L'altare, bene culturale di interesse religioso: prospettive in caso di dismissione

The concept itself of "religious cultural heritage" proves, already by its name, to be the result of the composition of two different dimensions: the “cultural” one and the "religious" one, the needs of each of which ordinarily coexist peacefully within the same goods. However, such balance is not imperturbable, as the respective demands could end up contrasting, even radically, with each other. An example of this conflict can be observed in the theater of the decommissioning of a former sacred building: by concentrating one's gaze on the altars that are present in which, according to the Pontifical Council for Culture itself, further delicate issues emerge, as they cannot be relegated to uses other than divine worship. In light of the criticisms that have been addressed to this clarification in recent years, having it been considered in contrast with the provisions of the Code of Canon Law and consequently irrelevant, this essay analyzes its meaning, evaluating whether such claim is actually baseless: a question the answer to which requires an itinerary that develops through the canons concerning the altars, the relegation of churches to profane but not sordid use and the loss of the dedication or blessing of sacred places.

Il concetto stesso di "bene culturale di interesse religioso" mostra, fin dalla propria denominazione, di essere il risultato della composizione di due differenti dimensioni: quella "culturale", appunto, e quella "religiosa", le esigenze implicate da ciascuna delle quali ordinariamente convivono in maniera pacifica nel medesimo bene. Un simile equilibrio non è tuttavia imperturbabile, potendo bensì le rispettive istanze finire per contrastare, anche in maniera radicale, le une con le altre. Un esempio di tale conflittualità sembra potersi osservare nel teatro della dismissione di un edificio già sacro: concentrando lo sguardo sugli altari presenti all'interno dei quali, a detta dello stesso Pontificio Consiglio della Cultura, si scoprono questioni ulteriormente delicate, non potendo essi mai essere sottratti alla propria originaria funzione cultuale. Alla luce delle contestazioni di cui tale puntualizzazione è stata resa bersaglio negli ultimi anni, essendosene propugnata la contrarietà alle disposizioni del Codex Iuris Canonici e la conseguente irrilevanza, il presente contributo si interroga sul suo effettivo significato, valutando se davvero essa risulti priva di fondamento: un quesito la cui risposta impone un itinerario che si snoda attraverso i canoni relativi agli altari, alla riduzione a uso profano non indecoroso delle chiese e alla perdita della dedicazione o della benedizione dei loca sacra.