Accanto alle tradizionali tipologie di strumenti finanziari a copertura del rischio di cambio, di interesse, di credito e di prezzo, di recente ha preso forma un innovativo segmento finalizzato a fronteggiare la volatilità dei profitti d’impresa associata all’evoluzione indesiderata dei parametri atmosferici: il comparto dei weather derivatives. In Italia la prima applicazione di derivati climatici è quella negoziata nell’agosto 2003 tra la Banca Popolare di Sondrio e la Fonte Tavina s.p.a., nella forma di un contratto di swap strutturato per proteggere la salodiana società di acque minerali, passata recentemente sotto il controllo del gruppo Sangemini s.p.a. (detenuto da Hopa s.p.a.), da stagioni estive più miti rispetto alla media massima e, dunque, da una situazione di possibile calo dei consumi. Preceduta da una approfondita analisi dello specifico rischio climatico e delle caratteristiche proprie del mercato principale di Tavina, l’area lombardo-veneta, l’operazione se da un lato consentiva alla società, senza il pagamento di un premio, di ricevere una rimunerazione per ogni decimo di grado inferiore al livello di temperatura convenuto (28,5°C), dall’altro la onerava del pagamento alla banca di una somma di denaro per ogni decimo di grado al di sopra dell’indice fissato. L’evoluzione dei parametri atmosferici non ha riflesso, tuttavia, le aspettative di Fonte Tavina s.p.a., al punto che Sangemini s.p.a., rilevata la società, non rinnovò il derivato: nei quattro mesi successivi al suo impiego un eccezionale – sia in termini di intensità che di durata – ciclone di bassa pressione fece registrare i più alti livelli di temperatura degli ultimi dieci anni, ed in molte città della penisola si raggiunsero i 38°C, ben 9,5°C oltre lo strike determinato. Poco più tardi, un altro weather derivative viene negoziato tra Banca Popolare di Sondrio e la trevigiana Ascopiave s.p.a., con l’obiettivo di ridurre la volatilità dei profitti dell’azienda distributrice di gas metano associata a condizione climatiche indesiderate. Lo strumento, strutturato in forma di opzione, permetteva alla società, verso pagamento anticipato di un premio, di incassare una somma di denaro al verificarsi di certe variazioni di temperatura; ciò, peraltro, aveva consentito ad Ascopiave s.p.a. di neutralizzare l’importo delle penali (capaci di azzerare il fatturato annuale) previste in favore di Snam s.p.a., monopolista nel trasporto e nel dispacciamento di gas naturale e proprietaria dell’infrastruttura, nell’ipotesi in cui, per un inverno più freddo rispetto alla media, la richiesta di flussi di energia fosse superiore – per l’aumento dei picchi di consumo da parte degli utenti finali – alla disponibilità preventivata all’inizio della stagione termica. La definizione dell’operazione, la prima in Italia nel comparto dell’energia, è stata preceduta da uno studio oculato dell’andamento del consumo di gas metano in funzione della temperatura media giornaliera, mediante l’analisi di dati storici e statistici relativi ai prelievi quotidiani e alle temperature rilevate nei singoli impianti. Se si trascurano queste due pionieristiche operazioni, nel nostro paese l’impiego dei prodotti finanziari di copertura contro il rischio climatico è oggi ancora poco significativo, diversamente dai mercati esteri, soprattutto quello inglese e statunitense. È proprio in quest’ultimo che, nella metà degli anni novanta del secolo scorso, il gruppo texano Enron Corporation, il conglomerato Koch e Aquila Inc., aziende leader del comparto energetico, effettuano la prima transazione in derivati meteorologici: il contratto consentiva ad Enron di incamerare 10 mila dollari per ogni grado fahrenheit al di sopra del livello fissato, e nel contempo le imponeva di pagare a Koch la stessa cifra per ogni grado in meno. Sono proprio le aziende erogatrici di gas ed elettricità le principali partecipanti alle prime negoziazioni in weather derivatives: il processo di liberalizzazione del settore energetico statunitense, avviato nel 1996, e la deregolamentazione che ne era seguita, non consentivano più di gestire, mediante l’affidamento alla determinazione autoritativa delle tariffazioni, la volatilità degli utili causata dalla instabilità delle condizioni meteorologiche, capaci di esercitare un’influenza decisiva sul fabbisogno del segmento residenziale e di quello business, con la conseguenza che le imprese di produzione, trasmissione, dispacciamento e commercializzazione dei flussi di energia dovettero assumersi singolarmente il controllo dei fattori climatici, fino a creare un nuovo mercato intorno ad essi. In principio le operazioni avvengono nella forma di transazioni su over the counter, mentre gli scambi su mercati regolamentati iniziano nel 1999, per iniziativa del corifeo mondiale delle borse finanziarie Chicago Mercantile Exchange (CME), strutturati in contratti futures per controllare l’incertezza correlata, in particolare, all’evoluzione del fattore temperatura. In breve tempo quello dei weather derivatives si impone come il segmento più innovativo del settore finanziario, ed i volumi negoziati crescono molto rapidamente, tanto da generare, in meno di sette anni dalla nascita, scambi per oltre 20,5 miliardi di dollari a livello mondiale. Alla base del costante incremento del valore nozionale delle transazioni vi è la considerazione che tanto maggiore è la potenzialità dell’incidenza sugli utili aziendali di condizioni climatiche indesiderate, quanto migliore è il beneficio che consegue alla loro gestione. Per comprendere il fenomeno è sufficiente considerare che oltre l’80% delle attività commerciali e industriali è direttamente o indirettamente influenzato dall’evoluzione dei parametri ambientali: non è più, solamente, il caso delle imprese energetiche o agricole, ma anche di quelle delle costruzioni, della trivellazione, della ristorazione, dei trasporti e della distribuzione al dettaglio, i cui profitti calano o aumentano in funzione del livello della temperatura, o della marea, o dell’intensità delle precipitazioni piovose o nevose, o della forza del vento. In una dimensione empirica è possibile concludere che se la stagione estiva è caratterizzata da temperature sensibilmente più basse rispetto alle medie storiche, le località balneari registrano una contrazione del numero delle presenze turistiche; analogamente, se un inverno è particolarmente freddo rallenta l’industria edile ed una eccessiva turbolenza del mare fa diminuire i profitti delle compagnie di navigazione, aumentandone i costi di manodopera. L’esperienza, specialmente quella statunitense, consente di dimostrare che l’impiego dei derivati climatici, preceduto da una corretta analisi dello specifico rischio, permette alle aziende operanti nei settori weather sensitive di contenere la volatilità dei risultati economici, di stabilizzare i flussi di cassa attesi, di controllare il costo dei fattori produttivi e di ridurre la dispersione di risorse necessarie a limitare l’impatto delle variazioni atmosferiche sui margini di utile. Volendo distinguere tra contratti negoziati in mercati regolamentati e in mercati non regolamentati è possibile cogliere un fenomeno molto interessante: nel corso del tempo il numero di operazioni over the counter ha registrato un decremento del 30%, più che compensato da un significativo incremento del mercato gestito da Chicago Mercantile Exchange. L’impressionante sviluppo di CME è conseguenza del fatto che dal 2003 è stato ampliato il campione di città di riferimento per la rilevazione delle temperature, fino ad includerne alcune europee. La portata di tale novità si spiega agevolmente se si considera che i fenomeni atmosferici sono a carattere fortemente locale e perciò la loro copertura tramite derivati è tanto più efficace, quanto maggiore è la coerenza tra la localizzazione operativa dell’impresa e l’area in cui è insediata la stazione di rilevamento dei dati climatici.

Le operazioni su weather derivatives tra finalità di copertura e speculazione

BELLI, GUIDO
2012

Abstract

Accanto alle tradizionali tipologie di strumenti finanziari a copertura del rischio di cambio, di interesse, di credito e di prezzo, di recente ha preso forma un innovativo segmento finalizzato a fronteggiare la volatilità dei profitti d’impresa associata all’evoluzione indesiderata dei parametri atmosferici: il comparto dei weather derivatives. In Italia la prima applicazione di derivati climatici è quella negoziata nell’agosto 2003 tra la Banca Popolare di Sondrio e la Fonte Tavina s.p.a., nella forma di un contratto di swap strutturato per proteggere la salodiana società di acque minerali, passata recentemente sotto il controllo del gruppo Sangemini s.p.a. (detenuto da Hopa s.p.a.), da stagioni estive più miti rispetto alla media massima e, dunque, da una situazione di possibile calo dei consumi. Preceduta da una approfondita analisi dello specifico rischio climatico e delle caratteristiche proprie del mercato principale di Tavina, l’area lombardo-veneta, l’operazione se da un lato consentiva alla società, senza il pagamento di un premio, di ricevere una rimunerazione per ogni decimo di grado inferiore al livello di temperatura convenuto (28,5°C), dall’altro la onerava del pagamento alla banca di una somma di denaro per ogni decimo di grado al di sopra dell’indice fissato. L’evoluzione dei parametri atmosferici non ha riflesso, tuttavia, le aspettative di Fonte Tavina s.p.a., al punto che Sangemini s.p.a., rilevata la società, non rinnovò il derivato: nei quattro mesi successivi al suo impiego un eccezionale – sia in termini di intensità che di durata – ciclone di bassa pressione fece registrare i più alti livelli di temperatura degli ultimi dieci anni, ed in molte città della penisola si raggiunsero i 38°C, ben 9,5°C oltre lo strike determinato. Poco più tardi, un altro weather derivative viene negoziato tra Banca Popolare di Sondrio e la trevigiana Ascopiave s.p.a., con l’obiettivo di ridurre la volatilità dei profitti dell’azienda distributrice di gas metano associata a condizione climatiche indesiderate. Lo strumento, strutturato in forma di opzione, permetteva alla società, verso pagamento anticipato di un premio, di incassare una somma di denaro al verificarsi di certe variazioni di temperatura; ciò, peraltro, aveva consentito ad Ascopiave s.p.a. di neutralizzare l’importo delle penali (capaci di azzerare il fatturato annuale) previste in favore di Snam s.p.a., monopolista nel trasporto e nel dispacciamento di gas naturale e proprietaria dell’infrastruttura, nell’ipotesi in cui, per un inverno più freddo rispetto alla media, la richiesta di flussi di energia fosse superiore – per l’aumento dei picchi di consumo da parte degli utenti finali – alla disponibilità preventivata all’inizio della stagione termica. La definizione dell’operazione, la prima in Italia nel comparto dell’energia, è stata preceduta da uno studio oculato dell’andamento del consumo di gas metano in funzione della temperatura media giornaliera, mediante l’analisi di dati storici e statistici relativi ai prelievi quotidiani e alle temperature rilevate nei singoli impianti. Se si trascurano queste due pionieristiche operazioni, nel nostro paese l’impiego dei prodotti finanziari di copertura contro il rischio climatico è oggi ancora poco significativo, diversamente dai mercati esteri, soprattutto quello inglese e statunitense. È proprio in quest’ultimo che, nella metà degli anni novanta del secolo scorso, il gruppo texano Enron Corporation, il conglomerato Koch e Aquila Inc., aziende leader del comparto energetico, effettuano la prima transazione in derivati meteorologici: il contratto consentiva ad Enron di incamerare 10 mila dollari per ogni grado fahrenheit al di sopra del livello fissato, e nel contempo le imponeva di pagare a Koch la stessa cifra per ogni grado in meno. Sono proprio le aziende erogatrici di gas ed elettricità le principali partecipanti alle prime negoziazioni in weather derivatives: il processo di liberalizzazione del settore energetico statunitense, avviato nel 1996, e la deregolamentazione che ne era seguita, non consentivano più di gestire, mediante l’affidamento alla determinazione autoritativa delle tariffazioni, la volatilità degli utili causata dalla instabilità delle condizioni meteorologiche, capaci di esercitare un’influenza decisiva sul fabbisogno del segmento residenziale e di quello business, con la conseguenza che le imprese di produzione, trasmissione, dispacciamento e commercializzazione dei flussi di energia dovettero assumersi singolarmente il controllo dei fattori climatici, fino a creare un nuovo mercato intorno ad essi. In principio le operazioni avvengono nella forma di transazioni su over the counter, mentre gli scambi su mercati regolamentati iniziano nel 1999, per iniziativa del corifeo mondiale delle borse finanziarie Chicago Mercantile Exchange (CME), strutturati in contratti futures per controllare l’incertezza correlata, in particolare, all’evoluzione del fattore temperatura. In breve tempo quello dei weather derivatives si impone come il segmento più innovativo del settore finanziario, ed i volumi negoziati crescono molto rapidamente, tanto da generare, in meno di sette anni dalla nascita, scambi per oltre 20,5 miliardi di dollari a livello mondiale. Alla base del costante incremento del valore nozionale delle transazioni vi è la considerazione che tanto maggiore è la potenzialità dell’incidenza sugli utili aziendali di condizioni climatiche indesiderate, quanto migliore è il beneficio che consegue alla loro gestione. Per comprendere il fenomeno è sufficiente considerare che oltre l’80% delle attività commerciali e industriali è direttamente o indirettamente influenzato dall’evoluzione dei parametri ambientali: non è più, solamente, il caso delle imprese energetiche o agricole, ma anche di quelle delle costruzioni, della trivellazione, della ristorazione, dei trasporti e della distribuzione al dettaglio, i cui profitti calano o aumentano in funzione del livello della temperatura, o della marea, o dell’intensità delle precipitazioni piovose o nevose, o della forza del vento. In una dimensione empirica è possibile concludere che se la stagione estiva è caratterizzata da temperature sensibilmente più basse rispetto alle medie storiche, le località balneari registrano una contrazione del numero delle presenze turistiche; analogamente, se un inverno è particolarmente freddo rallenta l’industria edile ed una eccessiva turbolenza del mare fa diminuire i profitti delle compagnie di navigazione, aumentandone i costi di manodopera. L’esperienza, specialmente quella statunitense, consente di dimostrare che l’impiego dei derivati climatici, preceduto da una corretta analisi dello specifico rischio, permette alle aziende operanti nei settori weather sensitive di contenere la volatilità dei risultati economici, di stabilizzare i flussi di cassa attesi, di controllare il costo dei fattori produttivi e di ridurre la dispersione di risorse necessarie a limitare l’impatto delle variazioni atmosferiche sui margini di utile. Volendo distinguere tra contratti negoziati in mercati regolamentati e in mercati non regolamentati è possibile cogliere un fenomeno molto interessante: nel corso del tempo il numero di operazioni over the counter ha registrato un decremento del 30%, più che compensato da un significativo incremento del mercato gestito da Chicago Mercantile Exchange. L’impressionante sviluppo di CME è conseguenza del fatto che dal 2003 è stato ampliato il campione di città di riferimento per la rilevazione delle temperature, fino ad includerne alcune europee. La portata di tale novità si spiega agevolmente se si considera che i fenomeni atmosferici sono a carattere fortemente locale e perciò la loro copertura tramite derivati è tanto più efficace, quanto maggiore è la coerenza tra la localizzazione operativa dell’impresa e l’area in cui è insediata la stazione di rilevamento dei dati climatici.
2012
BELLI GUIDO
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/151989
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