Si analizza la insufficienza del coinvolgimento parlamentare nei processi comunitari (che costituisce un elemento-chiave della vita democratica dell’Unione e dei suoi stati membri, perché riduce il deficit democratico nei processi decisionali della prima, e ridisegna un (seppur mutato) equilibrio legislativo-esecutivo a garanzia della forma di governo dei secondi). Mentre non mancano esempi di stati membri che hanno costituzionalizzato il ruolo “europeo” dell’assemblea la riflessione sul crescente ruolo europeo parlamentare non ha trovato alcuna collocazione nella riforma costituzionale approvata dalla Camere. Le conseguenze di questo silenzio sono per lo meno di tre ordini. La prima discende dal debole collegamento del Senato con le collettività territoriali. e quindi l’assenza di un canale parlamentare di raccordo tra regioni ed Europa. In secondo luogo, la riforma fallisce non cogliendo i segnali, fortissimi, che il Trattato-costituzione (ed in particolare i protocolli aggiuntivi) avevano lanciato, ridisegnando il ruolo dei parlamenti nazionali e rafforzandone la natura di cerniera tra UE e altri livelli del sottogoverno. Un’ultima occasione persa riguarda il mancato rafforzamento dell’elemento parlamentare interno della dimensione europea. Anche in questo senso la riforma non si allinea ai modelli proposti dei nostri partners europei, i quali, in particolare in seguito allo svuotamento delle competenze parlamentari intervenuto con l’Atto Unico, hanno scelto, senza eccezioni, di rafforzare le Commissioni Affari Europei, autentiche chiavi di volta per la riduzione del deficit democratico.

S. Mancini (2006). L’UNIONE EUROPEA NELLA RIFORMA COSTITUZIONALE . QUADERNI COSTITUZIONALI, 2, 332-335.

L’UNIONE EUROPEA NELLA RIFORMA COSTITUZIONALE .

MANCINI, SUSANNA
2006

Abstract

Si analizza la insufficienza del coinvolgimento parlamentare nei processi comunitari (che costituisce un elemento-chiave della vita democratica dell’Unione e dei suoi stati membri, perché riduce il deficit democratico nei processi decisionali della prima, e ridisegna un (seppur mutato) equilibrio legislativo-esecutivo a garanzia della forma di governo dei secondi). Mentre non mancano esempi di stati membri che hanno costituzionalizzato il ruolo “europeo” dell’assemblea la riflessione sul crescente ruolo europeo parlamentare non ha trovato alcuna collocazione nella riforma costituzionale approvata dalla Camere. Le conseguenze di questo silenzio sono per lo meno di tre ordini. La prima discende dal debole collegamento del Senato con le collettività territoriali. e quindi l’assenza di un canale parlamentare di raccordo tra regioni ed Europa. In secondo luogo, la riforma fallisce non cogliendo i segnali, fortissimi, che il Trattato-costituzione (ed in particolare i protocolli aggiuntivi) avevano lanciato, ridisegnando il ruolo dei parlamenti nazionali e rafforzandone la natura di cerniera tra UE e altri livelli del sottogoverno. Un’ultima occasione persa riguarda il mancato rafforzamento dell’elemento parlamentare interno della dimensione europea. Anche in questo senso la riforma non si allinea ai modelli proposti dei nostri partners europei, i quali, in particolare in seguito allo svuotamento delle competenze parlamentari intervenuto con l’Atto Unico, hanno scelto, senza eccezioni, di rafforzare le Commissioni Affari Europei, autentiche chiavi di volta per la riduzione del deficit democratico.
2006
S. Mancini (2006). L’UNIONE EUROPEA NELLA RIFORMA COSTITUZIONALE . QUADERNI COSTITUZIONALI, 2, 332-335.
S. Mancini
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