Il diritto del lavoro italiano è stato percorso, nell’arco dell’ultimo decennio, da trasformazioni di enorme portata: esse ne hanno cambiato il volto così profondamente da renderlo quasi irriconoscibile. Per lungo tempo ci si è ostinati a descrivere questa lunga stagione di “riforme” ricorrendo alla nozione di flessibilità, in contrapposizione ad una supposta rigidità, imputata al diritto del lavoro “classico”, il cui edificio è stato faticosamente costruito nel trentennio d’oro del secolo breve (1945-75). La nozione di flessibilità è stata poi affiancata, negli anni più recenti – specie dopo la pubblicazione del Libro verde della CE “Modernizzare il diritto del lavoro per rispondere alle sfide del XXI secolo” (2006) – da una diversa ed ossimorica nozione: quella di flessicurezza. Osservando i tornanti fondamentali del diritto del lavoro venuto a luogo, in Italia, nel decennio compreso tra la c.d. legge Biagi (2003) e la c.d. riforma Monti-Fornero (2012), si ha, tuttavia, l’impressione che alcune antinomie, a lungo frequentate dalla dottrina giuslavoristica, non siano ormai così fertili: la dicotomia rigidità/flessibilità ha perso molto della propria capacità descrittiva. Peraltro, essa ha continuato a produrre forti contrapposizioni ideologiche, determinando una tale “fissità” del punto di vista da mettere a rischio l’esatta individuazione della traiettoria di movimento dell’oggetto posto sotto osservazione. Ci sono, invece, altre dominanti in grado di spiegare meglio la matrice e la natura di alcune trasformazioni avvenute sul piano della regolazione lavoristica: in primo luogo si riscontra, sia nella legge Biagi (d.lgs. n. 276/03) sia nella riforma Monti-Fornero (l. n. 92/2012), una riduzione delle possibilità di utilizzo del lavoro autonomo coordinato (la c.d. parasubordinazione) come sostituto commerciale del lavoro dipendente, presentata alla stregua di strumento principe di riduzione del dualismo del mercato del lavoro. In secondo luogo si avverte l’esigenza di dare certezza alle relazioni giuridiche, riducendo il contenzioso cui può dar luogo un rapporto di lavoro (artt. 30-32, l. n. 183/2010), specialmente con riguardo alla sua qualificazione o alla sua rottura. In ultimo, sul piano delle relazioni collettive, si riscontra una forte tendenza al decentramento contrattuale, contrassegnata dall’inedita rilevanza che assume, oggi, il contratto collettivo aziendale (o territoriale), ritenuto maggiormente idoneo ad “adattare” il diritto del lavoro al contesto nel quale agisce la singola impresa.
F. Martelloni (2013). Brève histoire italienne d’un droit du travail « en mode mineur ». REVUE DE DROIT DU TRAVAIL, 4, 288-292.
Brève histoire italienne d’un droit du travail « en mode mineur »
MARTELLONI, FEDERICO
2013
Abstract
Il diritto del lavoro italiano è stato percorso, nell’arco dell’ultimo decennio, da trasformazioni di enorme portata: esse ne hanno cambiato il volto così profondamente da renderlo quasi irriconoscibile. Per lungo tempo ci si è ostinati a descrivere questa lunga stagione di “riforme” ricorrendo alla nozione di flessibilità, in contrapposizione ad una supposta rigidità, imputata al diritto del lavoro “classico”, il cui edificio è stato faticosamente costruito nel trentennio d’oro del secolo breve (1945-75). La nozione di flessibilità è stata poi affiancata, negli anni più recenti – specie dopo la pubblicazione del Libro verde della CE “Modernizzare il diritto del lavoro per rispondere alle sfide del XXI secolo” (2006) – da una diversa ed ossimorica nozione: quella di flessicurezza. Osservando i tornanti fondamentali del diritto del lavoro venuto a luogo, in Italia, nel decennio compreso tra la c.d. legge Biagi (2003) e la c.d. riforma Monti-Fornero (2012), si ha, tuttavia, l’impressione che alcune antinomie, a lungo frequentate dalla dottrina giuslavoristica, non siano ormai così fertili: la dicotomia rigidità/flessibilità ha perso molto della propria capacità descrittiva. Peraltro, essa ha continuato a produrre forti contrapposizioni ideologiche, determinando una tale “fissità” del punto di vista da mettere a rischio l’esatta individuazione della traiettoria di movimento dell’oggetto posto sotto osservazione. Ci sono, invece, altre dominanti in grado di spiegare meglio la matrice e la natura di alcune trasformazioni avvenute sul piano della regolazione lavoristica: in primo luogo si riscontra, sia nella legge Biagi (d.lgs. n. 276/03) sia nella riforma Monti-Fornero (l. n. 92/2012), una riduzione delle possibilità di utilizzo del lavoro autonomo coordinato (la c.d. parasubordinazione) come sostituto commerciale del lavoro dipendente, presentata alla stregua di strumento principe di riduzione del dualismo del mercato del lavoro. In secondo luogo si avverte l’esigenza di dare certezza alle relazioni giuridiche, riducendo il contenzioso cui può dar luogo un rapporto di lavoro (artt. 30-32, l. n. 183/2010), specialmente con riguardo alla sua qualificazione o alla sua rottura. In ultimo, sul piano delle relazioni collettive, si riscontra una forte tendenza al decentramento contrattuale, contrassegnata dall’inedita rilevanza che assume, oggi, il contratto collettivo aziendale (o territoriale), ritenuto maggiormente idoneo ad “adattare” il diritto del lavoro al contesto nel quale agisce la singola impresa.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.