Frutto del seminario omonimo tenutosi al Centro Incontri Umani di Ascona nell’aprile del 2001, il volume raccoglie undici contributi che indagano, in differenti contesti etnografici, le modalità attraverso le quali le pratiche artistiche ed estetiche delle performance producono e strutturano l’esperienza. Nel saggio introduttivo i curatori, pur non rinnegando l’idea che i concetti di bellezza e di gusto siano il prodotto di processi storici, culturali e politici, affermano di optare per una prospettiva che ponga l’accento sull’agency delle forme e dei processi simbolici. Riferendosi per esempio alle statue, sostengono che “l’agency delle statue, la loro particolare dinamica, struttura il modo in cui esse vengono percepite […] indipendentemente dal fatto che gli esseri umani siano o meno predisposti culturalmente a percepirle/concepirle in modo specifico” (p. 10). Aesthetics in Performance si apre con articoli che analizzano specifiche forme artistiche (la musica, il canto), prosegue con approfondimenti sull’estetica di forme rituali presenti nella vita quotidiana (il culto, le pratiche terapeutiche), per approdare infine a un esame di performance realizzate nel contesto di eventi pubblici non religiosi (il carnevale, le cerimonie politiche, il circo). Gli autori del volume sono in maggioranza antropologi, ma alcuni di loro provengono da altri ambiti disciplinari, in particolare dagli studi indologici e dall’etnomusicologia. William O. Beeman, nel suo articolo “Making Grown Men Weep”, si interroga sulle ragioni per cui il canto provoca negli ascoltatori delle profonde risposte emotive. Postulando la capacità delle pratiche estetiche di superare barriere sociali e culturali, l’autore indaga le reazioni fisiologiche dell’essere umano allo stimolo di specifiche strutture sonore, tra cui il canto e il pianto infantile. David Shulman e Saskia Kersenboom, rispettivamente in “The Buzz of the Gods and the Click of Delight” e in “Songs of Love, Images of Memory”, dimostrano come alcune teorie estetiche provenienti da un contesto “altro”, in questo caso dal mondo indiano, possano risultare estremamente efficaci per un’analisi della performance. Shulman si avvale delle teorie estetiche presenti in un testo del XIII sec., il Sangita-ratnakara (“Il tesoro della musica”) per mostrare come musica e poesia producano analoghi cambiamenti nello stato psicofisico, mentre Kersenboom analizza un canto telugu di Shyama Shastri alla luce dell’approccio teorico di Victor Turner e delle teorie classiche dell’estetica indiana. Anche Rohan Bastin, nel suo “The Hindu Temple and the Aesthetics of the Imaginery”, propone un esempio proveniente dal contesto sudasiatico. Secondo l’autore il tempio hindu possiede una struttura rituale dinamica che condiziona, anche se non determina in senso stretto, le performance che si svolgono al suo interno. Con l’articolo di Steven M. Friedson, “Where the Divine Horsemen Ride: Trance dancing in West Africa”, ci spostiamo in area africana, nel Ghana. L’autore esamina il fenomeno della possessione, intesa come “un modo radicale di essere altrove” sottolineando il ruolo svolto dalla musica nella produzione di questa peculiare pratica performativa. In “Sorcery and the Beautiful: A Discourse on the Aesthetics of Ritual” Bruce Kapferer riconsidera la teoria kantiana sul sublime e quella turneriana sulla liminalità alla luce del caso etnografico di una pratica esorcistica singalese per la cui efficacia l’estetica del rito è ritenuta cruciale. Il saggio di Angela Hobart “Tranformation and Aesthetics in Balinese Masked Performances – Rangda and Barong” mostra come sia riduttiva un’interpretazione delle performance balinesi che ne privilegi l’aspetto artistico-teatrale; a un esame più attento, infatti, la dinamica performativa svela dimensioni della vita quotidiana che i balinesi nascondono a se stessi. In “A Concise Reflection on the Brazilian Carnival” Roberto DaMatta non si accontenta dell’usuale interpretazione del carnevale come rito di inversione, e propone di leggerne le pratiche performative considerando la loro dimensione di dinamica decentrata nella quale risiede, secondo l’autore, la capacità del carnevale di dissolvere la gerarchia e di creare una sostanziale uguaglianza tra i partecipanti. Don Handelman, in “Bureaucratic Logic, Bureaucratic Aesthetics: The Opening Event of Holocaust Martyrs and Heroes Remembrance Day in Israel”, attraverso l’analisi di due giornate commemorative, propone un caso etnografico che può essere descritto come una “estetica del conformismo”. Infine in “Compassion for Animals, Indifference to Humans: Non- and Misperceptions among Circus Audiences in 1970s Britain” Yoram S. Carmeli illustra i cambiamenti occorsi nelle esibizioni circensi in Inghilterra. A uno spettacolo incentrato sulla denaturalizzazione degli animali, ai quali si richiede l’ostentazione di comportamenti antropomorfi, si sostituisce progressivamente, anche in ragione delle critiche degli animalisti, un circo nel quale diventa protagonista l’artista umano concepito come una macchina.

Aesthetics in Performance. Formations of Symbolic Construction and Experience

NATALI, CRISTIANA
2008

Abstract

Frutto del seminario omonimo tenutosi al Centro Incontri Umani di Ascona nell’aprile del 2001, il volume raccoglie undici contributi che indagano, in differenti contesti etnografici, le modalità attraverso le quali le pratiche artistiche ed estetiche delle performance producono e strutturano l’esperienza. Nel saggio introduttivo i curatori, pur non rinnegando l’idea che i concetti di bellezza e di gusto siano il prodotto di processi storici, culturali e politici, affermano di optare per una prospettiva che ponga l’accento sull’agency delle forme e dei processi simbolici. Riferendosi per esempio alle statue, sostengono che “l’agency delle statue, la loro particolare dinamica, struttura il modo in cui esse vengono percepite […] indipendentemente dal fatto che gli esseri umani siano o meno predisposti culturalmente a percepirle/concepirle in modo specifico” (p. 10). Aesthetics in Performance si apre con articoli che analizzano specifiche forme artistiche (la musica, il canto), prosegue con approfondimenti sull’estetica di forme rituali presenti nella vita quotidiana (il culto, le pratiche terapeutiche), per approdare infine a un esame di performance realizzate nel contesto di eventi pubblici non religiosi (il carnevale, le cerimonie politiche, il circo). Gli autori del volume sono in maggioranza antropologi, ma alcuni di loro provengono da altri ambiti disciplinari, in particolare dagli studi indologici e dall’etnomusicologia. William O. Beeman, nel suo articolo “Making Grown Men Weep”, si interroga sulle ragioni per cui il canto provoca negli ascoltatori delle profonde risposte emotive. Postulando la capacità delle pratiche estetiche di superare barriere sociali e culturali, l’autore indaga le reazioni fisiologiche dell’essere umano allo stimolo di specifiche strutture sonore, tra cui il canto e il pianto infantile. David Shulman e Saskia Kersenboom, rispettivamente in “The Buzz of the Gods and the Click of Delight” e in “Songs of Love, Images of Memory”, dimostrano come alcune teorie estetiche provenienti da un contesto “altro”, in questo caso dal mondo indiano, possano risultare estremamente efficaci per un’analisi della performance. Shulman si avvale delle teorie estetiche presenti in un testo del XIII sec., il Sangita-ratnakara (“Il tesoro della musica”) per mostrare come musica e poesia producano analoghi cambiamenti nello stato psicofisico, mentre Kersenboom analizza un canto telugu di Shyama Shastri alla luce dell’approccio teorico di Victor Turner e delle teorie classiche dell’estetica indiana. Anche Rohan Bastin, nel suo “The Hindu Temple and the Aesthetics of the Imaginery”, propone un esempio proveniente dal contesto sudasiatico. Secondo l’autore il tempio hindu possiede una struttura rituale dinamica che condiziona, anche se non determina in senso stretto, le performance che si svolgono al suo interno. Con l’articolo di Steven M. Friedson, “Where the Divine Horsemen Ride: Trance dancing in West Africa”, ci spostiamo in area africana, nel Ghana. L’autore esamina il fenomeno della possessione, intesa come “un modo radicale di essere altrove” sottolineando il ruolo svolto dalla musica nella produzione di questa peculiare pratica performativa. In “Sorcery and the Beautiful: A Discourse on the Aesthetics of Ritual” Bruce Kapferer riconsidera la teoria kantiana sul sublime e quella turneriana sulla liminalità alla luce del caso etnografico di una pratica esorcistica singalese per la cui efficacia l’estetica del rito è ritenuta cruciale. Il saggio di Angela Hobart “Tranformation and Aesthetics in Balinese Masked Performances – Rangda and Barong” mostra come sia riduttiva un’interpretazione delle performance balinesi che ne privilegi l’aspetto artistico-teatrale; a un esame più attento, infatti, la dinamica performativa svela dimensioni della vita quotidiana che i balinesi nascondono a se stessi. In “A Concise Reflection on the Brazilian Carnival” Roberto DaMatta non si accontenta dell’usuale interpretazione del carnevale come rito di inversione, e propone di leggerne le pratiche performative considerando la loro dimensione di dinamica decentrata nella quale risiede, secondo l’autore, la capacità del carnevale di dissolvere la gerarchia e di creare una sostanziale uguaglianza tra i partecipanti. Don Handelman, in “Bureaucratic Logic, Bureaucratic Aesthetics: The Opening Event of Holocaust Martyrs and Heroes Remembrance Day in Israel”, attraverso l’analisi di due giornate commemorative, propone un caso etnografico che può essere descritto come una “estetica del conformismo”. Infine in “Compassion for Animals, Indifference to Humans: Non- and Misperceptions among Circus Audiences in 1970s Britain” Yoram S. Carmeli illustra i cambiamenti occorsi nelle esibizioni circensi in Inghilterra. A uno spettacolo incentrato sulla denaturalizzazione degli animali, ai quali si richiede l’ostentazione di comportamenti antropomorfi, si sostituisce progressivamente, anche in ragione delle critiche degli animalisti, un circo nel quale diventa protagonista l’artista umano concepito come una macchina.
2008
Natali, Cristiana
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