L’universo dei minori, figli di migranti, in Italia, è vario e multiforme poiché numerosi sono i fattori che contribuiscono a renderlo complesso; già l’accezione “minore straniero” (molto diffusa) non esplicita l’articolazione e la poliedricità della situazione (minori non accompagnati, ricongiunti, nati in Italia da genitori migranti ecc. ) e per questo preferiamo utilizzare l’espressione “figli di migranti”. Altro elemento di molteplicità è costituito dalla eterogeneità dei paesi di provenienza (si pensi, ad esempio, che nel solo territorio del Comune di Bologna sono presenti cittadini di 142 paesi), a testimonianza del fatto che i flussi migratori, nella loro duplice componente di movimento in entrata e uscita, non sono più una esperienza limitata ad alcune aree, ma costituiscono un fenomeno mondiale, comune ad ogni continente. In questo quadro di complessità, un dato innegabile è la crescita numerica della presenza di bambini e ragazzi figli di migranti nei servizi per la prima infanzia (fascia 0-6 anni) e nelle scuole dell’obbligo italiane: secondo il Rapporto Caritas/Migrantes 2008, anche nell’a.s. 2007/2008 l’Emilia-Romagna è la regione con la percentuale maggiore di alunni con cittadinanza non italiana: si è raggiunto, infatti, l’11,8%; nell’a.s. 2006/2007, invece, la percentuale era del 10,7 (media nazionale 6,4%); in particolare, c’è un incremento significativo nella scuola primaria e secondaria di primo grado, dove la percentuale degli alunni stranieri supera già il 13%. La situazione del capoluogo di regione è analoga: dai dati presentati dal Comune di Bologna - Settore Istruzione e Politiche delle differenze - nella pubblicazione Alunne/i con cittadinanza non italiana nella scuola statale e non statale primaria, secondaria di primo grado e di secondo grado. a.s. 2007/08, risulta che per quest'anno la componente straniera rappresenta l’11,85% della popolazione scolastica, mentre nel 2006/06 era il 10,9%. Il fenomeno migratorio, inoltre, si sviluppa in un’epoca di crisi, prepotentemente influenzata dal processo di globalizzazione, che coinvolge profondamente i paesi di accoglienza rendendoli più “fragili” dal punto di vista sociale, culturale ed economico; nel nostro tessuto culturale si può verificare quello che ha intuito Z. Bauman dicendo: “La più grande vittima della globalizzazione è la solidarietà”. La consistenza del fenomeno migratorio e l’impatto con i sistemi educativi e sanitari dei paesi di accoglienza suscita, indubbiamente, nuove problematiche organizzative, sociali e culturali che, però, non dovrebbero essere percepite ed interpretate con modalità “emotive”, ossia scarsamente sostenute da una conoscenza realistica della situazione concreta. I servizi educativi e scolastici hanno un ruolo chiave per scongiurare queste tendenze e per facilitare il processo di integrazione; possono, infatti, promuovere un approccio educativo che sia all'altezza dei problemi di una società complessa e mobile come quella attuale. Essi sono chiamati in causa non solo per fornire risposte alle trasformazioni sociali, ma anche, e soprattutto, per dare corpo ad un nuovo modo di concepire l’educazione che sia adeguato a preparare i giovani all’interscambio interculturale, al dialogo internazionale, alla convivenza mondiale. In alcuni casi, tuttavia, la presenza di bambini figli di migranti negli scuole italiane viene osservata quasi esclusivamente con un'ottica di inquietudine ed interpretata come elemento destabilizzante che solleva nuove ed ulteriori problematicità: questa prospettiva rischia di rinforzare spinte socialmente regressive come il rafforzamento di false e/o deviate rappresentazioni sociali, di enfatiche stereotipizzazioni, di atteggiamenti pregiudiziali e di esclusione sociale del “diverso” o di ciò che sembra apparire tale. La prospettiva che individua e definisce l’alunno figlio di migranti come aprioristicamente problematico, inoltre, rischia di oscurare le potenzialità insite nei processi di integrazione delle differenze (ampiamente rilevate dalla letteratura scientifica), che possono contribuire all'avvio e al consolidamento di spinte evolutive nei singoli e nei gruppi, a livello affettivo/relazionale cognitivo/razionale. Quando il minore, figlio di migranti, ha anche una disabilità, il percorso di integrazione diviene ancor più complesso: per questo si ritiene che il lavoro, in ambito educativo, degli operatori dei servizi e degli insegnanti debba essere sostenuto e facilitato dal mondo della ricerca e della riflessione scientifica.

Alunni con disabilità, figli di migranti

CALDIN, ROBERTA
2011

Abstract

L’universo dei minori, figli di migranti, in Italia, è vario e multiforme poiché numerosi sono i fattori che contribuiscono a renderlo complesso; già l’accezione “minore straniero” (molto diffusa) non esplicita l’articolazione e la poliedricità della situazione (minori non accompagnati, ricongiunti, nati in Italia da genitori migranti ecc. ) e per questo preferiamo utilizzare l’espressione “figli di migranti”. Altro elemento di molteplicità è costituito dalla eterogeneità dei paesi di provenienza (si pensi, ad esempio, che nel solo territorio del Comune di Bologna sono presenti cittadini di 142 paesi), a testimonianza del fatto che i flussi migratori, nella loro duplice componente di movimento in entrata e uscita, non sono più una esperienza limitata ad alcune aree, ma costituiscono un fenomeno mondiale, comune ad ogni continente. In questo quadro di complessità, un dato innegabile è la crescita numerica della presenza di bambini e ragazzi figli di migranti nei servizi per la prima infanzia (fascia 0-6 anni) e nelle scuole dell’obbligo italiane: secondo il Rapporto Caritas/Migrantes 2008, anche nell’a.s. 2007/2008 l’Emilia-Romagna è la regione con la percentuale maggiore di alunni con cittadinanza non italiana: si è raggiunto, infatti, l’11,8%; nell’a.s. 2006/2007, invece, la percentuale era del 10,7 (media nazionale 6,4%); in particolare, c’è un incremento significativo nella scuola primaria e secondaria di primo grado, dove la percentuale degli alunni stranieri supera già il 13%. La situazione del capoluogo di regione è analoga: dai dati presentati dal Comune di Bologna - Settore Istruzione e Politiche delle differenze - nella pubblicazione Alunne/i con cittadinanza non italiana nella scuola statale e non statale primaria, secondaria di primo grado e di secondo grado. a.s. 2007/08, risulta che per quest'anno la componente straniera rappresenta l’11,85% della popolazione scolastica, mentre nel 2006/06 era il 10,9%. Il fenomeno migratorio, inoltre, si sviluppa in un’epoca di crisi, prepotentemente influenzata dal processo di globalizzazione, che coinvolge profondamente i paesi di accoglienza rendendoli più “fragili” dal punto di vista sociale, culturale ed economico; nel nostro tessuto culturale si può verificare quello che ha intuito Z. Bauman dicendo: “La più grande vittima della globalizzazione è la solidarietà”. La consistenza del fenomeno migratorio e l’impatto con i sistemi educativi e sanitari dei paesi di accoglienza suscita, indubbiamente, nuove problematiche organizzative, sociali e culturali che, però, non dovrebbero essere percepite ed interpretate con modalità “emotive”, ossia scarsamente sostenute da una conoscenza realistica della situazione concreta. I servizi educativi e scolastici hanno un ruolo chiave per scongiurare queste tendenze e per facilitare il processo di integrazione; possono, infatti, promuovere un approccio educativo che sia all'altezza dei problemi di una società complessa e mobile come quella attuale. Essi sono chiamati in causa non solo per fornire risposte alle trasformazioni sociali, ma anche, e soprattutto, per dare corpo ad un nuovo modo di concepire l’educazione che sia adeguato a preparare i giovani all’interscambio interculturale, al dialogo internazionale, alla convivenza mondiale. In alcuni casi, tuttavia, la presenza di bambini figli di migranti negli scuole italiane viene osservata quasi esclusivamente con un'ottica di inquietudine ed interpretata come elemento destabilizzante che solleva nuove ed ulteriori problematicità: questa prospettiva rischia di rinforzare spinte socialmente regressive come il rafforzamento di false e/o deviate rappresentazioni sociali, di enfatiche stereotipizzazioni, di atteggiamenti pregiudiziali e di esclusione sociale del “diverso” o di ciò che sembra apparire tale. La prospettiva che individua e definisce l’alunno figlio di migranti come aprioristicamente problematico, inoltre, rischia di oscurare le potenzialità insite nei processi di integrazione delle differenze (ampiamente rilevate dalla letteratura scientifica), che possono contribuire all'avvio e al consolidamento di spinte evolutive nei singoli e nei gruppi, a livello affettivo/relazionale cognitivo/razionale. Quando il minore, figlio di migranti, ha anche una disabilità, il percorso di integrazione diviene ancor più complesso: per questo si ritiene che il lavoro, in ambito educativo, degli operatori dei servizi e degli insegnanti debba essere sostenuto e facilitato dal mondo della ricerca e della riflessione scientifica.
2011
2009
Roberta Caldin
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