L'articolo rivolge una particolare attenzione alla ‘pinacoteca’ di Canetti, al suo rapporto con le immagini e con alcuni grandi quadri decisivi per la messa a fuoco della sua problematica di scrittura, di pensiero e di individuazione dei processi emotivi. Le immagini del copista, a differenza di quelle sulle quali si concentra Canetti, sono basate sulla imitazione e sulla simulazione, sono semplici inizi incompiuti di metamorfosi che distolgono dall’esperienza dei lati oscuri della vita anziché aprire a essi e finiscono per rinchiudere nel circolo identitario tra modello e copia anziché produrre la trasformazione che si dà nella dinamica di identificazione. Le immagini di Canetti, invece, i quadri di Grünewald, Brueghel e Rembrandt, sono formule di pathos, immagini della memoria e dell’apertura, e dischiudono il campo della metamorfosi e della identificazione come via di accesso a una realtà dominata dall’orrore e dal dolore che gli esseri umani si infliggono gli uni gli altri. Tali immagini rendono possibile dare una forma sensibile agli aspetti più duri e difficili del reale, e nel contempo permettono di fronteggiarli senza farsi distruggere da essi e di rielaborarli trasformando se stessi.

“Der Finger des Johannes”. La pinacoteca de Elías Canetti y el recuerdo del horror

BORSARI, ANDREA
2006

Abstract

L'articolo rivolge una particolare attenzione alla ‘pinacoteca’ di Canetti, al suo rapporto con le immagini e con alcuni grandi quadri decisivi per la messa a fuoco della sua problematica di scrittura, di pensiero e di individuazione dei processi emotivi. Le immagini del copista, a differenza di quelle sulle quali si concentra Canetti, sono basate sulla imitazione e sulla simulazione, sono semplici inizi incompiuti di metamorfosi che distolgono dall’esperienza dei lati oscuri della vita anziché aprire a essi e finiscono per rinchiudere nel circolo identitario tra modello e copia anziché produrre la trasformazione che si dà nella dinamica di identificazione. Le immagini di Canetti, invece, i quadri di Grünewald, Brueghel e Rembrandt, sono formule di pathos, immagini della memoria e dell’apertura, e dischiudono il campo della metamorfosi e della identificazione come via di accesso a una realtà dominata dall’orrore e dal dolore che gli esseri umani si infliggono gli uni gli altri. Tali immagini rendono possibile dare una forma sensibile agli aspetti più duri e difficili del reale, e nel contempo permettono di fronteggiarli senza farsi distruggere da essi e di rielaborarli trasformando se stessi.
2006
A. Borsari
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