La professione del fisioterapista è sempre stata molto sensibile alla formazione di base e all’aggiornamento professionale e la cura che è stata dedicata alla ricerca dei nostri fondamenti disciplinari non trova analoghi riscontri nelle professioni sanitarie. Prova ne sono le innumerevoli iniziative di formazione che negli ultimi decenni sono state attivate come strumento culturale finalizzato a promuovere metodologie diagnostiche e terapeutiche in fisioterapia, soprattutto per aggiornare le conoscenze e adeguare ai bisogni dei malati il proprio intervento. In epoca recente, nel nostro Paese si è affacciato il progetto “Educazione Continua in Medicina”, a tutti noto con il suo acronimo E.C.M., che ha esteso a tutte le professioni sanitarie questa dimensione formativa, ma che fin dall’inizio è stato anche oggetto di numerose critiche e osservazioni in merito all’opportunità, ad esempio, che una professione come la nostra dovesse modificare il proprio collaudato sistema di sviluppo formativo e culturale che per tanto tempo aveva ben funzionato. Forse è ancora troppo presto, ma dopo qualche anno mi pare che si possa azzardare un primo bilancio, seppur parziale, di questa importante innovazione; credo pertanto di poter dire che il progetto E.C.M. non risponde compiutamente alle attese di conoscenze che sono così fortemente radicate tra i fisioterapisti. E questo nonostante l’impegno e la serietà con i quali la gran parte dei colleghi a cui è stato affidato il compito di valutare gli eventi formativi, cerchi di svolgerlo al meglio. Le ragioni sono altre e sono molteplici, ma possono essere ricondotte a due fattori principali: la natura commerciale del sistema e l’obbligatorietà dell’acquisizione dei crediti. Il primo è facilmente spiegabile: la crescita della domanda di corsi accreditati ha provocato l’aumento del numero di eventi, spesso a scapito della qualità dei prodotti formativi. Il secondo fattore è invece un po’ più complesso e merita qualche riflessione in più. Fino a che è stato affidato al singolo fisioterapista l’onere di preoccuparsi del proprio aggiornamento professionale, il mercato si è orientato automaticamente in funzione dei bisogni reali della disciplina. Ora invece sono quasi sempre le aziende sanitarie, pubbliche e private, che provvedono a regolarizzare la posizione dei propri professionisti organizzando iniziative funzionali allo scopo. Il risultato è quanto meno contraddittorio: sono state azzerate le disponibilità che prima erano concesse a coloro che facevano richiesta di partecipare a eventi scelti da loro stessi (e naturalmente autorizzati), mentre si privilegiano corsi con larghissima partecipazione, a scarso contenuto pratico, che spesso non corrispondono ai bisogni formativi dei professionisti. Certo, questa è solo una faccia della medaglia, quella negativa; anche se ne esistono altre, positive, la questione rimane tuttora aperta. Resta un fatto incontrovertibile: oggi non è facile riuscire a orientarsi nella complessa e accattivante giungla dei corsi di formazione, soprattutto nell’ambito della nostra disciplina che, come tutti ben sappiamo, si sta muovendo in direzione di un riconoscimento scientifico che però ancora non le è proprio. I criteri oggettivi che sono appannaggio delle vere scienze mediche, dunque, non si possono ancora adottare né in fisioterapia né in riabilitazione. In risposta a questo importante quesito, con l’obiettivo di selezionare le proposte più valide e autorevoli, quelle che più di altre contengono elementi che rappresentano la tensione positiva a costruire i fondamenti del nostro operare non in base all’autoreferenzialità, ma in funzione di un livello universale di condivisione, un autorevole collega, David Butler, della Neuro Orthopedic Institute, Adelaide City West, SA, Australia, ci ha invito un contributo, che volentieri pubblico.
Pillastrini P (2007). La Formazione Continua in Fisioterapia: il parere di un Esperto. SCIENZA RIABILITATIVA, 9(2), 5-8.
La Formazione Continua in Fisioterapia: il parere di un Esperto
PILLASTRINI, PAOLO
2007
Abstract
La professione del fisioterapista è sempre stata molto sensibile alla formazione di base e all’aggiornamento professionale e la cura che è stata dedicata alla ricerca dei nostri fondamenti disciplinari non trova analoghi riscontri nelle professioni sanitarie. Prova ne sono le innumerevoli iniziative di formazione che negli ultimi decenni sono state attivate come strumento culturale finalizzato a promuovere metodologie diagnostiche e terapeutiche in fisioterapia, soprattutto per aggiornare le conoscenze e adeguare ai bisogni dei malati il proprio intervento. In epoca recente, nel nostro Paese si è affacciato il progetto “Educazione Continua in Medicina”, a tutti noto con il suo acronimo E.C.M., che ha esteso a tutte le professioni sanitarie questa dimensione formativa, ma che fin dall’inizio è stato anche oggetto di numerose critiche e osservazioni in merito all’opportunità, ad esempio, che una professione come la nostra dovesse modificare il proprio collaudato sistema di sviluppo formativo e culturale che per tanto tempo aveva ben funzionato. Forse è ancora troppo presto, ma dopo qualche anno mi pare che si possa azzardare un primo bilancio, seppur parziale, di questa importante innovazione; credo pertanto di poter dire che il progetto E.C.M. non risponde compiutamente alle attese di conoscenze che sono così fortemente radicate tra i fisioterapisti. E questo nonostante l’impegno e la serietà con i quali la gran parte dei colleghi a cui è stato affidato il compito di valutare gli eventi formativi, cerchi di svolgerlo al meglio. Le ragioni sono altre e sono molteplici, ma possono essere ricondotte a due fattori principali: la natura commerciale del sistema e l’obbligatorietà dell’acquisizione dei crediti. Il primo è facilmente spiegabile: la crescita della domanda di corsi accreditati ha provocato l’aumento del numero di eventi, spesso a scapito della qualità dei prodotti formativi. Il secondo fattore è invece un po’ più complesso e merita qualche riflessione in più. Fino a che è stato affidato al singolo fisioterapista l’onere di preoccuparsi del proprio aggiornamento professionale, il mercato si è orientato automaticamente in funzione dei bisogni reali della disciplina. Ora invece sono quasi sempre le aziende sanitarie, pubbliche e private, che provvedono a regolarizzare la posizione dei propri professionisti organizzando iniziative funzionali allo scopo. Il risultato è quanto meno contraddittorio: sono state azzerate le disponibilità che prima erano concesse a coloro che facevano richiesta di partecipare a eventi scelti da loro stessi (e naturalmente autorizzati), mentre si privilegiano corsi con larghissima partecipazione, a scarso contenuto pratico, che spesso non corrispondono ai bisogni formativi dei professionisti. Certo, questa è solo una faccia della medaglia, quella negativa; anche se ne esistono altre, positive, la questione rimane tuttora aperta. Resta un fatto incontrovertibile: oggi non è facile riuscire a orientarsi nella complessa e accattivante giungla dei corsi di formazione, soprattutto nell’ambito della nostra disciplina che, come tutti ben sappiamo, si sta muovendo in direzione di un riconoscimento scientifico che però ancora non le è proprio. I criteri oggettivi che sono appannaggio delle vere scienze mediche, dunque, non si possono ancora adottare né in fisioterapia né in riabilitazione. In risposta a questo importante quesito, con l’obiettivo di selezionare le proposte più valide e autorevoli, quelle che più di altre contengono elementi che rappresentano la tensione positiva a costruire i fondamenti del nostro operare non in base all’autoreferenzialità, ma in funzione di un livello universale di condivisione, un autorevole collega, David Butler, della Neuro Orthopedic Institute, Adelaide City West, SA, Australia, ci ha invito un contributo, che volentieri pubblico.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.