Descrizione e critica delle tre principali correnti sociologiche di studio sulla disabilità proposte da Michael Bury. La prima, di stampo parsonsiano, vede la disabilità come menomazione. La disabilità è l’effetto di una malattia che ha conseguenze sociali. Ad esempio riduce le possibilità di azione economica (produttiva) dell’attore sociale. Tale visione coincide con un’osservazione bio-medica del fenomeno e con l’estrinsecazione degli effetti sociali di tale condizione attraverso categorie genericamente sociologiche e/o di raffinato buon senso. Empiricamente, tale concezione ha dato vita a una prassi di ricerca di stampo pragmatico volta alla enucleazione di problemi e proposte di soluzioni. Ad esempio, si è studiato il problema del disabile nel mercato del lavoro; il problema del disabile nelle reti famigliari; il problema dell’assistenza domiciliare al disabile; etc. Frank, e siamo alla seconda corrente di pensiero, contrasta tale modello attraverso il recupero del concetto di persona. Il disabile è un “cantastorie ferito”. Dall’aspetto pragmatico ci si volge all’aspetto semantico. Ciò che interessa sono le narrazioni del disabile. Il modo attraverso cui il disabile fornisce senso alla sua condizione. L’autoriflessività del disabile può permettergli di scoprire dimensioni nascoste della sua personalità. Egli può ristrutturare la sua identità in senso attivo. Può essere un “malato di successo” ovvero qualcuno che attraverso la sua condizione scopre nuovi nessi tra le cose e diviene un esploratore della propria interiorità. La malattia e/o la disabilità divengono quindi dispositivo di cambiamento. Cambiamento positivo. Chiamiamo questa prospettiva ermeneutico-fenomenologica. Vi è però un altro approccio alla disabilità. Esso emerge come critica radicale al modello parsonsiano e come “allargamento”, dal micro al macro, del modello ermeneutico-fenomenologico. Si tratta del modello che propongono gli “attivisti politici”. Bury ne delinea le caratteristiche “a contrario”: ritagliandole dalle critiche che gli attivisti rivolgono alle definizioni di disabilità proposte dall’OMS e dall’Institute of Medicine (IOM) degli Stati Uniti. Tali concezioni di disabilità si dipanano lungo una catena causale che vede all’origine una menomazione fisica che sfocia, dopo una serie di passaggi, nel ruolo sociale del disabile (o dell’handicap), un ruolo caratterizzato da una mancanza: la mancanza della normalità.

A. Maturo (2005). Disabilità e dimensioni di malattia. SALUTE E SOCIETÀ, 1/2005, 165-172.

Disabilità e dimensioni di malattia

MATURO, ANTONIO FRANCESCO
2005

Abstract

Descrizione e critica delle tre principali correnti sociologiche di studio sulla disabilità proposte da Michael Bury. La prima, di stampo parsonsiano, vede la disabilità come menomazione. La disabilità è l’effetto di una malattia che ha conseguenze sociali. Ad esempio riduce le possibilità di azione economica (produttiva) dell’attore sociale. Tale visione coincide con un’osservazione bio-medica del fenomeno e con l’estrinsecazione degli effetti sociali di tale condizione attraverso categorie genericamente sociologiche e/o di raffinato buon senso. Empiricamente, tale concezione ha dato vita a una prassi di ricerca di stampo pragmatico volta alla enucleazione di problemi e proposte di soluzioni. Ad esempio, si è studiato il problema del disabile nel mercato del lavoro; il problema del disabile nelle reti famigliari; il problema dell’assistenza domiciliare al disabile; etc. Frank, e siamo alla seconda corrente di pensiero, contrasta tale modello attraverso il recupero del concetto di persona. Il disabile è un “cantastorie ferito”. Dall’aspetto pragmatico ci si volge all’aspetto semantico. Ciò che interessa sono le narrazioni del disabile. Il modo attraverso cui il disabile fornisce senso alla sua condizione. L’autoriflessività del disabile può permettergli di scoprire dimensioni nascoste della sua personalità. Egli può ristrutturare la sua identità in senso attivo. Può essere un “malato di successo” ovvero qualcuno che attraverso la sua condizione scopre nuovi nessi tra le cose e diviene un esploratore della propria interiorità. La malattia e/o la disabilità divengono quindi dispositivo di cambiamento. Cambiamento positivo. Chiamiamo questa prospettiva ermeneutico-fenomenologica. Vi è però un altro approccio alla disabilità. Esso emerge come critica radicale al modello parsonsiano e come “allargamento”, dal micro al macro, del modello ermeneutico-fenomenologico. Si tratta del modello che propongono gli “attivisti politici”. Bury ne delinea le caratteristiche “a contrario”: ritagliandole dalle critiche che gli attivisti rivolgono alle definizioni di disabilità proposte dall’OMS e dall’Institute of Medicine (IOM) degli Stati Uniti. Tali concezioni di disabilità si dipanano lungo una catena causale che vede all’origine una menomazione fisica che sfocia, dopo una serie di passaggi, nel ruolo sociale del disabile (o dell’handicap), un ruolo caratterizzato da una mancanza: la mancanza della normalità.
2005
A. Maturo (2005). Disabilità e dimensioni di malattia. SALUTE E SOCIETÀ, 1/2005, 165-172.
A. Maturo
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/10418
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