A seguito della completa apertura del mercato comunitario ai prodotti tessili e d’abbigliamento provenienti da tutti i Paesi membri dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) -avvenuta il 1 gennaio 2005- l’aggravamento delle difficoltà che, da tempo, incontravano alcuni settori dell’economia europea a causa delle esportazioni cinesi ha indotto la Commissione ad applicare la speciale clausola di salvaguardia sui tessili, prevista dal Protocollo di adesione della Cina all’OMC, per contenere la notevolissima capacità concorrenziale dei prodotti asiatici. Il regime temporaneo di restrizioni quantitative che si è ripristinato negli scambi tra Unione europea e Repubblica popolare cinese (RPC) desta interesse per due motivi. Innanzitutto, perché si vuole verificare se le due Intese raggiunte tra la Commissione e il governo di Pechino in applicazione della speciale salvaguardia sui tessili risultino adeguate ad affrontare il nodo centrale degli attriti commerciali con la potenza asiatica -vale a dire, il dumping valutario praticato dalle autorità cinesi e l’enorme disparità dei costi di produzione dovuta alle divergenti condizioni ambientali e sociali che devono essere osservate a seconda che il processo manifatturiero abbia luogo in Cina o in Europa. Inoltre, le Intese sulla limitazione delle esportazioni rivestono notevole importanza perchè fanno luce su un particolare aspetto istituzionale del sistema comunitario, politicamente molto sensibile e per questo mai compiutamente rappresentato. Si tratta della possibilità per il Collegio, nella gestione delle misure di politica commerciale, di concordare con i paesi terzi le salvaguardie necessarie alla produzione europea, in esecuzione dei compiti conferiti dal Consiglio e in conformità alle modalità applicative delle clausole di salvaguardia OMC sottoscritte dalla Comunità. Infatti, vista la tradizionale ritrosia degli Stati membri a riconoscere apertis verbis il treaty making power della Commissione, tale aspetto dei poteri esecutivi della Commissione è sempre stato caratterizzato da una minimale produzione e diffusione documentale, come anche dalla scelta di non qualificare inequivocabilmente gli atti concordati dal Collegio con i Paesi terzi come accordi internazionali vincolanti conclusi a nome della Comunità. Questi tratti distintivi, però, sono venuti meno durante la definizione delle Intese di Shanghai e di Pechino, poiché il grande interesse suscitato dal tema trattato ha imposto un aggiornamento continuo sull’attività svolta dalle autorità comunitarie e di Pechino e sui risultati raggiunti. Questi ultimi, inoltre, ben difficilmente potevano essere presentati agli interessati come privi di forza giuridica vincolante in quanto “memoranda d’intesa di natura esclusivamente politica.” Questa qualificazione, però, continua formalmente ad essere proposta dagli addetti ai lavori del Consiglio e della Commissione laddove interpellati su quale sia, a loro avviso, la natura giuridica delle Intese sui tessili: tale “diplomazia lessicale,” infatti, viene considerata capace di superare le forti resistenze governative ad un chiaro riconoscimento del treaty making power del Collegio senza privare la Commissione dell’efficace potere di concordare le salvaguardie con gli Stati terzi necessarie all’industria tessile europea. L’ampia documentazione che ha caratterizzato la concertazione delle misure di difesa commerciale sui tessili cinesi permette di rilevare la piena riconducibilità delle soluzioni concordate dalla Commissione con la Cina ai poteri di esecuzione legittimamente conferiti dal Regolamento di base sui tessili e l’assenza di forzatura interpretativa nel qualificare le Intese di Shanghai e di Pechino come accordi internazionali produttivi di effetti giuridici.

E. Baroncini (2006). Il regime dei tessili cinesi attraverso il treaty making power della Commissione e oltre: gli Accordi di Shanghai e Pechino e gli strumenti di trasparenza dei mercati per un’equa concorrenza negli scambi UE/Cina. IL DIRITTO DELL'UNIONE EUROPEA, 10, 675-726.

Il regime dei tessili cinesi attraverso il treaty making power della Commissione e oltre: gli Accordi di Shanghai e Pechino e gli strumenti di trasparenza dei mercati per un’equa concorrenza negli scambi UE/Cina

BARONCINI, ELISA
2006

Abstract

A seguito della completa apertura del mercato comunitario ai prodotti tessili e d’abbigliamento provenienti da tutti i Paesi membri dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) -avvenuta il 1 gennaio 2005- l’aggravamento delle difficoltà che, da tempo, incontravano alcuni settori dell’economia europea a causa delle esportazioni cinesi ha indotto la Commissione ad applicare la speciale clausola di salvaguardia sui tessili, prevista dal Protocollo di adesione della Cina all’OMC, per contenere la notevolissima capacità concorrenziale dei prodotti asiatici. Il regime temporaneo di restrizioni quantitative che si è ripristinato negli scambi tra Unione europea e Repubblica popolare cinese (RPC) desta interesse per due motivi. Innanzitutto, perché si vuole verificare se le due Intese raggiunte tra la Commissione e il governo di Pechino in applicazione della speciale salvaguardia sui tessili risultino adeguate ad affrontare il nodo centrale degli attriti commerciali con la potenza asiatica -vale a dire, il dumping valutario praticato dalle autorità cinesi e l’enorme disparità dei costi di produzione dovuta alle divergenti condizioni ambientali e sociali che devono essere osservate a seconda che il processo manifatturiero abbia luogo in Cina o in Europa. Inoltre, le Intese sulla limitazione delle esportazioni rivestono notevole importanza perchè fanno luce su un particolare aspetto istituzionale del sistema comunitario, politicamente molto sensibile e per questo mai compiutamente rappresentato. Si tratta della possibilità per il Collegio, nella gestione delle misure di politica commerciale, di concordare con i paesi terzi le salvaguardie necessarie alla produzione europea, in esecuzione dei compiti conferiti dal Consiglio e in conformità alle modalità applicative delle clausole di salvaguardia OMC sottoscritte dalla Comunità. Infatti, vista la tradizionale ritrosia degli Stati membri a riconoscere apertis verbis il treaty making power della Commissione, tale aspetto dei poteri esecutivi della Commissione è sempre stato caratterizzato da una minimale produzione e diffusione documentale, come anche dalla scelta di non qualificare inequivocabilmente gli atti concordati dal Collegio con i Paesi terzi come accordi internazionali vincolanti conclusi a nome della Comunità. Questi tratti distintivi, però, sono venuti meno durante la definizione delle Intese di Shanghai e di Pechino, poiché il grande interesse suscitato dal tema trattato ha imposto un aggiornamento continuo sull’attività svolta dalle autorità comunitarie e di Pechino e sui risultati raggiunti. Questi ultimi, inoltre, ben difficilmente potevano essere presentati agli interessati come privi di forza giuridica vincolante in quanto “memoranda d’intesa di natura esclusivamente politica.” Questa qualificazione, però, continua formalmente ad essere proposta dagli addetti ai lavori del Consiglio e della Commissione laddove interpellati su quale sia, a loro avviso, la natura giuridica delle Intese sui tessili: tale “diplomazia lessicale,” infatti, viene considerata capace di superare le forti resistenze governative ad un chiaro riconoscimento del treaty making power del Collegio senza privare la Commissione dell’efficace potere di concordare le salvaguardie con gli Stati terzi necessarie all’industria tessile europea. L’ampia documentazione che ha caratterizzato la concertazione delle misure di difesa commerciale sui tessili cinesi permette di rilevare la piena riconducibilità delle soluzioni concordate dalla Commissione con la Cina ai poteri di esecuzione legittimamente conferiti dal Regolamento di base sui tessili e l’assenza di forzatura interpretativa nel qualificare le Intese di Shanghai e di Pechino come accordi internazionali produttivi di effetti giuridici.
2006
E. Baroncini (2006). Il regime dei tessili cinesi attraverso il treaty making power della Commissione e oltre: gli Accordi di Shanghai e Pechino e gli strumenti di trasparenza dei mercati per un’equa concorrenza negli scambi UE/Cina. IL DIRITTO DELL'UNIONE EUROPEA, 10, 675-726.
E. Baroncini
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/34662
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