Della riflessione senza eguali per portata teorica e artistica che la Russia produceva nei primi decenni del Novecento sui temi della "parola", una delle voci più particolari e per lungo tempo trascurate è stata senz'altro quella di G.G. Shpet (1879-1937). Intellettuale di vastissima erudizione, da tempo "canonizzato" dalla letteratura critica, la sua opera attende ancora in verità quella "festa di resurrezione" che Bachtin profetizzava per ogni parola. Il carattere "di confine" della sua riflessione, sviluppata ai margini di linguistica, filologia, filosofia, rende la sua opera affascinante ma di non facile interpretazione. Con questo nostro contributo non vogliamo tuttavia addentrarci nel fascinoso labirinto dell'opera di Shpet nel suo insieme – o di qualche suo aspetto specifico. Qui intendiamo soltanto recuperare un momento aurorale dell'opera di un autore, e ricollegarlo potenzialmente alla storia di una disciplina, la semiotica, che avrebbe avuto in Russia il suo riconoscimento ufficiale solo qualche decennio dopo. La nostra riflessione in particolare si sviluppa intorno ai problemi teorici di interpretazione della storia, per dimostrare come essi siano presenti nella riflessione di Shpet in forme e modi che la semiotica, dopo averli all'inizio programmaticamente espunti dal proprio orizzonte d'indagine, avrebbe recuperato solo in una fase tarda e matura della sua evoluzione. La riflessione sul processo storico e la ricerca di nuovi principi metodologici della scienza storica accompagnano infatti Shpet lungo l'intero arco della sua attività, intersecandosi con l'impostazione del problema della comprensione in quanto problema gnoseologico centrale delle scienze umanistiche. In questo ambito, ruolo primario è in lui occupato dai problemi dell'espressione, della lingua e in generale della parola. In questa luce, la conoscenza storica, in quanto ricostruzione di una "realtà" attraverso la "lettura" scientifica di una "scrittura" di eventi, si costituisce dunque come conoscenza segnica per definizione. Di importanza centrale in questa prospettiva si dimostra essere un testo, imponente per mole e portata concettuale, solo di recente pubblcato integralmente in Russia, e totalmente sconosciuto in traduzione al pubblico straniero: "La storia come oggetto della logica" (1916). Alla presentazioe critica di questa monografia, per molto tempo ignorata anche da un pubblico specialstico, dedichiamo dunque la parte centrale della nostra trattazione, ricollegandone gli assunti ermeneutici fondanti all'intero dell'opera shpettiana, e suggerendo nel contempo l'influenza che quest'opera stessa avrebbe potuto esercitare con una sua tempestiva diffusione nell'anno della sua prima pubblicazione. Nel 1916, anno in cui il Cours di Saussure legittimava la nascita imminente della "semiotica" in quanto scienza indipendente, Shpet indicava già, sulla base della riflessione sullo studio storico, le vie per l'istituzione di una semiotica dell'interpretazione, non della pura rappresentazione. Con ciò stesso, legittimava con pionieristica lungimiranza l'esistenza di un terzo paradigma della semiotica, quello storico appunto, accanto a quelli linguistico e logico di derivazione saussuriana e peirciana.
M. De Michiel (2005). G.G.Shpet: la storia come oggetto della semiotica. JANUS. QUADERNI DEL CIRCOLO GLOSSEMATICO, 5, 147-160.
G.G.Shpet: la storia come oggetto della semiotica
DE MICHIEL, MARGHERITA
2005
Abstract
Della riflessione senza eguali per portata teorica e artistica che la Russia produceva nei primi decenni del Novecento sui temi della "parola", una delle voci più particolari e per lungo tempo trascurate è stata senz'altro quella di G.G. Shpet (1879-1937). Intellettuale di vastissima erudizione, da tempo "canonizzato" dalla letteratura critica, la sua opera attende ancora in verità quella "festa di resurrezione" che Bachtin profetizzava per ogni parola. Il carattere "di confine" della sua riflessione, sviluppata ai margini di linguistica, filologia, filosofia, rende la sua opera affascinante ma di non facile interpretazione. Con questo nostro contributo non vogliamo tuttavia addentrarci nel fascinoso labirinto dell'opera di Shpet nel suo insieme – o di qualche suo aspetto specifico. Qui intendiamo soltanto recuperare un momento aurorale dell'opera di un autore, e ricollegarlo potenzialmente alla storia di una disciplina, la semiotica, che avrebbe avuto in Russia il suo riconoscimento ufficiale solo qualche decennio dopo. La nostra riflessione in particolare si sviluppa intorno ai problemi teorici di interpretazione della storia, per dimostrare come essi siano presenti nella riflessione di Shpet in forme e modi che la semiotica, dopo averli all'inizio programmaticamente espunti dal proprio orizzonte d'indagine, avrebbe recuperato solo in una fase tarda e matura della sua evoluzione. La riflessione sul processo storico e la ricerca di nuovi principi metodologici della scienza storica accompagnano infatti Shpet lungo l'intero arco della sua attività, intersecandosi con l'impostazione del problema della comprensione in quanto problema gnoseologico centrale delle scienze umanistiche. In questo ambito, ruolo primario è in lui occupato dai problemi dell'espressione, della lingua e in generale della parola. In questa luce, la conoscenza storica, in quanto ricostruzione di una "realtà" attraverso la "lettura" scientifica di una "scrittura" di eventi, si costituisce dunque come conoscenza segnica per definizione. Di importanza centrale in questa prospettiva si dimostra essere un testo, imponente per mole e portata concettuale, solo di recente pubblcato integralmente in Russia, e totalmente sconosciuto in traduzione al pubblico straniero: "La storia come oggetto della logica" (1916). Alla presentazioe critica di questa monografia, per molto tempo ignorata anche da un pubblico specialstico, dedichiamo dunque la parte centrale della nostra trattazione, ricollegandone gli assunti ermeneutici fondanti all'intero dell'opera shpettiana, e suggerendo nel contempo l'influenza che quest'opera stessa avrebbe potuto esercitare con una sua tempestiva diffusione nell'anno della sua prima pubblicazione. Nel 1916, anno in cui il Cours di Saussure legittimava la nascita imminente della "semiotica" in quanto scienza indipendente, Shpet indicava già, sulla base della riflessione sullo studio storico, le vie per l'istituzione di una semiotica dell'interpretazione, non della pura rappresentazione. Con ciò stesso, legittimava con pionieristica lungimiranza l'esistenza di un terzo paradigma della semiotica, quello storico appunto, accanto a quelli linguistico e logico di derivazione saussuriana e peirciana.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.