Dopo una sommaria ricognizione della fortuna teatrale del Boccaccio sui palcoscenici occidentali moderni, sia in termini drammaturgici che in termini di messe in scena, il saggio si concentra sull’analisi del ciclo di spettacoli boccacciani diretti da Vito Pandolfi a Certaldo tra il 1951 e il 1956: “Calandrino in commedia” (1951), “Notti del Decamerone” (1952), “Gli amori del Decamerone” (1953), “Le beffe del Decamerone” (1954), “Il gaio Decamerone” (1955), “Il fiore del Decamerone” (1956). Il corpus degli allestimenti certaldesi di Pandolfi, nascendo dal tentativo di coniugare le istanze “critiche” della regia magistrale italiana del secondo dopoguerra con lo spiccato interesse del regista per le tradizioni del teatro popolare, in linea con la poetica scenica dello stesso Pandolfi così come si viene dispiegando sul piano teorico nell’arco degli stessi anni tra “Spettacolo del secolo” (1953) e “Copioni da quattro soldi” (1958), ponendosi come evidente eccezione rispetto al panorama del nostro teatro di quel periodo presto soffocata dall’ostilità delle istituzioni normalizzatrici si dà come ennesimo caso di “invenzione sprecata” dei nostri palcoscenici. Dalla ricostruzione dell’esperienza certaldese di Pandolfi tentata nel saggio sulla base delle fonti bibliografiche e d’archivio oggi a disposizione risulta con ogni evidenza come sul fallimento di quell’avventura abbiano giocato una profonda influenza le ingerenze della politica all’interno del nostro sistema teatrale. Le messe in scena boccacciane di Certaldo non sono soltanto uno stimolante terreno di ricerca su di un piano storico teatrale, ma rappresentano altresì un interessante capitolo del lungo romanzo della ricezione di Boccaccio nella nostra cultura contemporanea. Con quegli spettacoli Pandolfi tenta infatti di dimostrare come al fondo della scrittura boccacciana si possano ritrovare vivacissime matrici “popolari” e allo stesso tempo cerca di mettere in luce come l’opera di Boccaccio possa ancora essere utilizzata quale efficace reagente “critico” per impostare una ponderata riflessione etico-politica sull’Italia del secondo Novecento (ma non solo).

«Un uomo come un popolo come un’epoca»: Boccaccio e l’utopia del teatro popolare

LONGHI, CLAUDIO
2013

Abstract

Dopo una sommaria ricognizione della fortuna teatrale del Boccaccio sui palcoscenici occidentali moderni, sia in termini drammaturgici che in termini di messe in scena, il saggio si concentra sull’analisi del ciclo di spettacoli boccacciani diretti da Vito Pandolfi a Certaldo tra il 1951 e il 1956: “Calandrino in commedia” (1951), “Notti del Decamerone” (1952), “Gli amori del Decamerone” (1953), “Le beffe del Decamerone” (1954), “Il gaio Decamerone” (1955), “Il fiore del Decamerone” (1956). Il corpus degli allestimenti certaldesi di Pandolfi, nascendo dal tentativo di coniugare le istanze “critiche” della regia magistrale italiana del secondo dopoguerra con lo spiccato interesse del regista per le tradizioni del teatro popolare, in linea con la poetica scenica dello stesso Pandolfi così come si viene dispiegando sul piano teorico nell’arco degli stessi anni tra “Spettacolo del secolo” (1953) e “Copioni da quattro soldi” (1958), ponendosi come evidente eccezione rispetto al panorama del nostro teatro di quel periodo presto soffocata dall’ostilità delle istituzioni normalizzatrici si dà come ennesimo caso di “invenzione sprecata” dei nostri palcoscenici. Dalla ricostruzione dell’esperienza certaldese di Pandolfi tentata nel saggio sulla base delle fonti bibliografiche e d’archivio oggi a disposizione risulta con ogni evidenza come sul fallimento di quell’avventura abbiano giocato una profonda influenza le ingerenze della politica all’interno del nostro sistema teatrale. Le messe in scena boccacciane di Certaldo non sono soltanto uno stimolante terreno di ricerca su di un piano storico teatrale, ma rappresentano altresì un interessante capitolo del lungo romanzo della ricezione di Boccaccio nella nostra cultura contemporanea. Con quegli spettacoli Pandolfi tenta infatti di dimostrare come al fondo della scrittura boccacciana si possano ritrovare vivacissime matrici “popolari” e allo stesso tempo cerca di mettere in luce come l’opera di Boccaccio possa ancora essere utilizzata quale efficace reagente “critico” per impostare una ponderata riflessione etico-politica sull’Italia del secondo Novecento (ma non solo).
2013
Boccaccio e i suoi lettori. Una lunga ricezione
79
97
C. Longhi
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