le famiglie che stabilisca quali scelte in ambito di educazione di genere intenda fare la scuola. Le seconde invece spesso prescindono da doverose riflessioni su princìpi e valori che le ispirano e, prive di presupposti espliciti, condivisi e pedagogicamente fondati, risultano illegittime. La questione di genere attraversa la professionalità insegnante anche da una prospettiva diversa da quella inerente le differenze di genere nell’infanzia: la stessa appartenenza di genere degli insegnanti esercita ricadute sulla professionalità. Da un lato si è messo in evidenza come questa professione sia, nonostante tutto, ancora oggi pensata come estensione del ruolo materno: le donne sono considerate infatti più competenti nelle sfere affettiva e relazionale. Dall’altro è emerso come l’apporto degli insegnanti uomini nel contesto educativo sia valutato positivamente e come essi siano addirittura ipervalorizzati dalle colleghe. L’insieme di queste riflessioni unite alla considerazione che la scuola dell’infanzia accoglie utenti in una fascia di età - quella 3-6 anni - dove si va formando l’identità di genere, porta a concludere che sia quanto mai inopportuno che i modelli di mascolinità e femminilità veicolati non si sorreggano su solide fondamenta. Ben si può comprendere dunque la necessità che il tema del genere rientri a pieno titolo nella formazione iniziale e in servizio degli insegnanti, per contrastare la riproduzione degli stereotipi di genere e dare un’opportunità in più alle future generazioni di percorrere sentieri verso una reale parità che non sia il semplice frutto di un egualitarismo di facciata.

Professionalità degli insegnanti ed educazione di genere

TRUFFELLI, ELISA
2014

Abstract

All’interno del processo di socializzazione, che prende avvio fin dalla più tenera età, si colloca anche la costruzione della identità di genere. Il presupposto dal quale si sviluppano le considerazioni che seguono consiste nel considerare le relazioni tra i due sessi culturalmente e storicamente determinate. Se infatti il sesso di appartenenza di un individuo è biologicamente determinato, ciò che è appropriato per ciascun sesso in un certo gruppo culturale e in un determinato momento storico rappresenta il frutto di una costruzione sociale. Secondo Nicholson (1996) «il sesso è il contenitore simbolico che in relazione al tema della differenza sessuale utilizza criteri di classificazione fondati su dati biologico-naturali e il genere è il costrutto che [...] individua il focus della riflessione sulla considerazione della rilevanza di specifiche istanze o determinanti socio-culturali». In letteratura si riscontrano dati che dimostrano come l’acquisizione dell’appartenenza di genere interessi bambini in tenera età. Capecchi (1997) ad esempio ha condotto uno studio con bambini e bambine, dal quale è emerso che già a tre anni essi riescono a collocarsi all’interno di categorie di genere e di richiamarle quando devono dare una definizione di sé. L’acquisizione del gender passa sia attraverso messaggi espliciti e intenzionalmente trasmessi dalle generazioni più mature a quelle più giovani, sia attraverso la veicolazione più o meno consapevole di stereotipi e di aspettative di conformità a norme comportamentali considerate adeguate in base al sesso (Gianini Belotti 1973; Mapelli 2007; Gamberi, Maio, Selmi 2010). Stanti queste premesse il contesto educativo e la professionalità degli insegnanti assumono un ruolo importante nel processo di acquisizione del genere. In merito esistono pochi studi empirici che aiutano a cogliere le culture di genere diffuse tra gli insegnanti. Pertanto si è voluto dare un contributo conoscitivo in proposito, raccogliendo e analizzando dati relativi alla percezione della professionalità insegnante e dell’agire educativo espresse da un campione di insegnanti di scuola dell’infanzia e genitori (di bambini frequentanti tali scuole) appartenenti al territorio emiliano-romagnolo. I dati sembrano sottolineare quanto l’educazione di genere passi attraverso pratiche irriflesse, che non sottoponendo al vaglio critico azioni, parole e atteggiamenti rischiano di diventare veicolo di stereotipizzazioni sessiste. Nel campione indagato sono emerse posizioni orientate a una neutralità che mette sullo stesso piano maschi e femmine. Dietro questo egualitarismo tuttavia è stato possibile cogliere pedagogie di genere latenti, secondo le quali si interpretano diversamente inclinazioni, preferenze e atteggiamenti di bambini e bambine. A partire da esse possono scaturire poi in maniera più o meno consapevole condotte diversificate in relazione ai due generi. Atteggiamenti neutrali e condotte diversificate costituiscono entrambi sentieri che rischiano di condurre lontano dagli equilibri di genere: i primi tendono a (mal)celare differenze che pure esistono, con l’effetto di offrire soluzioni sommarie ai problemi che la gestione di tali differenze necessariamente comporta, primo fra tutti l’approdo a un chiaro patto educativo con le famiglie che stabilisca quali scelte in ambito di educazione di genere intenda fare la scuola. Le seconde invece spesso prescindono da doverose riflessioni su princìpi e valori che le ispirano e, prive di presupposti espliciti, condivisi e pedagogicamente fondati, risultano illegittime. La questione di genere attraversa la professionalità insegnante anche da una prospettiva diversa da quella inerente le differenze di genere nell’infanzia: la stessa appartenenza di genere degli insegnanti esercita ricadute sulla professionalità. Da un lato si è messo in evidenza come questa professione sia, nonostante tutto, ancora oggi pensata come estensione del ruolo materno: le donne sono considerate infatti più competenti nelle sfere affettiva e relazionale. Dall’altro è emerso come l’apporto degli insegnanti uomini nel contesto educativo sia valutato positivamente e come essi siano addirittura ipervalorizzati dalle colleghe. L’insieme di queste riflessioni unite alla considerazione che la scuola dell’infanzia accoglie utenti in una fascia di età - quella 3-6 anni - dove si va formando l’identità di genere, porta a concludere che sia quanto mai inopportuno che i modelli di mascolinità e femminilità veicolati non si sorreggano su solide fondamenta. Ben si può comprendere dunque la necessità che il tema del genere rientri a pieno titolo nella formazione iniziale e in servizio degli insegnanti, per contrastare la riproduzione degli stereotipi di genere e dare un’opportunità in più alle future generazioni di percorrere sentieri verso una reale parità che non sia il semplice frutto di un egualitarismo di facciata.
2014
La professionalità dell’insegnante. Valorizzare il passato, progettare il futuro
183
191
Truffelli, Elisa
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/530135
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