Reading lives, reframing disability: context, difference and marginalization through Vygotskij

What if disability were not a matter of less, but of different? What if, instead of measuring development against a fixed scale, we recognized it as a field of multiple trajectories, each with its own texture and rhythm? This paper takes up Vygotsky’s notion of qualitative uniqueness – his challenge to the “overworked quantitative variations of separate elements” (Vygotsky, 1993, p. 31) – to rethink how we understand visual disability, not as a lack, but as the starting point of a singular form of life. In my paper, these reflections are anchored in two life stories. The first is that of a mother navigating early childhood with her three-year-old daughter, whose way of moving and perceiving the world resists normative timelines. The second comes from inside a prison, where a man recounts what it meant to share a cell with someone who could not see. In bringing these voices into dialogue with Vygotsky’s historical-cultural psychology and the critical insights of Disability Studies, this paper explores how difference is made, mediated, and sometimes resisted within everyday interactions, institutional spaces, and cultural expectations.

E se la disabilità non fosse una questione di “meno”, ma di “diverso”? E se, invece di misurare lo sviluppo rispetto a una scala fissa, lo rico-noscessimo come un campo di traiettorie molteplici, ciascuna con la propria trama e il proprio ritmo? Questo articolo riprende la nozione vygotskijana di unicità qualitativa – la sua critica alle “variazioni quantitative troppo sfruttate di elementi separati” (Vygotskij, 1993, p. 31) – per ripensare la disabilità visiva non come mancanza, ma come punto di partenza di una forma di vita unica. Nel mio contributo, queste riflessioni prendono corpo in due storie di vita. La prima è quella di una madre che affronta la prima infanzia in-sieme alla figlia di tre anni, il cui modo di muoversi e percepire il mondo resiste ai tempi della norma. La seconda proviene da un car-cere, dove un uomo racconta cosa ha significato condividere la cella con qualcuno che non poteva vedere. Mettendo queste voci in dialogo con la psicologia storico-culturale di Vygotskij e con gli strumenti cri-tici dei Disability Studies, l’articolo esplora come la differenza venga costruita, mediata e talvolta contrastata nelle interazioni quotidiane, negli spazi istituzionali e nelle aspettative culturali.