Tra le fonti delle obbligazioni il contratto occupa una posizione di primizia, in ragione dell’ampia autonomia riconosciuta alle parti, libere di determinare il contenuto dell’accordo, seppure con la precisazione di non travalicare i limiti imposti dal legislatore, e altrettanto libere di dare vita a negozi atipici capaci di soddisfare al meglio i loro interessi, sempreché questi siano meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico. Del resto, come ha convenuto autorevole dottrina, sebbene il codificatore italiano, diversamente dall’omologo francese, abbia individuato, agli artt. 1173 c.c. e seguenti, una disciplina sulle obbligazioni in generale, suscettibile di trovare applicazione ad ogni tipologia di rapporto obbligatorio quale che ne sia la fonte, essa appare pensata, fondamentalmente, per le sole obbligazioni nascenti da contratto. Ciò è evidente, in special modo, se si considerano gli artt. 1176 e 1218 c.c., normalmente assunti come relativi alla responsabilità contrattuale e contrapposti alle norme sulla responsabilità da fatto illecito ex artt. 2043 ss. Venendo alla formazione, il contratto, quale risultato dell’«accordo di due o più parti», può perfezionarsi in modo istantaneo, e cioè nella medesima unità di tempo, fra contraenti presenti, oppure per fasi progressive, fra contraenti lontani (inter absentes). In queste ultime ipotesi, ai sensi dell’art. 1326, comma 1°, c.c., «il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte». Occorre, pertanto, operare una distinzione tra proposta ed accettazione: la prima è la manifestazione di volontà del soggetto che assume l’iniziativa delle trattative, indirizzata ad un destinatario determinato o quantomeno determinabile; la seconda è la dichiarazione che l’oblato rivolge, a sua volta, al proponente. Proposta ed accettazione non sono negozi giuridici, stante la loro inidoneità a determinare un apprezzabile assetto di interessi; esse vanno, piuttosto, qualificate come «atti prenegoziali», che acquistano siffatta idoneità solo nel momento in cui si combinano fra loro, sì da perfezionare il contratto. Perché ciò avvenga, è richiesto che l’accettazione assuma la forma eventualmente imposta dal proponente e sia perfettamente conforme, nei contenuti, alla proposta, valendo altrimenti come controproposta. Occorre, ulteriormente, che l’accettazione sia portata a conoscenza del proponente, nel termine convenuto o, in mancanza, in «quello ordinariamente necessario secondo la natura dell’affare o secondo gli usi» (art. 1326, comma 2°, c.c.). Del resto, non si potrebbe pretendere da chi ha formulato la proposta, di restarvi vincolato all’infinito, e di soggiacere alla balia del mero arbitrio dell’oblato, che potrebbe attendere anni prima di formulare la propria accettazione. La conclusione del contratto è retta, nel nostro ordinamento, dal principio della cognizione: essa coincide, come si è avvertito, col momento in cui chi ha formulato la proposta viene a conoscenza dell’accettazione dell’altra parte. Ciò potrebbe indurre a ritenere la necessità di una conoscenza effettiva. Dell’erroneità di una simile convinzione si trova conferma nell’art. 1335 c.c., rubricato «presunzione di conoscenza», per il quale «la proposta, l’accettazione, la loro revoca e ogni altra dichiarazione diretta a una determinata persona si reputano conosciute nel momento in cui giungono all’indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia». Di guisa che il requisito della conoscenza si trasforma in mera «conoscibilità», con la conseguenza che il contratto può dirsi concluso allorquando l’accettazione perviene all’indirizzo del proponente, salvo essere questi ammesso a dimostrare l’impossibilità di prenderne notizia, per causa a lui non imputabile. Dalla lettura combinata dell’art. 1326, comma 1°, c.c. e dell’art. 1335 c.c., si evince, dunque, che il principio della cognizione addossa il rischio relativo alla trasmissione dell’accettazione in capo all’oblato, come nel caso in cui l’accettazione non dovesse pervenire a destinazione, salvo, poi, mitigare tale rischio, con l’introduzione della presunzione di conoscenza, di cui si è detto. Fino a quando il contratto non è concluso ciascuna delle parti può revocare, senza bisogno di alcuna giustificazione, il proprio consenso (art. 1328 c.c.). La revoca è un atto unilaterale recettizio, che acquista efficacia solo a seguito della sua ricezione da parte del destinatario; operando il principio della cognizione, perché essa impedisca il perfezionamento del contratto, occorre che giunga a destinazione prima che il proponente abbia avuto notizia dell’accettazione, ovvero prima che sia iniziata l’esecuzione, se si tratta di contratti soggetti alla particolare regola dell’art. 1327 c.c. Non può, invece, essere revocata la proposta dichiarata «ferma» o irrevocabile per un certo tempo (art. 1328 c.c.). Dalla revoca si distingue il ritiro della proposta, che vale ad avvertire l’oblato di non tenere in considerazione la proposta (anche irrevocabile) in itinere. Particolari tecniche di formazione dell’accordo riguardano: a) i contratti con obbligazioni del solo proponente (art. 1333 c.c.): essi si perfezionano se, entro il termine richiesto dalla natura dell’affare o dagli usi, il destinatario non rifiuta la proposta; b) i contratti che ammettono esecuzione prima della risposta dell’accettante (art. 1327 c.c.): essi sono conclusi nel tempo e nel luogo in cui ha avuto inizio l’esecuzione; c) i contratti reali: il loro perfezionamento richiede, oltre all’accordo delle parti, anche la consegna della cosa che ne forma oggetto.

Proposta e accettazione: la formazione del contratto nel diritto europeo

BELLI, GUIDO
2012

Abstract

Tra le fonti delle obbligazioni il contratto occupa una posizione di primizia, in ragione dell’ampia autonomia riconosciuta alle parti, libere di determinare il contenuto dell’accordo, seppure con la precisazione di non travalicare i limiti imposti dal legislatore, e altrettanto libere di dare vita a negozi atipici capaci di soddisfare al meglio i loro interessi, sempreché questi siano meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico. Del resto, come ha convenuto autorevole dottrina, sebbene il codificatore italiano, diversamente dall’omologo francese, abbia individuato, agli artt. 1173 c.c. e seguenti, una disciplina sulle obbligazioni in generale, suscettibile di trovare applicazione ad ogni tipologia di rapporto obbligatorio quale che ne sia la fonte, essa appare pensata, fondamentalmente, per le sole obbligazioni nascenti da contratto. Ciò è evidente, in special modo, se si considerano gli artt. 1176 e 1218 c.c., normalmente assunti come relativi alla responsabilità contrattuale e contrapposti alle norme sulla responsabilità da fatto illecito ex artt. 2043 ss. Venendo alla formazione, il contratto, quale risultato dell’«accordo di due o più parti», può perfezionarsi in modo istantaneo, e cioè nella medesima unità di tempo, fra contraenti presenti, oppure per fasi progressive, fra contraenti lontani (inter absentes). In queste ultime ipotesi, ai sensi dell’art. 1326, comma 1°, c.c., «il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte». Occorre, pertanto, operare una distinzione tra proposta ed accettazione: la prima è la manifestazione di volontà del soggetto che assume l’iniziativa delle trattative, indirizzata ad un destinatario determinato o quantomeno determinabile; la seconda è la dichiarazione che l’oblato rivolge, a sua volta, al proponente. Proposta ed accettazione non sono negozi giuridici, stante la loro inidoneità a determinare un apprezzabile assetto di interessi; esse vanno, piuttosto, qualificate come «atti prenegoziali», che acquistano siffatta idoneità solo nel momento in cui si combinano fra loro, sì da perfezionare il contratto. Perché ciò avvenga, è richiesto che l’accettazione assuma la forma eventualmente imposta dal proponente e sia perfettamente conforme, nei contenuti, alla proposta, valendo altrimenti come controproposta. Occorre, ulteriormente, che l’accettazione sia portata a conoscenza del proponente, nel termine convenuto o, in mancanza, in «quello ordinariamente necessario secondo la natura dell’affare o secondo gli usi» (art. 1326, comma 2°, c.c.). Del resto, non si potrebbe pretendere da chi ha formulato la proposta, di restarvi vincolato all’infinito, e di soggiacere alla balia del mero arbitrio dell’oblato, che potrebbe attendere anni prima di formulare la propria accettazione. La conclusione del contratto è retta, nel nostro ordinamento, dal principio della cognizione: essa coincide, come si è avvertito, col momento in cui chi ha formulato la proposta viene a conoscenza dell’accettazione dell’altra parte. Ciò potrebbe indurre a ritenere la necessità di una conoscenza effettiva. Dell’erroneità di una simile convinzione si trova conferma nell’art. 1335 c.c., rubricato «presunzione di conoscenza», per il quale «la proposta, l’accettazione, la loro revoca e ogni altra dichiarazione diretta a una determinata persona si reputano conosciute nel momento in cui giungono all’indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia». Di guisa che il requisito della conoscenza si trasforma in mera «conoscibilità», con la conseguenza che il contratto può dirsi concluso allorquando l’accettazione perviene all’indirizzo del proponente, salvo essere questi ammesso a dimostrare l’impossibilità di prenderne notizia, per causa a lui non imputabile. Dalla lettura combinata dell’art. 1326, comma 1°, c.c. e dell’art. 1335 c.c., si evince, dunque, che il principio della cognizione addossa il rischio relativo alla trasmissione dell’accettazione in capo all’oblato, come nel caso in cui l’accettazione non dovesse pervenire a destinazione, salvo, poi, mitigare tale rischio, con l’introduzione della presunzione di conoscenza, di cui si è detto. Fino a quando il contratto non è concluso ciascuna delle parti può revocare, senza bisogno di alcuna giustificazione, il proprio consenso (art. 1328 c.c.). La revoca è un atto unilaterale recettizio, che acquista efficacia solo a seguito della sua ricezione da parte del destinatario; operando il principio della cognizione, perché essa impedisca il perfezionamento del contratto, occorre che giunga a destinazione prima che il proponente abbia avuto notizia dell’accettazione, ovvero prima che sia iniziata l’esecuzione, se si tratta di contratti soggetti alla particolare regola dell’art. 1327 c.c. Non può, invece, essere revocata la proposta dichiarata «ferma» o irrevocabile per un certo tempo (art. 1328 c.c.). Dalla revoca si distingue il ritiro della proposta, che vale ad avvertire l’oblato di non tenere in considerazione la proposta (anche irrevocabile) in itinere. Particolari tecniche di formazione dell’accordo riguardano: a) i contratti con obbligazioni del solo proponente (art. 1333 c.c.): essi si perfezionano se, entro il termine richiesto dalla natura dell’affare o dagli usi, il destinatario non rifiuta la proposta; b) i contratti che ammettono esecuzione prima della risposta dell’accettante (art. 1327 c.c.): essi sono conclusi nel tempo e nel luogo in cui ha avuto inizio l’esecuzione; c) i contratti reali: il loro perfezionamento richiede, oltre all’accordo delle parti, anche la consegna della cosa che ne forma oggetto.
2012
BELLI GUIDO
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