Nel 1973, Fabrizio De André intraprende uno sforzo di costruzione testuale e melodica che lo conduce alla realizzazione di un concept-album, Storia di un impiegato, volto alla rappresentazione delle impreviste dinamiche d’adesione alla sovversione armata di un travet piccolo-borghese, sin lì fedele alla propria condizione d’anonima tranquillità. Le nove tracce che compongono l’opera in questione sono da leggersi alla luce del difficile passaggio fra anni ’60 e ’70 del secolo scorso, allorquando i repertori d’azione politica delle avanguardie più solide (studenti ed operai) del cosiddetto “Movimento” trovarono una brutale soluzione di continuità, infrangendosi contro la vischiosità dell’opaco sistema politico italiano, ampliando a dismisura le antitetiche strade della sovversione armata e del riflusso nel privato. A tal proposito, De André ricorderà come «a questo punto si era capito che le persone deluse dal fatto che la rivolta era fallita, che non era diventata una rivoluzione vera, che non era cambiato nulla, fuoriuscite dai partiti che avrebbero dovuto rappresentare la sinistra, si erano armate». Il presente contributo, per il tramite della sovrapposizione della narrazione artistica alle risultanze della ricostruzione storiografica, si propone di riaffrontare le grandi tematiche di legittimazione della violenza politica nel discorso pubblico italiano, tentando d’individuare il filo rosso di una apparente rivoluzione incompiuta, e del suo spirito perduto fra blocchi di potere ed idee concorrenziali di violenza risolutiva: «il ’68 è stato una rivolta spontanea, e il fatto che non sia riuscita forse è un bene, se è vero che il grosso problema di ogni rivoluzione è che, una volta preso il potere, i rivoluzionari cessano di essere tali per diventare amministratori».
Guzzo, D. (2011). Storia di un impiegato de Fabrizio de André. L’impossible révolution d’un petit-bourgeois entre le « Joli mois de mai » et les années de plomb. DISSIDENCES, 10, 71-84.
Storia di un impiegato de Fabrizio de André. L’impossible révolution d’un petit-bourgeois entre le « Joli mois de mai » et les années de plomb
Domenico Guzzo
2011
Abstract
Nel 1973, Fabrizio De André intraprende uno sforzo di costruzione testuale e melodica che lo conduce alla realizzazione di un concept-album, Storia di un impiegato, volto alla rappresentazione delle impreviste dinamiche d’adesione alla sovversione armata di un travet piccolo-borghese, sin lì fedele alla propria condizione d’anonima tranquillità. Le nove tracce che compongono l’opera in questione sono da leggersi alla luce del difficile passaggio fra anni ’60 e ’70 del secolo scorso, allorquando i repertori d’azione politica delle avanguardie più solide (studenti ed operai) del cosiddetto “Movimento” trovarono una brutale soluzione di continuità, infrangendosi contro la vischiosità dell’opaco sistema politico italiano, ampliando a dismisura le antitetiche strade della sovversione armata e del riflusso nel privato. A tal proposito, De André ricorderà come «a questo punto si era capito che le persone deluse dal fatto che la rivolta era fallita, che non era diventata una rivoluzione vera, che non era cambiato nulla, fuoriuscite dai partiti che avrebbero dovuto rappresentare la sinistra, si erano armate». Il presente contributo, per il tramite della sovrapposizione della narrazione artistica alle risultanze della ricostruzione storiografica, si propone di riaffrontare le grandi tematiche di legittimazione della violenza politica nel discorso pubblico italiano, tentando d’individuare il filo rosso di una apparente rivoluzione incompiuta, e del suo spirito perduto fra blocchi di potere ed idee concorrenziali di violenza risolutiva: «il ’68 è stato una rivolta spontanea, e il fatto che non sia riuscita forse è un bene, se è vero che il grosso problema di ogni rivoluzione è che, una volta preso il potere, i rivoluzionari cessano di essere tali per diventare amministratori».I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.


