Fortunatamente, le malattie di origine batterica capaci di provocare danni di rilievo sulle piante ornamentali non sono molto numerose. Quella su cui si soffermiamo, la “Rogna dell’Ulivo”, è conosciuta da tempi assai remoti, e precisamente fin dal IV sec. a. C.: viene infatti descritta dal filosofo e naturalista greco Teofrasto, discepolo di Platone, nella suo prezioso trattato Istoria delle piante. E’ presente ovunque si coltivi l’olivo, ma non solo, dato che altre oleacee come oleandro, frassino, ligustro e gelsomino, ne sono affette. Cos’è la “Rogna”? Questo termine viene usato per indicare quelle escrescenze tumorali (tubercoli), più o meno tondeggianti, che si vanno a formare su tutti gli organi ipo- ed epigei della pianta. I tubercoli, inizialmente di colore verdognolo e di pochi millimetri di diametro, diventano delle grosse protuberanze sferoidali o crateriformi, che sporgono di parecchi centimetri dai tessuti sani. Con il passare del tempo, la colorazione diviene brunastra e la superficie screpolata e fessurata. La Rogna si nota soprattutto sui giovani rametti, ma anche le foglie ed i peduncoli dei frutti possono esserne coinvolti. Il danno è grave se vengono colpite le piante in vivaio, oppure, sugli olivi del nostro giardino, quando gli attacchi interessano l’apparato radicale. Il batterio responsabile della “Rogna” è Pseudomonas syringae subsp. savanastoi che penetra nei tessuti della pianta attraverso lesioni di recente formazione (cicatrici fogliari, ferite da freddo o da grandine, ecc.) per poi sopravvivere sulle superfici di rami e foglie, oltre che all’interno dei tubercoli di cui causa la formazione elaborando una sostanza specifica nota come “principio induttore del tumore”, ed ormoni del tipo auxine che stimolano un’abnorme proliferazione cellulare. In questo modo, il batterio può colonizzare anche le strutture vascolari della pianta e causare nuovi tubercoli a distanza. Un importante ruolo nella diffusione della malattia è svolto dalla mosca dell’olivo Daucus oleae mediante le punture di ovodeposizione nei frutti, e poi dalle piogge. La lotta è di tipo preventivo. Se notate delle strane protuberanze sui getti, provvedete alla tempestiva eliminazione delle parti infette e poi alla disinfezione delle ferite con prodotti rameici (200-250 g/l di principio attivo). Durante le operazioni di rimonda, gli strumenti da taglio devono essere perfettamente disinfettati per evitare ulteriori contagi.
M.G. Bellardi (2012). La rogna dell'olivo. GIARDINI, 257, 68-68.
La rogna dell'olivo
BELLARDI, MARIA GRAZIA
2012
Abstract
Fortunatamente, le malattie di origine batterica capaci di provocare danni di rilievo sulle piante ornamentali non sono molto numerose. Quella su cui si soffermiamo, la “Rogna dell’Ulivo”, è conosciuta da tempi assai remoti, e precisamente fin dal IV sec. a. C.: viene infatti descritta dal filosofo e naturalista greco Teofrasto, discepolo di Platone, nella suo prezioso trattato Istoria delle piante. E’ presente ovunque si coltivi l’olivo, ma non solo, dato che altre oleacee come oleandro, frassino, ligustro e gelsomino, ne sono affette. Cos’è la “Rogna”? Questo termine viene usato per indicare quelle escrescenze tumorali (tubercoli), più o meno tondeggianti, che si vanno a formare su tutti gli organi ipo- ed epigei della pianta. I tubercoli, inizialmente di colore verdognolo e di pochi millimetri di diametro, diventano delle grosse protuberanze sferoidali o crateriformi, che sporgono di parecchi centimetri dai tessuti sani. Con il passare del tempo, la colorazione diviene brunastra e la superficie screpolata e fessurata. La Rogna si nota soprattutto sui giovani rametti, ma anche le foglie ed i peduncoli dei frutti possono esserne coinvolti. Il danno è grave se vengono colpite le piante in vivaio, oppure, sugli olivi del nostro giardino, quando gli attacchi interessano l’apparato radicale. Il batterio responsabile della “Rogna” è Pseudomonas syringae subsp. savanastoi che penetra nei tessuti della pianta attraverso lesioni di recente formazione (cicatrici fogliari, ferite da freddo o da grandine, ecc.) per poi sopravvivere sulle superfici di rami e foglie, oltre che all’interno dei tubercoli di cui causa la formazione elaborando una sostanza specifica nota come “principio induttore del tumore”, ed ormoni del tipo auxine che stimolano un’abnorme proliferazione cellulare. In questo modo, il batterio può colonizzare anche le strutture vascolari della pianta e causare nuovi tubercoli a distanza. Un importante ruolo nella diffusione della malattia è svolto dalla mosca dell’olivo Daucus oleae mediante le punture di ovodeposizione nei frutti, e poi dalle piogge. La lotta è di tipo preventivo. Se notate delle strane protuberanze sui getti, provvedete alla tempestiva eliminazione delle parti infette e poi alla disinfezione delle ferite con prodotti rameici (200-250 g/l di principio attivo). Durante le operazioni di rimonda, gli strumenti da taglio devono essere perfettamente disinfettati per evitare ulteriori contagi.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.


