Un importante aspetto di socio-economia del farmaco è rappresentato dalla riduzione del periodo di durata dei Certificati di Protezione Complementari (CCP) rilasciati in Italia dal novembre 1991 sino all’inizio del 1993, quando entra in vigore il Regolamento CE 1768/1992 in materia di CCP. Tale riduzione, operata dal D.L. 15 aprile 2002, n. 63, convertito nella legge 15 giugno 2002, n. 112 si rende indispensabile in seguito al mutato scenario economico. Se infatti all’inizio degli anni ’90 era necessario sostenere l’industria farmaceutica italiana che si dedicava alla ricerca “di base” concedendo una durata dei CCP di durata pari al periodo intercorso tra la data di deposito della domanda di brevetto e la data dell’ottenimento dell’AIC, all’inizio degli anni 2000 l’esigenza improrogabile di ridurre i costi della spesa sanitaria, la constatazione del passaggio di proprietà di gran parte della stessa industria farmaceutica alle grandi multinazionali e la necessità di sostenere l’industria italiana produttrice di medicinali generici nonché sostenere la diffusione dell’uso dei generici, hanno creato le condizione per imporre una riduzione della durata dei CCP nazionali con l’intento di allinearli alla durata (più breve) di quelli europei. I provvedimenti di ricalcolo della durata dei CCP nazionali da parte dell’Ufficio Italiano brevetti e marchi (UIBM), in seguito all’approvazione della legge 112/2002, hanno attivato ricorsi da parte delle industrie farmaceutiche interessate presso il TAR Lazio e presso la Commissione dei ricorsi. Il 1° organo giudicante (TAR Lazio) con sentenza n. 7858/2003 del 12.6.03, ha confermato la validità delle norme proposte dal Governo nel 2002, che tendono ad allineare le disposizioni nazionali in materia di Certificati Complementari di Protezione (CCP), a quelle europee. Se la sentenza del TAR Lazio del 12 giugno 2003, afferma la legittimità delle norme in materia di riduzione dei CCP italiani in accordo con l’attuale orientamento legislativo, la Commissione dei Ricorsi dell’Ufficio Brevetti pur argomentando della verosimile infondatezza dei ricorsi presentati, ha ritenuto tuttavia non potersi dire acquisita “l’assoluta certezza che la Corte Costituzionale mai accoglierebbe siffatta eccezione” ed ha effettuato di conseguenza, la rimessione degli atti alla Corte Costituzionale. Affermata la prevalenza della domanda sociale di salute e d’assistenza farmaceutica, nel rispetto dell’art. 32 Cost., l’atteso giudizio di costituzionalità attiene ora ad argomenti di mero indennizzo nei confronti dell’industria farmaceutica, ovvero se si debba applicare l’art. 42, comma 2 Cost., che non richiede alcun indennizzo (per imposizione dei limiti alla proprietà allo scopo di assicurarne la funzione sociale) o l’art. 42, comma 3 Cost. che invece prevede l’espropriazione salvo indennizzo per motivi di interesse generale, ne consegue il dubbio circa l’ammissibilità di provvedimenti amministrativi a contenuto ablatorio che non dispongano, come nel caso, di alcun indennizzo a favore dei soggetti incisi da essi e, dunque, ponendo il problema della qualificazione stessa dei diritti di proprietà immateriale. Appare pertanto fondamentale attendere quanto la Corte Costituzionale deciderà in merito all’eventuale indennizzo per la riduzione dei CCP, anche in relazione al principio dell’affidamento ovvero alla stabilità e certezza delle norme giuridiche e sul quale le industrie farmaceutiche avevano legittimamente contato.
P. Rampinelli, C. Cavallari, M. Cini (2004). Certificati complementari di protezione dei medicinali: allineamento alle disposizioni comunitarie in materia e riassetto degli equilibri tra comparti dell'industria farmaceutica. RASSEGNA DI DIRITTO FARMACEUTICO, 5, 961-974.
Certificati complementari di protezione dei medicinali: allineamento alle disposizioni comunitarie in materia e riassetto degli equilibri tra comparti dell'industria farmaceutica.
RAMPINELLI, PATRIZIA;CAVALLARI, CRISTINA;CINI, MAURIZIO
2004
Abstract
Un importante aspetto di socio-economia del farmaco è rappresentato dalla riduzione del periodo di durata dei Certificati di Protezione Complementari (CCP) rilasciati in Italia dal novembre 1991 sino all’inizio del 1993, quando entra in vigore il Regolamento CE 1768/1992 in materia di CCP. Tale riduzione, operata dal D.L. 15 aprile 2002, n. 63, convertito nella legge 15 giugno 2002, n. 112 si rende indispensabile in seguito al mutato scenario economico. Se infatti all’inizio degli anni ’90 era necessario sostenere l’industria farmaceutica italiana che si dedicava alla ricerca “di base” concedendo una durata dei CCP di durata pari al periodo intercorso tra la data di deposito della domanda di brevetto e la data dell’ottenimento dell’AIC, all’inizio degli anni 2000 l’esigenza improrogabile di ridurre i costi della spesa sanitaria, la constatazione del passaggio di proprietà di gran parte della stessa industria farmaceutica alle grandi multinazionali e la necessità di sostenere l’industria italiana produttrice di medicinali generici nonché sostenere la diffusione dell’uso dei generici, hanno creato le condizione per imporre una riduzione della durata dei CCP nazionali con l’intento di allinearli alla durata (più breve) di quelli europei. I provvedimenti di ricalcolo della durata dei CCP nazionali da parte dell’Ufficio Italiano brevetti e marchi (UIBM), in seguito all’approvazione della legge 112/2002, hanno attivato ricorsi da parte delle industrie farmaceutiche interessate presso il TAR Lazio e presso la Commissione dei ricorsi. Il 1° organo giudicante (TAR Lazio) con sentenza n. 7858/2003 del 12.6.03, ha confermato la validità delle norme proposte dal Governo nel 2002, che tendono ad allineare le disposizioni nazionali in materia di Certificati Complementari di Protezione (CCP), a quelle europee. Se la sentenza del TAR Lazio del 12 giugno 2003, afferma la legittimità delle norme in materia di riduzione dei CCP italiani in accordo con l’attuale orientamento legislativo, la Commissione dei Ricorsi dell’Ufficio Brevetti pur argomentando della verosimile infondatezza dei ricorsi presentati, ha ritenuto tuttavia non potersi dire acquisita “l’assoluta certezza che la Corte Costituzionale mai accoglierebbe siffatta eccezione” ed ha effettuato di conseguenza, la rimessione degli atti alla Corte Costituzionale. Affermata la prevalenza della domanda sociale di salute e d’assistenza farmaceutica, nel rispetto dell’art. 32 Cost., l’atteso giudizio di costituzionalità attiene ora ad argomenti di mero indennizzo nei confronti dell’industria farmaceutica, ovvero se si debba applicare l’art. 42, comma 2 Cost., che non richiede alcun indennizzo (per imposizione dei limiti alla proprietà allo scopo di assicurarne la funzione sociale) o l’art. 42, comma 3 Cost. che invece prevede l’espropriazione salvo indennizzo per motivi di interesse generale, ne consegue il dubbio circa l’ammissibilità di provvedimenti amministrativi a contenuto ablatorio che non dispongano, come nel caso, di alcun indennizzo a favore dei soggetti incisi da essi e, dunque, ponendo il problema della qualificazione stessa dei diritti di proprietà immateriale. Appare pertanto fondamentale attendere quanto la Corte Costituzionale deciderà in merito all’eventuale indennizzo per la riduzione dei CCP, anche in relazione al principio dell’affidamento ovvero alla stabilità e certezza delle norme giuridiche e sul quale le industrie farmaceutiche avevano legittimamente contato.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.