За пределами антропоцентрического взгляда: «смерть зрителя» в эпоху делегированной агентности

This article examines the radical reconfiguration of spectatorship in contemporary art through the lens of delegated agency and posthuman aesthetics. Building upon Roland Barthes' seminal concept of the "death of the author" (1967) and Jacques Rancière's "emancipated spectator" (2008), I propose a critical framework for understanding what I term the "death of the spectator"—a paradigmatic shift wherein human viewership loses its privileged status as the primary locus of meaning-making in artistic practice. Drawing on Boris Groys' theorization of the internet as an apparatus of algorithmic surveillance and recent posthumanist philosophies including new materialism (Karen Barad, Jane Bennett) and object-oriented ontology (Bruno Latour, Graham Harman, Timothy Morton), the article traces how contemporary artists are creating autonomous aesthetic ecosystems that operate independently of human observation. Through close analyses of works by Ian Cheng, Hito Steyerl, and Trevor Paglen, with particular focus on Pierre Huyghe's *Variants* (2021–present)—a self-sustaining biotechnological installation on an island at Kistefos Museum, Norway—I demonstrate how algorithmic processes, environmental data, and biological systems now function as co-constituents of artistic meaning. *Variants* exemplifies this posthuman turn: combining physical landscape, digital simulation, and machine learning algorithms in a feedback loop that continues evolving whether humans are present or not. This work challenges anthropocentric assumptions about art's ontological dependence on human perception, suggesting instead a distributed agency where biological, technological, and geological actors participate equally in the artwork's becoming. The article ultimately argues that while the "death of the spectator" doesn't eliminate human presence entirely, it fundamentally destabilizes the anthropocentric framework that has historically governed aesthetic experience, pointing toward new forms of more-than-human criticality and interpretation.

Questo articolo esamina la radicale riconfigurazione della spettatorialità nell'arte contemporanea attraverso la lente dell'agentività delegata e dell'estetica postumana. Partendo dal seminale concetto di "morte dell'autore" di Roland Barthes (1967) e dello "spettatore emancipato" di Jacques Rancière (2008), propongo un quadro critico per comprendere quella che definisco la "morte dello spettatore"—uno spostamento paradigmatico in cui la visione umana perde il suo status privilegiato come luogo primario di produzione di senso nella pratica artistica. Attingendo alla teorizzazione di Boris Groys di internet come apparato di sorveglianza algoritmica e alle recenti filosofie postumaniste, tra cui il nuovo materialismo (Karen Barad, Jane Bennett) e l'ontologia orientata agli oggetti (Bruno Latour, Graham Harman, Timothy Morton), l'articolo traccia come gli artisti contemporanei stiano creando ecosistemi estetici autonomi che operano indipendentemente dall'osservazione umana. Attraverso analisi approfondite di opere di Ian Cheng, Hito Steyerl e Trevor Paglen, con particolare attenzione a Variants di Pierre Huyghe (2021–presente)—un'installazione biotecnologica autosufficiente su un'isola al Kistefos Museum in Norvegia—dimostro come processi algoritmici, dati ambientali e sistemi biologici funzionino ora come co-costituenti del significato artistico. Variants esemplifica questa svolta postumana: combinando paesaggio fisico, simulazione digitale e algoritmi di machine learning in un ciclo di feedback che continua a evolversi indipendentemente dalla presenza umana. Quest'opera sfida le assunzioni antropocentriche sulla dipendenza ontologica dell'arte dalla percezione umana, suggerendo invece un'agentività distribuita dove actor biologici, tecnologici e geologici partecipano equamente al divenire dell'opera. L'articolo sostiene infine che, sebbene la "morte dello spettatore" non elimini completamente la presenza umana, essa destabilizza fondamentalmente il quadro antropocentrico che ha storicamente governato l'esperienza estetica, indicando nuove forme di criticità e interpretazione più-che-umane.