La vicenda umana e politica di Camillo Berneri (1897-1937), consumatasi negli anni tra le due guerre mondiali, delinea una figura singolare di pensatore anarchico e di militante antifascista. Formatosi nei primi anni 20 all’università di Firenze, con un maestro come Gaetano Salvemini e con amici quali Carlo e Nello Rosselli ed Ernesto Rossi, fu quasi naturale per Berneri dialogare tutta la vita con gli ambienti liberalsocialisti e repubblicani. Espatriato nel 1926, quando in Italia vennero meno gli ultimi residui di libertà di opposizione, Berneri si stabilì a Parigi, dove fu presto raggiunto dalla moglie Giovanna Caleffi, dalle due piccole figlie, Maria Luisa e Giliana, e dall’anziana madre, Adalgisa Fochi. Si ricomponeva così quella dimensione familiare a cui era legatissimo. Berneri non aveva alle spalle un partito organizzato e, negli anni spesso drammatici dell’esilio, la rete di sostegno formata dagli affetti familiari e dalla solidarietà amicale (Carlo Rosselli, Salvemini, Fernando Schiavetti, alcuni compagni anarchici) risultò fondamentale per rendere possibile la sua stessa attività politica. Passarono dieci anni di esilio, fatti di generosa militanza, «facchinaggio» giornalistico e incontri affascinanti, ma anche di nostalgia verso la propria terra, di lavori umili e malpagati, di decreti di espulsione e brevi permessi di soggiorno, di carcere e indigenza, mentre il regime di Mussolini si consolidava fino alle conquiste coloniali, vanificando l’opposizione degli esuli. All’inizio del 1936, Berneri era ormai oppresso dalla propria impotenza e parlava apertamente di sconfitta dell’antifascismo, quando improvvisa in estate si accendeva la speranza rappresentata dalla guerra civile spagnola e da una possibile rivoluzione libertaria in quel paese. L’esilio di Berneri raccoglie in sé i caratteri del viaggio antico e del viaggio moderno, così come sono stati descritti da Eric J. Leed. L’esilio, innanzitutto, come viaggio all’insegna di costrizione e sofferenza. Un viaggio antico, che sottopone a dura prova. L’identità di chi lo affronta si riduce agli elementi essenziali, permettendo di vedere quali essi siano. «Soltanto i nauseati dell’esilio – scriveva Berneri – possono intendersi tra loro. Soltanto possono unirsi in pattuglia di punta coloro che considerano l’esilio come un peccato che bisogna scontare, come una vergogna della quale bisogna redimersi, come una pena che va vendicata». Ma, dal punto di vista culturale, l’esilio si rivelò per lui anche un’opportunità di scoperta e arricchimento. Un viaggio moderno, che permette di accedere a qualcosa di nuovo. «Non è che fuori d’Italia che ho scoperto questa, pur diventando europeo. Senza contare le esperienze di vita, le scoperte culturali (Freud, ecc.) le amicizie, ecc». Alla sua esperienza di esule Berneri dedicò un testo «introspettivo», Esilio, che cominciò a stendere nel 1935, non riuscendo però mai a completarlo. Partendo dal manoscritto, che è conservato presso l’Archivio Famiglia Berneri di Reggio Emilia e che è ancora in larga parte inedito, e sotto la scorta di una attenzione sempre più ampia che gli studi storici hanno dedicato negli ultimi anni alla figura dell’anarchico italiano e alla sua famiglia, il saggio che qui si propone intende ripercorrere un intenso e drammatico “pellegrinaggio” politico e umano, da Firenze a Parigi, a Barcellona, snodatosi nei decenni tra le due guerre mondiali.
De Maria C. (2009). L’Esilio di Camillo Berneri come viaggio antico e moderno. S-NODI PUBBLICI E PRIVATI NELLA STORIA CONTEMPORANEA, 3, 73-76.
L’Esilio di Camillo Berneri come viaggio antico e moderno
DE MARIA, CARLO
2009
Abstract
La vicenda umana e politica di Camillo Berneri (1897-1937), consumatasi negli anni tra le due guerre mondiali, delinea una figura singolare di pensatore anarchico e di militante antifascista. Formatosi nei primi anni 20 all’università di Firenze, con un maestro come Gaetano Salvemini e con amici quali Carlo e Nello Rosselli ed Ernesto Rossi, fu quasi naturale per Berneri dialogare tutta la vita con gli ambienti liberalsocialisti e repubblicani. Espatriato nel 1926, quando in Italia vennero meno gli ultimi residui di libertà di opposizione, Berneri si stabilì a Parigi, dove fu presto raggiunto dalla moglie Giovanna Caleffi, dalle due piccole figlie, Maria Luisa e Giliana, e dall’anziana madre, Adalgisa Fochi. Si ricomponeva così quella dimensione familiare a cui era legatissimo. Berneri non aveva alle spalle un partito organizzato e, negli anni spesso drammatici dell’esilio, la rete di sostegno formata dagli affetti familiari e dalla solidarietà amicale (Carlo Rosselli, Salvemini, Fernando Schiavetti, alcuni compagni anarchici) risultò fondamentale per rendere possibile la sua stessa attività politica. Passarono dieci anni di esilio, fatti di generosa militanza, «facchinaggio» giornalistico e incontri affascinanti, ma anche di nostalgia verso la propria terra, di lavori umili e malpagati, di decreti di espulsione e brevi permessi di soggiorno, di carcere e indigenza, mentre il regime di Mussolini si consolidava fino alle conquiste coloniali, vanificando l’opposizione degli esuli. All’inizio del 1936, Berneri era ormai oppresso dalla propria impotenza e parlava apertamente di sconfitta dell’antifascismo, quando improvvisa in estate si accendeva la speranza rappresentata dalla guerra civile spagnola e da una possibile rivoluzione libertaria in quel paese. L’esilio di Berneri raccoglie in sé i caratteri del viaggio antico e del viaggio moderno, così come sono stati descritti da Eric J. Leed. L’esilio, innanzitutto, come viaggio all’insegna di costrizione e sofferenza. Un viaggio antico, che sottopone a dura prova. L’identità di chi lo affronta si riduce agli elementi essenziali, permettendo di vedere quali essi siano. «Soltanto i nauseati dell’esilio – scriveva Berneri – possono intendersi tra loro. Soltanto possono unirsi in pattuglia di punta coloro che considerano l’esilio come un peccato che bisogna scontare, come una vergogna della quale bisogna redimersi, come una pena che va vendicata». Ma, dal punto di vista culturale, l’esilio si rivelò per lui anche un’opportunità di scoperta e arricchimento. Un viaggio moderno, che permette di accedere a qualcosa di nuovo. «Non è che fuori d’Italia che ho scoperto questa, pur diventando europeo. Senza contare le esperienze di vita, le scoperte culturali (Freud, ecc.) le amicizie, ecc». Alla sua esperienza di esule Berneri dedicò un testo «introspettivo», Esilio, che cominciò a stendere nel 1935, non riuscendo però mai a completarlo. Partendo dal manoscritto, che è conservato presso l’Archivio Famiglia Berneri di Reggio Emilia e che è ancora in larga parte inedito, e sotto la scorta di una attenzione sempre più ampia che gli studi storici hanno dedicato negli ultimi anni alla figura dell’anarchico italiano e alla sua famiglia, il saggio che qui si propone intende ripercorrere un intenso e drammatico “pellegrinaggio” politico e umano, da Firenze a Parigi, a Barcellona, snodatosi nei decenni tra le due guerre mondiali.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.