L’articolo offre un profilo biografico del frate Angelo Monesi (1577-1656) e le circostanze delle sue prestigiose committenze per il Carmine di Modena, attuale San Biagio. Il padre carmelitano, finora noto come responsabile della riqualificazione della chiesa, assume una nuova fisionomia come vero sovrintendente e promotore dei progetti che dagli anni ’30 del Seicento trasformarono il tempio di origine trecentesca in uno dei più alti esempi di arte barocca in terra modenese. L’inedito carteggio del frate ha rivelato una costante partecipazione del duca Francesco I d’Este alle migliorie decorative promosse in quegli anni. L’ingerenza ducale è ulteriormente ribadita dall’ingaggio dei quadraturisti Curti, Colonna e Mitelli, già attivi in Palazzo Ducale, per la decorazione pittorica della volta e della cappella della sagrestia carmelitana. Il ciclo è incentrato sugli episodi della vita di Angelo di Sicilia, fondatore dell’ordine carmelitano e santo omonimo del committente, che, mosso dal desiderio di lasciare una traccia tangibile di sé, plasmò la sagrestia come un vero e proprio tempio a quella omonimia. Ne offrono una testimonianza eloquente gli arredi voluti da padre Monesi per il Carmine, tra cui il monumentale set di argenti composto da sei candelieri e una croce d’altare, realizzato a Firenze dalla rinomata manifattura granducale dei Merlini, ed ora conservato presso i Musei del Duomo di Modena. L’analisi dei preziosi manufatti, volta alla loro iscrizione nel milieu dell’oreficeria dell’epoca, ha permesso di coglierne l’alto valore e l’insistita profusione dell’araldica del frate. Araldica che ritorna anche nel paliotto di pietre dure ora alla Galleria Estense di Modena e commissionato ai laboratori granducali fiorentini per l’altare della sagrestia. Questo alto capolavoro di oreficeria, pressoché un unicum in terra modenese, certifica l’alta disponibilità finanziaria del frate, che grazie all’eredità della madre poté fronteggiare gli alti costi di produzione. Lo studio recupera dunque le scelte artistiche di Monesi che affidò la propria memoria al pregio dei materiali e al prestigio degli artigiani incaricati di lavorarli. A proclamarlo ritorna la sua arma in stucco dipinto, posta a coronamento dell’arco d’accesso alla cappella della sagrestia, qui finalmente decifrata.
S. Sirocchi (2013). Le «eroiche azioni» di padre Angelo Monesi per il Carmine di Modena. INTRECCI D'ARTE, 2, 67-81.
Le «eroiche azioni» di padre Angelo Monesi per il Carmine di Modena
SIROCCHI, SIMONE
2013
Abstract
L’articolo offre un profilo biografico del frate Angelo Monesi (1577-1656) e le circostanze delle sue prestigiose committenze per il Carmine di Modena, attuale San Biagio. Il padre carmelitano, finora noto come responsabile della riqualificazione della chiesa, assume una nuova fisionomia come vero sovrintendente e promotore dei progetti che dagli anni ’30 del Seicento trasformarono il tempio di origine trecentesca in uno dei più alti esempi di arte barocca in terra modenese. L’inedito carteggio del frate ha rivelato una costante partecipazione del duca Francesco I d’Este alle migliorie decorative promosse in quegli anni. L’ingerenza ducale è ulteriormente ribadita dall’ingaggio dei quadraturisti Curti, Colonna e Mitelli, già attivi in Palazzo Ducale, per la decorazione pittorica della volta e della cappella della sagrestia carmelitana. Il ciclo è incentrato sugli episodi della vita di Angelo di Sicilia, fondatore dell’ordine carmelitano e santo omonimo del committente, che, mosso dal desiderio di lasciare una traccia tangibile di sé, plasmò la sagrestia come un vero e proprio tempio a quella omonimia. Ne offrono una testimonianza eloquente gli arredi voluti da padre Monesi per il Carmine, tra cui il monumentale set di argenti composto da sei candelieri e una croce d’altare, realizzato a Firenze dalla rinomata manifattura granducale dei Merlini, ed ora conservato presso i Musei del Duomo di Modena. L’analisi dei preziosi manufatti, volta alla loro iscrizione nel milieu dell’oreficeria dell’epoca, ha permesso di coglierne l’alto valore e l’insistita profusione dell’araldica del frate. Araldica che ritorna anche nel paliotto di pietre dure ora alla Galleria Estense di Modena e commissionato ai laboratori granducali fiorentini per l’altare della sagrestia. Questo alto capolavoro di oreficeria, pressoché un unicum in terra modenese, certifica l’alta disponibilità finanziaria del frate, che grazie all’eredità della madre poté fronteggiare gli alti costi di produzione. Lo studio recupera dunque le scelte artistiche di Monesi che affidò la propria memoria al pregio dei materiali e al prestigio degli artigiani incaricati di lavorarli. A proclamarlo ritorna la sua arma in stucco dipinto, posta a coronamento dell’arco d’accesso alla cappella della sagrestia, qui finalmente decifrata.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.


