Questo contributo propone una lettura del percorso attraverso il quale alcuni oggetti subiscono, in ambito cristiano-cattolico, una particolare riqualificazione e acquistano, in un certo momento, una condizione di superiorità e di ricercatezza, condizione che viene comunemente definita, sia in ambito pratico-devozionale che teorico-scientifico, con il termine ‘sacro’. Pur analizzandoli come prodotti di reificazione e, quindi, di inversione o di elaborazione sociale − sulla scia degli studi di Rappaport 1971 e di Remotti 1993 −, questi oggetti hanno una propria dimensione, tanto da intervenire direttamente nel reale, non solo religioso, modellandolo e modificandolo. Ripercorrendo brevemente la biografia di Françoise d’Amboise e alcuni dei numerosi spostamenti a cui le ‘singole parti’ del suo corpo sono state sottoposte post mortem nel corso del tempo, si analizzano i lavori manuali − saperi tecnici e logiche di produzione (Andlauer 2002, Charuty 1992) − concretamente compiuti oggi da parte di religiose di clausura specializzate sui resti attribuiti alla beata e su tessuti ordinari che, secondo le produttrici, possono essere fatti diventare a loro volta materiali ai quali è riconosciuto un valore extra-umano [disponibile cortometraggio inedito realizzato dall’autrice]. Attraverso la pratica della riproducibilità sacrale (Durkheim 1912) si tenta di superare i princìpi di scarsità e di «unicità» della reliquia (Wirth 2005). Queste figure di donne seguono e decidono l’intero processo di produzione, di significazione e di diffusione dell’oggetto ‘sacro’, creando per se stesse delle nicchie di potere autonomo all’interno del più ampio panorama ecclesiastico.
Sbardella, F. (2013). La fabrique des reliques. Manipulations et production de sacré dans la clôture. CONSERVERIES MÉMORIELLES, 14 Les saints et la sainteté, 2-18.
La fabrique des reliques. Manipulations et production de sacré dans la clôture
SBARDELLA, FRANCESCA
2013
Abstract
Questo contributo propone una lettura del percorso attraverso il quale alcuni oggetti subiscono, in ambito cristiano-cattolico, una particolare riqualificazione e acquistano, in un certo momento, una condizione di superiorità e di ricercatezza, condizione che viene comunemente definita, sia in ambito pratico-devozionale che teorico-scientifico, con il termine ‘sacro’. Pur analizzandoli come prodotti di reificazione e, quindi, di inversione o di elaborazione sociale − sulla scia degli studi di Rappaport 1971 e di Remotti 1993 −, questi oggetti hanno una propria dimensione, tanto da intervenire direttamente nel reale, non solo religioso, modellandolo e modificandolo. Ripercorrendo brevemente la biografia di Françoise d’Amboise e alcuni dei numerosi spostamenti a cui le ‘singole parti’ del suo corpo sono state sottoposte post mortem nel corso del tempo, si analizzano i lavori manuali − saperi tecnici e logiche di produzione (Andlauer 2002, Charuty 1992) − concretamente compiuti oggi da parte di religiose di clausura specializzate sui resti attribuiti alla beata e su tessuti ordinari che, secondo le produttrici, possono essere fatti diventare a loro volta materiali ai quali è riconosciuto un valore extra-umano [disponibile cortometraggio inedito realizzato dall’autrice]. Attraverso la pratica della riproducibilità sacrale (Durkheim 1912) si tenta di superare i princìpi di scarsità e di «unicità» della reliquia (Wirth 2005). Queste figure di donne seguono e decidono l’intero processo di produzione, di significazione e di diffusione dell’oggetto ‘sacro’, creando per se stesse delle nicchie di potere autonomo all’interno del più ampio panorama ecclesiastico.File | Dimensione | Formato | |
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