L’erogazione di credito ad un’impresa insolvente anziché condurre ad un superamento della crisi, concretizza, in molti casi, un pregiudizio sia per i creditori, frustrati nelle loro ragioni dalla progressiva diminuzione della massa attiva, sia per l’impresa stessa che, continuando ad operare sul mercato, assiste alla riduzione del proprio patrimonio. Di recente, sulla scia dei più precoci insegnamenti dell’ordinamento francese, si è registrato, in dottrina e in giurisprudenza, un sensibile ampliamento del terreno della responsabilità degli istituti di credito, nelle ipotesi di reiterato finanziamento ad imprese in stato di crisi. Ma l’assenza di una disciplina specifica in materia, ha condotto gli interpreti ad interrogarsi sulle regole a presidio del sostegno economico delle imprese insolventi, onde operare un discrimine tra concessione legittima e concessione «abusiva» di fido. Discrimine che è stato ravvisato nella irrecuperabilità dell’insolvenza: non è sufficiente, in altre parole, a configurare la concessione abusiva del credito il supporto ad un’impresa in crisi; occorre, ulteriormente, che l’impresa versi in una situation déspéreé, ossia ineluttabile e senza alcun margine di risanamento. Il profilo più delicato è, indubbiamente, quello che attiene agli effetti che il reiterato sostegno economico all’impresa ormai decotta produce nel caso di apertura di una procedura concorsuale. In questa prospettiva è generalmente ammessa, almeno in linea di principio, la responsabilità della banca, potendosi qualificare il danno cagionato ai terzi come «ingiusto» ai sensi dell’art. 2043 c.c., quale sub specie di lesione aquiliana del credito, per il fatto di essere lesivo di posizioni soggettive meritevoli di protezione secondo il diritto comune. Ed invero il pregiudizio sofferto dai creditori è la conseguenza dell’incolpevole affidamento, generato proprio dalla erogazione del fido da parte dell’istituto di credito, sulle condizioni patrimoniali dell’impresa sovvenuta. Al riguardo, tuttavia, sussistono non poche divergenze. Non vi è, infatti, unanimità di pareri sul fondamento della responsabilità del banchiere: se, cioè, l’antigiuridicità del sostegno illegittimo agli imprenditori in crisi irreversibile sia correlata alla violazione di norme sostanziali del c.d. «ordinamento sezionale del credito» o se, piuttosto, integri un illecito aquiliano nel senso anzidetto. Potrebbe ritenersi che un obbligo di assoluta astensione di finanziare imprese decotte si collochi nell’ambito dei principi di cui all’art. 47 Cost., atteso che la capacità e l’esperienza professionale consentirebbero all’accorto banchiere di valutare, sempre e comunque, la sussistenza dei presupposti per l’erogazione o il mantenimento di un fido e di conoscere, o quantomeno prevedere, la nocività per i terzi e per i creditori concorrenti di una simile erogazione. Ma resta il fatto che un obbligo di tale portata non è configurato da alcuna norma positiva dell’ordinamento, di guisa che la concessione di credito ad un impresa, anche se in stato di crisi irreversibile, costituirebbe, di per sé, esplicazione di un’attività lecita e non censurabile. Non è, peraltro, mancato chi ha ritenuto di individuare il fondamento normativo dell’antigiuridicità della fattispecie de qua nell’art. 217, comma 1°, n. 3, l. fall. che sanziona il compimento di operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento, ovvero nell’art. 218 l. fall. che punisce l’imprenditore che ricorre o continua a ricorrere al credito dissimulando il dissesto o lo stato d’insolvenza, dai quali si ricaverebbe, per implicito, una responsabilità extracontrattuale nei confronti dei creditori dell’imprenditore, allorquando la banca concorra con quest’ultimo al compimento di atti che occultino lo stato di dissesto. In una differente prospettiva, la giurisprudenza prevalente, pur ammettendo la responsabilità da fatto illecito dell’istituto di credito che ha finanziato un’impresa successivamente dichiarata fallita, nonostante ne conoscesse – o avrebbe dovuto conoscerne – le condizioni di grave difficoltà economica, esclude la legittimazione degli organi delle procedure concorsuali all’esercizio di tale azione, giungendo in sostanza a svuotare di significato il riconoscimento della responsabilità della banca, considerato che, difficilmente, i singoli creditori saranno propensi ad esperire un’azione risarcitoria nei confronti di quest’ultima.

La responsabilità della banca per erogazione «abusiva» del credito ad un’impresa in situation déspéreé

BELLI, GUIDO
2012

Abstract

L’erogazione di credito ad un’impresa insolvente anziché condurre ad un superamento della crisi, concretizza, in molti casi, un pregiudizio sia per i creditori, frustrati nelle loro ragioni dalla progressiva diminuzione della massa attiva, sia per l’impresa stessa che, continuando ad operare sul mercato, assiste alla riduzione del proprio patrimonio. Di recente, sulla scia dei più precoci insegnamenti dell’ordinamento francese, si è registrato, in dottrina e in giurisprudenza, un sensibile ampliamento del terreno della responsabilità degli istituti di credito, nelle ipotesi di reiterato finanziamento ad imprese in stato di crisi. Ma l’assenza di una disciplina specifica in materia, ha condotto gli interpreti ad interrogarsi sulle regole a presidio del sostegno economico delle imprese insolventi, onde operare un discrimine tra concessione legittima e concessione «abusiva» di fido. Discrimine che è stato ravvisato nella irrecuperabilità dell’insolvenza: non è sufficiente, in altre parole, a configurare la concessione abusiva del credito il supporto ad un’impresa in crisi; occorre, ulteriormente, che l’impresa versi in una situation déspéreé, ossia ineluttabile e senza alcun margine di risanamento. Il profilo più delicato è, indubbiamente, quello che attiene agli effetti che il reiterato sostegno economico all’impresa ormai decotta produce nel caso di apertura di una procedura concorsuale. In questa prospettiva è generalmente ammessa, almeno in linea di principio, la responsabilità della banca, potendosi qualificare il danno cagionato ai terzi come «ingiusto» ai sensi dell’art. 2043 c.c., quale sub specie di lesione aquiliana del credito, per il fatto di essere lesivo di posizioni soggettive meritevoli di protezione secondo il diritto comune. Ed invero il pregiudizio sofferto dai creditori è la conseguenza dell’incolpevole affidamento, generato proprio dalla erogazione del fido da parte dell’istituto di credito, sulle condizioni patrimoniali dell’impresa sovvenuta. Al riguardo, tuttavia, sussistono non poche divergenze. Non vi è, infatti, unanimità di pareri sul fondamento della responsabilità del banchiere: se, cioè, l’antigiuridicità del sostegno illegittimo agli imprenditori in crisi irreversibile sia correlata alla violazione di norme sostanziali del c.d. «ordinamento sezionale del credito» o se, piuttosto, integri un illecito aquiliano nel senso anzidetto. Potrebbe ritenersi che un obbligo di assoluta astensione di finanziare imprese decotte si collochi nell’ambito dei principi di cui all’art. 47 Cost., atteso che la capacità e l’esperienza professionale consentirebbero all’accorto banchiere di valutare, sempre e comunque, la sussistenza dei presupposti per l’erogazione o il mantenimento di un fido e di conoscere, o quantomeno prevedere, la nocività per i terzi e per i creditori concorrenti di una simile erogazione. Ma resta il fatto che un obbligo di tale portata non è configurato da alcuna norma positiva dell’ordinamento, di guisa che la concessione di credito ad un impresa, anche se in stato di crisi irreversibile, costituirebbe, di per sé, esplicazione di un’attività lecita e non censurabile. Non è, peraltro, mancato chi ha ritenuto di individuare il fondamento normativo dell’antigiuridicità della fattispecie de qua nell’art. 217, comma 1°, n. 3, l. fall. che sanziona il compimento di operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento, ovvero nell’art. 218 l. fall. che punisce l’imprenditore che ricorre o continua a ricorrere al credito dissimulando il dissesto o lo stato d’insolvenza, dai quali si ricaverebbe, per implicito, una responsabilità extracontrattuale nei confronti dei creditori dell’imprenditore, allorquando la banca concorra con quest’ultimo al compimento di atti che occultino lo stato di dissesto. In una differente prospettiva, la giurisprudenza prevalente, pur ammettendo la responsabilità da fatto illecito dell’istituto di credito che ha finanziato un’impresa successivamente dichiarata fallita, nonostante ne conoscesse – o avrebbe dovuto conoscerne – le condizioni di grave difficoltà economica, esclude la legittimazione degli organi delle procedure concorsuali all’esercizio di tale azione, giungendo in sostanza a svuotare di significato il riconoscimento della responsabilità della banca, considerato che, difficilmente, i singoli creditori saranno propensi ad esperire un’azione risarcitoria nei confronti di quest’ultima.
2012
BELLI GUIDO
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