La recensione, pubblicata sulla rivista "Sociologia urbana e rurale" (classificata in Fascia A e che prevede una procedura di referaggio doppiamente cieco), considera il volume di Robert Sampson "Great American City", che è in gran parte frutto del Project of Human Development on Chicago Neighborhood (PHDCN), partito nei primi anni ’90. Perché un quartiere è malfamato e un altro no? Perché in uno è presente un alto tasso di criminalità o di disagio sociale e in quello vicino no? Sono alcune delle domande da cui parte Sampson, mettendo in chiaro le prospettive del dibattito contemporaneo che “svalutano” il quartiere e proponendo una coraggiosa alternativa: ciò che è veramente specifico dell’America non è la disuguaglianza individuale, ma quella a livello di quartiere. L’autore riprende la definizione di neighborhood effect, richiamando anche la tesi sul declino della comunità considerandola come “ideology of lament”, nel senso che rimpiange i tempi passati senza aiutare a far luce sui meccanismi in atto nella città contemporanea. Rispetto allo studio dei legami personali e dell’appartenenza comunitaria, Sampson opta per la categoria di efficacia collettiva (collective efficacy), definita come il legame di coesione e fiducia reciproca tra residenti con aspettative condivise per intervenire nel supporto del controllo sociale a livello di quartiere. Il controllo sociale e tante caratteristiche del benessere di un quartiere non passano attraverso i singoli individui né i loro legami più o meno stretti (che possono addirittura costituire un ostacolo); la variabile discriminante è proprio l'efficacia, espressa attraverso comportamenti che vanno da gruppi spontanei di sorveglianza dei bambini a pratiche di prevenzione e tutela degli spazi pubblici. Quest’importanza attribuita al quartiere suggerisce peraltro implicazioni politiche che tendono a privilegiare gli interventi di comunità piuttosto che i sussidi ad personam. Un ulteriore aspetto è il perché di uno studio proprio a Chicago. Sampson la vede dichiaratamente come un “laboratorio”, non solo perché presenta un’ampia rappresentatività dei tre più grandi gruppi etnici/razziali americani ma anche per la presenza di risorse intellettuali, di cooperazione a diversi livelli, per la disponibilità di dati di archivio e il livello record di studi già condotti, senza dimenticare che l’autore ha lavorato alla University of Chicago dal 1991 al 2003. Sampson può essere tranquillamente considerato un “interprete critico” della Scuola Ecologica. Ne riprende l’interesse alla dimensione di quartiere, alla disorganizzazione sociale e all’osservazione sistematica, molto meno quello all’etnografia svolta in prima persona.

Sampson R., “Great American City. Chicago and the Enduring Neighborhood Effect” (University of Chicago Press, 2011)

MANELLA, GABRIELE
2012

Abstract

La recensione, pubblicata sulla rivista "Sociologia urbana e rurale" (classificata in Fascia A e che prevede una procedura di referaggio doppiamente cieco), considera il volume di Robert Sampson "Great American City", che è in gran parte frutto del Project of Human Development on Chicago Neighborhood (PHDCN), partito nei primi anni ’90. Perché un quartiere è malfamato e un altro no? Perché in uno è presente un alto tasso di criminalità o di disagio sociale e in quello vicino no? Sono alcune delle domande da cui parte Sampson, mettendo in chiaro le prospettive del dibattito contemporaneo che “svalutano” il quartiere e proponendo una coraggiosa alternativa: ciò che è veramente specifico dell’America non è la disuguaglianza individuale, ma quella a livello di quartiere. L’autore riprende la definizione di neighborhood effect, richiamando anche la tesi sul declino della comunità considerandola come “ideology of lament”, nel senso che rimpiange i tempi passati senza aiutare a far luce sui meccanismi in atto nella città contemporanea. Rispetto allo studio dei legami personali e dell’appartenenza comunitaria, Sampson opta per la categoria di efficacia collettiva (collective efficacy), definita come il legame di coesione e fiducia reciproca tra residenti con aspettative condivise per intervenire nel supporto del controllo sociale a livello di quartiere. Il controllo sociale e tante caratteristiche del benessere di un quartiere non passano attraverso i singoli individui né i loro legami più o meno stretti (che possono addirittura costituire un ostacolo); la variabile discriminante è proprio l'efficacia, espressa attraverso comportamenti che vanno da gruppi spontanei di sorveglianza dei bambini a pratiche di prevenzione e tutela degli spazi pubblici. Quest’importanza attribuita al quartiere suggerisce peraltro implicazioni politiche che tendono a privilegiare gli interventi di comunità piuttosto che i sussidi ad personam. Un ulteriore aspetto è il perché di uno studio proprio a Chicago. Sampson la vede dichiaratamente come un “laboratorio”, non solo perché presenta un’ampia rappresentatività dei tre più grandi gruppi etnici/razziali americani ma anche per la presenza di risorse intellettuali, di cooperazione a diversi livelli, per la disponibilità di dati di archivio e il livello record di studi già condotti, senza dimenticare che l’autore ha lavorato alla University of Chicago dal 1991 al 2003. Sampson può essere tranquillamente considerato un “interprete critico” della Scuola Ecologica. Ne riprende l’interesse alla dimensione di quartiere, alla disorganizzazione sociale e all’osservazione sistematica, molto meno quello all’etnografia svolta in prima persona.
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