Sono ormai lustri che nella Regione Emilia Romagna non vengono condotte indagini epidemiologiche sulla filariosi del cane. Il motivo è da ricercarsi nella onerosità delle stesse che, complice l’abuso di sostanze non consentite per la profilassi (leggasi avermectine registrate per specie diverse), con l’aggravante di una loro fantasiosa applicazione (la cui apoteosi è rappresentata dai maxi dosaggi tardo autunnali), hanno di fatto reso impossibile interpretare i risultati di prove dirette a basso impatto economico come l’esame a fresco, quello di Knott modificato o quello per filtrazione (Martini et al, 1996). In un passato ormai lontano questi test avevano permesso indagini di massa con la puntualizzazione di specifici fattori di rischio ( Poglayen et al, 1988). L’attività nei confronti delle microfilarie di queste fantaprofilassi economiche ne rende impossibile la ricerca e costringe a far ricorso a kit diagnostici ben più costosi e quindi riservati ad un uso ambulatoriale. Anche l’interpretazione epidemiologica dei risultati di questi ultimi potrebbe però risultare problematica, stante la temporanea sterilizzazione delle femmine (altro risultato della profilassi economica) e quindi la mancata emissione di antigeni uterini che i test evidenziano. Mi si potrà obiettare che anche alcuni dei più recenti presidi preventivi hanno azione simile (Mibelmicina ossima), ma i loro costi ne limitano l’utilizzo ai cani di proprietà la cui anamnesi sarebbe facilmente ottenibile. A questo reale fattore limitante si aggiunge la ormai scarsa propensione delle case farmaceutiche, probabilmente ormai paghe dei risultati commerciali ottenuti, a finanziare nuove indagini. Orbati di altre opportunità ci siamo visti costretti a considerare gli ambulatori veterinari come osservatori epidemiologici privilegiati per lo studio della filariosi del cane. Operazione teoricamente semplice ma praticamente difficilissima (ricordo con velata nostalgia quelle mega riunioni di cani in piazza con 200 prelievi al sabato mattina); la difficoltà risiede nell’affidabilità del dato di cui non si è direttamente responsabili. Questo giustifica (forse) il nostro, assolutamente casuale, excursus fuori regione, siamo però a ridosso del fiume Po nel cui bacino imbrifero si riscontrarono in passato le prevalenze maggiori. I 587 cani esaminati (ELISA SNAPP IDDEX) provenivano dalle province di Mantova, Verona, Rovigo e Padova (solo 2). In generale la prevalenza per Dirofilaria immitis è risultata del 6,6 % quindi notevolmente inferiore a quelle storiche; non dobbiamo però dimenticare che il campione così realizzato è del tutto particolare. Sono tutti animali di proprietà adusi alla frequentazione di ambulatori veterinari. Si è inoltre registrata una significativa tendenza a ridurre il ricorso alla profilassi nei cani anziani e nei meticci con prevalenze che hanno rispecchiato questa disaffezione. Il risultato a nostro avviso più importante di questa indagine, oltre a ribadire l’efficacia dei presidi correttamente utilizzati, è stato proprio quello di assistere all’infestazione sia dei cani che non avevano effettuato profilassi, sia di quelli che l’avevano applicata parzialmente a dimostrazione che, a fronte di prevalenze apparentemente inferiori rispetto al passato, la pressione parassitaria rimane nell’area così elevata da indurre infestazione anche in quei soggetti che non applicano correttamente la prevenzione. A questo punto interpretare biologicamente il fenomeno laddove il randagismo si può considerare assente può risultare più arduo, indaginoso e sicuramente costoso. Per non scontentare i confinanti a sud della regione abbiamo sconfinato con una indagine anche nelle Marche dove assieme ad altre positività, abbiamo riscontrato un interessante focolaio di D. repens nei cani (3 su 4) al cui proprietario era sta diagnosticata una filariosi sottocutanea indotta dallo stesso nematode. Una conferma sia del potenziale zoonotico, sia della distribuzione geografica di questa filariosi. Se la domanda generale era: abbiamo il polso della situazione rispetto alle filariosi del cane ? La risposta non può che essere realisticamente negativa.

Poglayen G. (2010). Dirofilariosi canina: un esempio di federalismo parassitario. LA SETTIMANA VETERINARIA, 698, 9-10.

Dirofilariosi canina: un esempio di federalismo parassitario

POGLAYEN, GIOVANNI
2010

Abstract

Sono ormai lustri che nella Regione Emilia Romagna non vengono condotte indagini epidemiologiche sulla filariosi del cane. Il motivo è da ricercarsi nella onerosità delle stesse che, complice l’abuso di sostanze non consentite per la profilassi (leggasi avermectine registrate per specie diverse), con l’aggravante di una loro fantasiosa applicazione (la cui apoteosi è rappresentata dai maxi dosaggi tardo autunnali), hanno di fatto reso impossibile interpretare i risultati di prove dirette a basso impatto economico come l’esame a fresco, quello di Knott modificato o quello per filtrazione (Martini et al, 1996). In un passato ormai lontano questi test avevano permesso indagini di massa con la puntualizzazione di specifici fattori di rischio ( Poglayen et al, 1988). L’attività nei confronti delle microfilarie di queste fantaprofilassi economiche ne rende impossibile la ricerca e costringe a far ricorso a kit diagnostici ben più costosi e quindi riservati ad un uso ambulatoriale. Anche l’interpretazione epidemiologica dei risultati di questi ultimi potrebbe però risultare problematica, stante la temporanea sterilizzazione delle femmine (altro risultato della profilassi economica) e quindi la mancata emissione di antigeni uterini che i test evidenziano. Mi si potrà obiettare che anche alcuni dei più recenti presidi preventivi hanno azione simile (Mibelmicina ossima), ma i loro costi ne limitano l’utilizzo ai cani di proprietà la cui anamnesi sarebbe facilmente ottenibile. A questo reale fattore limitante si aggiunge la ormai scarsa propensione delle case farmaceutiche, probabilmente ormai paghe dei risultati commerciali ottenuti, a finanziare nuove indagini. Orbati di altre opportunità ci siamo visti costretti a considerare gli ambulatori veterinari come osservatori epidemiologici privilegiati per lo studio della filariosi del cane. Operazione teoricamente semplice ma praticamente difficilissima (ricordo con velata nostalgia quelle mega riunioni di cani in piazza con 200 prelievi al sabato mattina); la difficoltà risiede nell’affidabilità del dato di cui non si è direttamente responsabili. Questo giustifica (forse) il nostro, assolutamente casuale, excursus fuori regione, siamo però a ridosso del fiume Po nel cui bacino imbrifero si riscontrarono in passato le prevalenze maggiori. I 587 cani esaminati (ELISA SNAPP IDDEX) provenivano dalle province di Mantova, Verona, Rovigo e Padova (solo 2). In generale la prevalenza per Dirofilaria immitis è risultata del 6,6 % quindi notevolmente inferiore a quelle storiche; non dobbiamo però dimenticare che il campione così realizzato è del tutto particolare. Sono tutti animali di proprietà adusi alla frequentazione di ambulatori veterinari. Si è inoltre registrata una significativa tendenza a ridurre il ricorso alla profilassi nei cani anziani e nei meticci con prevalenze che hanno rispecchiato questa disaffezione. Il risultato a nostro avviso più importante di questa indagine, oltre a ribadire l’efficacia dei presidi correttamente utilizzati, è stato proprio quello di assistere all’infestazione sia dei cani che non avevano effettuato profilassi, sia di quelli che l’avevano applicata parzialmente a dimostrazione che, a fronte di prevalenze apparentemente inferiori rispetto al passato, la pressione parassitaria rimane nell’area così elevata da indurre infestazione anche in quei soggetti che non applicano correttamente la prevenzione. A questo punto interpretare biologicamente il fenomeno laddove il randagismo si può considerare assente può risultare più arduo, indaginoso e sicuramente costoso. Per non scontentare i confinanti a sud della regione abbiamo sconfinato con una indagine anche nelle Marche dove assieme ad altre positività, abbiamo riscontrato un interessante focolaio di D. repens nei cani (3 su 4) al cui proprietario era sta diagnosticata una filariosi sottocutanea indotta dallo stesso nematode. Una conferma sia del potenziale zoonotico, sia della distribuzione geografica di questa filariosi. Se la domanda generale era: abbiamo il polso della situazione rispetto alle filariosi del cane ? La risposta non può che essere realisticamente negativa.
2010
Poglayen G. (2010). Dirofilariosi canina: un esempio di federalismo parassitario. LA SETTIMANA VETERINARIA, 698, 9-10.
Poglayen G.
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