Se gli orti urbani affondano le loro radici nella storia dell’agricoltura e del paesaggio italiano, le forme che il fenomeno sta attualmente assumendo nel nostro paese possono essere considerate come il risultato di un processo di indigenizzazione dell’ondata dei community garden degli anni Settanta, che dagli Stati Uniti è approdata in Europa e infine in Italia. Basti ricordare che una delle esperienze nazionali più mature, quella francese dei giardini collettivi istituzionalizzati nel quadro delle politiche pubbliche urbane dalla seconda metà degli anni Novanta, è stata innescata dal contatto tra le associazioni di orticoltori francesi ed esponenti dei community garden canadesi e statunitensi . La tipologia classica degli orti urbani, di cui osserviamo ancora le tracce ai margini delle nostre città, ha origine nel cuore della società industriale con l’invenzione degli orti operai ottocenteschi, sviluppatesi in diversi paesi europei come strumento di autosussistenza delle classi inferiori in risposta a obiettivi di sussistenza o di educazione, socializzazione e controllo sociale, nel quadro di una politica sociale più o meno esplicitamente paternalistica . Il presente dell’orticoltura urbana in Italia è il risultato del confluire di queste due tradizioni, una indigena e una ispirata da un movimento nato oltreoceano, che si confrontano e si intrecciano nelle pratiche contemporanee. L’orticoltura urbana contemporanea si è quindi emancipata da un’identità marginale e subalterna, sia territoriale sia socio-culturale, e si è risemantizzata attraverso la sua adozione da parte di nuove categorie sociali, che attraversano le classi e le generazioni, nonché i generi e le categorie professionali. L’esperienza europea e soprattutto quella italiana, rispetto al caso avanzato di New York, sembra però caratterizzata da un lato da un focus privilegiato sull’orticoltura urbana, seppur rinnovata nelle sue forme, e dall’altro sulle valenze sociali, culturali e civiche-politiche della coltivazione in città, a discapito delle sue potenzialità in ambito economico e produttivo, che ad oggi non appaiono centrali , quando non sono evidentemente escluse dal campo del lecito.
P. Musarò, R. Bartoletti (2013). Mappare la campagna in città: uno sguardo tra New York City e l’Italia. SOCIOLOGIA DELLA COMUNICAZIONE, 44, 36-64.
Mappare la campagna in città: uno sguardo tra New York City e l’Italia
MUSARO', PIERLUIGI;BARTOLETTI, ROBERTA
2013
Abstract
Se gli orti urbani affondano le loro radici nella storia dell’agricoltura e del paesaggio italiano, le forme che il fenomeno sta attualmente assumendo nel nostro paese possono essere considerate come il risultato di un processo di indigenizzazione dell’ondata dei community garden degli anni Settanta, che dagli Stati Uniti è approdata in Europa e infine in Italia. Basti ricordare che una delle esperienze nazionali più mature, quella francese dei giardini collettivi istituzionalizzati nel quadro delle politiche pubbliche urbane dalla seconda metà degli anni Novanta, è stata innescata dal contatto tra le associazioni di orticoltori francesi ed esponenti dei community garden canadesi e statunitensi . La tipologia classica degli orti urbani, di cui osserviamo ancora le tracce ai margini delle nostre città, ha origine nel cuore della società industriale con l’invenzione degli orti operai ottocenteschi, sviluppatesi in diversi paesi europei come strumento di autosussistenza delle classi inferiori in risposta a obiettivi di sussistenza o di educazione, socializzazione e controllo sociale, nel quadro di una politica sociale più o meno esplicitamente paternalistica . Il presente dell’orticoltura urbana in Italia è il risultato del confluire di queste due tradizioni, una indigena e una ispirata da un movimento nato oltreoceano, che si confrontano e si intrecciano nelle pratiche contemporanee. L’orticoltura urbana contemporanea si è quindi emancipata da un’identità marginale e subalterna, sia territoriale sia socio-culturale, e si è risemantizzata attraverso la sua adozione da parte di nuove categorie sociali, che attraversano le classi e le generazioni, nonché i generi e le categorie professionali. L’esperienza europea e soprattutto quella italiana, rispetto al caso avanzato di New York, sembra però caratterizzata da un lato da un focus privilegiato sull’orticoltura urbana, seppur rinnovata nelle sue forme, e dall’altro sulle valenze sociali, culturali e civiche-politiche della coltivazione in città, a discapito delle sue potenzialità in ambito economico e produttivo, che ad oggi non appaiono centrali , quando non sono evidentemente escluse dal campo del lecito.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.