Nella nostra società contemporanea, i servizi pubblici locali sono prestazioni essenziali e trasversali a tutti gli ambiti della vita civile, tanto da costituire fattori decisivi per la crescita sociale, economica e competitiva delle comunità cui si rivolgono, con inevitabili riflessi sull'intero tessuto socio-economico nazionale e internazionale. Dagli inizi del Novecento e ininterrottamente per quasi un secolo, in Italia, come in molti altri Paesi, le amministrazioni comunali ne hanno curato l’erogazione in modo diretto, laddove la normativa vigente, la letteratura economica prevalente e una prassi consolidata inducevano a ritenere che solo questa soluzione riuscisse a garantire la fruizione dei servizi essenziali a tutti i cittadini, compresi coloro che non avrebbero potuto accedervi a condizioni di mercato. Negli ultimi vent'anni, però, molti servizi pubblici locali, con particolare riguardo a quelli di rilevanza economica, pur confermandosi di interesse pubblico, mostrano via via crescenti somiglianze con le attività “private”, ovvero autonome capacità di crescita, economie di scala e di scopo, forti esigenze di innovazione. Queste condizioni, accompagnate dalla frequente incapacità dei governi locali di adattarsi ad esse e di fornire servizi concretamente rispondenti alle mutevoli esigenze dei cittadini, hanno incoraggiato un generale ripensamento dei migliori modelli di gestione dei servizi pubblici, favorendone la privatizzazione. In Italia, come negli altri Paesi comunitari, questo processo è stato fortemente incoraggiato dalle regole dell’Unione Europea in tema di convergenza economica e liberalizzazione dei mercati. Da una parte, i parametri imposti dal trattato di Maastricht esigono una drastica riduzione della spesa e del debito pubblico; così, per garantire ai cittadini i servizi essenziali senza appesantire i conti pubblici, i governi locali hanno dovuto cercare delle alternative alla fornitura diretta. Dall'altra parte, l’apertura dei mercati e la conseguente affermazione della concorrenza fra gli aspiranti provider dovrebbero aumentare l’efficienza della gestione, migliorando la qualità dei servizi e riducendone i prezzi. A diversi anni dalla loro inaugurazione, però, quale è, oggi, il bilancio delle riforme? Alcuni studiosi, supportati dall'evidenza empirica, ritengono che la liberalizzazione dei mercati e il conseguente coinvolgimento del settore privato nella fornitura dei servizi pubblici locali abbiano spesso condotto a risultati deludenti. Per questo, nei dibattiti sul tema, è facile oggi riscontrare un diffuso desiderio di ritorno al passato, ovvero alla gestione pubblica dei servizi essenziali. Chi scrive, tuttavia, ritiene, come molti altri studiosi, che la questione principale non sia la natura pubblica o privata delle aziende che forniscono i servizi pubblici, ma il corretto espletamento delle funzioni di indirizzo e controllo da parte delle amministrazioni affidanti (o delle specifiche authority, a seconda della natura dei servizi). Anche quando i servizi pubblici locali non sono gestiti direttamente dalle amministrazioni comunali, queste mantengono una specifica responsabilità politico-istituzionale in ordine alla interpretazione delle esigenze dei cittadini, alla individuazione delle prestazioni più idonee a soddisfarle, alla selezione dei modelli di governo più appropriati, alla tutela di adeguati standard (qualità, quantità, capillarità, continuità, prezzo, ecc.) per i servizi essenziali. I fattori critici, pertanto, non sono i modelli di gestione in quanto tali o la natura pubblica o privata dei provider, ma l’adeguatezza e il rigore, nei tempi e nei contenuti, dei parametri (giuridici ed economico-aziendali) e delle procedure cui i Comuni si affidano sia per la selezione dei modelli di gestione e dei fornitori, sia per il monitoraggio delle aziende affidatarie dei servizi, affinché la loro attività sia orientata non solo alle aspettative di profitto degli eventuali investitori privati, ma soprattutto allo sviluppo socio-economico delle comunità di riferimento. Partendo da queste premesse, lo scopo del presente contributo consiste nell'approfondire il tema della selezione delle forme di gestione dei servizi pubblici locali, focalizzando, nella prospettiva dei Comuni, i principali vantaggi e i principali limiti dell’affidamento con gara a un’impresa operante sul mercato (di seguito, “outsourcing” o “esternalizzazione”) rispetto alla gestione diretta. Nella parte conclusiva vengono altresì proposte alcune considerazioni critiche sull'approccio dei Comuni italiani alla gestione esternalizzata dei servizi pubblici locali.

GIANFELICI CRISTINA (2012). I Comuni e l'esternalizzazione dei servizi pubblici locali: opportunità e rischi. RIVISTA ITALIANA DI RAGIONERIA E DI ECONOMIA AZIENDALE, 1-2, 72-83.

I Comuni e l'esternalizzazione dei servizi pubblici locali: opportunità e rischi

GIANFELICI, CRISTINA
2012

Abstract

Nella nostra società contemporanea, i servizi pubblici locali sono prestazioni essenziali e trasversali a tutti gli ambiti della vita civile, tanto da costituire fattori decisivi per la crescita sociale, economica e competitiva delle comunità cui si rivolgono, con inevitabili riflessi sull'intero tessuto socio-economico nazionale e internazionale. Dagli inizi del Novecento e ininterrottamente per quasi un secolo, in Italia, come in molti altri Paesi, le amministrazioni comunali ne hanno curato l’erogazione in modo diretto, laddove la normativa vigente, la letteratura economica prevalente e una prassi consolidata inducevano a ritenere che solo questa soluzione riuscisse a garantire la fruizione dei servizi essenziali a tutti i cittadini, compresi coloro che non avrebbero potuto accedervi a condizioni di mercato. Negli ultimi vent'anni, però, molti servizi pubblici locali, con particolare riguardo a quelli di rilevanza economica, pur confermandosi di interesse pubblico, mostrano via via crescenti somiglianze con le attività “private”, ovvero autonome capacità di crescita, economie di scala e di scopo, forti esigenze di innovazione. Queste condizioni, accompagnate dalla frequente incapacità dei governi locali di adattarsi ad esse e di fornire servizi concretamente rispondenti alle mutevoli esigenze dei cittadini, hanno incoraggiato un generale ripensamento dei migliori modelli di gestione dei servizi pubblici, favorendone la privatizzazione. In Italia, come negli altri Paesi comunitari, questo processo è stato fortemente incoraggiato dalle regole dell’Unione Europea in tema di convergenza economica e liberalizzazione dei mercati. Da una parte, i parametri imposti dal trattato di Maastricht esigono una drastica riduzione della spesa e del debito pubblico; così, per garantire ai cittadini i servizi essenziali senza appesantire i conti pubblici, i governi locali hanno dovuto cercare delle alternative alla fornitura diretta. Dall'altra parte, l’apertura dei mercati e la conseguente affermazione della concorrenza fra gli aspiranti provider dovrebbero aumentare l’efficienza della gestione, migliorando la qualità dei servizi e riducendone i prezzi. A diversi anni dalla loro inaugurazione, però, quale è, oggi, il bilancio delle riforme? Alcuni studiosi, supportati dall'evidenza empirica, ritengono che la liberalizzazione dei mercati e il conseguente coinvolgimento del settore privato nella fornitura dei servizi pubblici locali abbiano spesso condotto a risultati deludenti. Per questo, nei dibattiti sul tema, è facile oggi riscontrare un diffuso desiderio di ritorno al passato, ovvero alla gestione pubblica dei servizi essenziali. Chi scrive, tuttavia, ritiene, come molti altri studiosi, che la questione principale non sia la natura pubblica o privata delle aziende che forniscono i servizi pubblici, ma il corretto espletamento delle funzioni di indirizzo e controllo da parte delle amministrazioni affidanti (o delle specifiche authority, a seconda della natura dei servizi). Anche quando i servizi pubblici locali non sono gestiti direttamente dalle amministrazioni comunali, queste mantengono una specifica responsabilità politico-istituzionale in ordine alla interpretazione delle esigenze dei cittadini, alla individuazione delle prestazioni più idonee a soddisfarle, alla selezione dei modelli di governo più appropriati, alla tutela di adeguati standard (qualità, quantità, capillarità, continuità, prezzo, ecc.) per i servizi essenziali. I fattori critici, pertanto, non sono i modelli di gestione in quanto tali o la natura pubblica o privata dei provider, ma l’adeguatezza e il rigore, nei tempi e nei contenuti, dei parametri (giuridici ed economico-aziendali) e delle procedure cui i Comuni si affidano sia per la selezione dei modelli di gestione e dei fornitori, sia per il monitoraggio delle aziende affidatarie dei servizi, affinché la loro attività sia orientata non solo alle aspettative di profitto degli eventuali investitori privati, ma soprattutto allo sviluppo socio-economico delle comunità di riferimento. Partendo da queste premesse, lo scopo del presente contributo consiste nell'approfondire il tema della selezione delle forme di gestione dei servizi pubblici locali, focalizzando, nella prospettiva dei Comuni, i principali vantaggi e i principali limiti dell’affidamento con gara a un’impresa operante sul mercato (di seguito, “outsourcing” o “esternalizzazione”) rispetto alla gestione diretta. Nella parte conclusiva vengono altresì proposte alcune considerazioni critiche sull'approccio dei Comuni italiani alla gestione esternalizzata dei servizi pubblici locali.
2012
GIANFELICI CRISTINA (2012). I Comuni e l'esternalizzazione dei servizi pubblici locali: opportunità e rischi. RIVISTA ITALIANA DI RAGIONERIA E DI ECONOMIA AZIENDALE, 1-2, 72-83.
GIANFELICI CRISTINA
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