Il ‘minimo intervento’ è un criterio generalmente condiviso nella disciplina del restauro, tanto sotto il profilo concettuale, quanto operativo, come pure è condiviso il principio di ‘facilitare la lettura’ del manufatto oggetto d’intervento. La stessa Carta del Restauro del 1972 all’art. 4 recita “s’intende per restauro qualsiasi intervento volto a mantenere in efficienza, a facilitare la lettura e a trasmettere integralmente al futuro le opere”; pertanto, uno degli obiettivi del restauro è quello di far leggere, se possibile, l’opera nelle diverse forme e ‘redazioni’ in cui ci è pervenuta e in tutta la sua complessità, per comprendere ogni valore di cui è portatrice. Nello specifico, accanto alla conservazione, l’obiettivo diventa quello di svelare la natura dell’oggetto del restauro, le sue fasi storiche, mostrandone le stratificazioni e le trasformazioni; oppure reintegrando le lacune che hanno interrotto la continuità di volumi o superfici; o anche restituendo senso e riconoscibilità a frammenti o parti antiche le quali, altrimenti, continuerebbero a restare come semplici relitti, scoordinati, inaccessibili e, a volte incomprensibili, come accade per diversi siti archeologici; o infine rimuovendo le aggiunte ‘incongrue’ con il testo, le superfetazioni casuali e degradanti. Ma tutte queste operazioni volte a facilitare la lettura sono concordi con il criterio del minimo intervento o contrastano con esso? È giusto domandarsi quando e come sia necessario fermarsi per non incorrere nell’errore di fare troppo e quindi superare la soglia che va oltre al minimo intervento, e specificare anche quale sia tale soglia.
Minimo intervento e facilitazione della lettura / C. Galli. - STAMPA. - 1:(2004), pp. x-x. (Intervento presentato al convegno Il minimo intervento nel restauro tenutosi a Siena nel 18 al 19 giugno 2004).
Minimo intervento e facilitazione della lettura
GALLI, CLAUDIO
2004
Abstract
Il ‘minimo intervento’ è un criterio generalmente condiviso nella disciplina del restauro, tanto sotto il profilo concettuale, quanto operativo, come pure è condiviso il principio di ‘facilitare la lettura’ del manufatto oggetto d’intervento. La stessa Carta del Restauro del 1972 all’art. 4 recita “s’intende per restauro qualsiasi intervento volto a mantenere in efficienza, a facilitare la lettura e a trasmettere integralmente al futuro le opere”; pertanto, uno degli obiettivi del restauro è quello di far leggere, se possibile, l’opera nelle diverse forme e ‘redazioni’ in cui ci è pervenuta e in tutta la sua complessità, per comprendere ogni valore di cui è portatrice. Nello specifico, accanto alla conservazione, l’obiettivo diventa quello di svelare la natura dell’oggetto del restauro, le sue fasi storiche, mostrandone le stratificazioni e le trasformazioni; oppure reintegrando le lacune che hanno interrotto la continuità di volumi o superfici; o anche restituendo senso e riconoscibilità a frammenti o parti antiche le quali, altrimenti, continuerebbero a restare come semplici relitti, scoordinati, inaccessibili e, a volte incomprensibili, come accade per diversi siti archeologici; o infine rimuovendo le aggiunte ‘incongrue’ con il testo, le superfetazioni casuali e degradanti. Ma tutte queste operazioni volte a facilitare la lettura sono concordi con il criterio del minimo intervento o contrastano con esso? È giusto domandarsi quando e come sia necessario fermarsi per non incorrere nell’errore di fare troppo e quindi superare la soglia che va oltre al minimo intervento, e specificare anche quale sia tale soglia.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.