Il saggio legge la produzione tragica controriformistica attraverso la lente di quelle prerogative simulatorie/dissimulatorie tipiche del sovrano. Questa lettura diacronica e insieme legata ad un genere così connotato politicamente costituisce la novità del contributo. Le vicende rappresentate dal teatro tardo cinquecentesco e secentesco (di solito storiche o mitologiche) sfociano nella tragedia proprio nel momento in cui il sovrano cede alle passioni, senza attuare le necessarie tattiche di “velamento” dei propri sentimenti o dei propri impulsi in grado di garantire un retto esercizio del potere. In questo senso il genere tragico sembra far tesoro, dissimulandone (questa volta sì!) la portata, della lezione di accorto pragmatismo del Principe machiavelliano. L’unica tragedia che sembra adombrare il nome del quondam Segretario è l’Asdrubale di Iacopo Castellini (1562): per il resto, ovviamente, il nome di Machiavelli non può che essere taciuto. Alcune tragedie presentano scene che discutono il comportamento del sovrano in maniera quasi argomentativa, segnalando quale deve essere il comportamento corretto da tenere (per es. l’Acripanda di Antonio Decio). Mano a mano che si procede nel Seicento, infine, l’ipoteca moralista diviene via via sempre più invadente e la discussione sul comportamento del sovrano un’opzione quasi retorica: lo rivelano per esempio le tragedie di Emanuele Tesauro.
Bonazzi, N. (2024). Il sovrano alla prova delle passioni. Prudenza, ira, dissimulazione nelle tragedie italiane tra Cinque e Seicento. Milano-Udine : Mimesis Edizioni.
Il sovrano alla prova delle passioni. Prudenza, ira, dissimulazione nelle tragedie italiane tra Cinque e Seicento
Nicola Bonazzi
2024
Abstract
Il saggio legge la produzione tragica controriformistica attraverso la lente di quelle prerogative simulatorie/dissimulatorie tipiche del sovrano. Questa lettura diacronica e insieme legata ad un genere così connotato politicamente costituisce la novità del contributo. Le vicende rappresentate dal teatro tardo cinquecentesco e secentesco (di solito storiche o mitologiche) sfociano nella tragedia proprio nel momento in cui il sovrano cede alle passioni, senza attuare le necessarie tattiche di “velamento” dei propri sentimenti o dei propri impulsi in grado di garantire un retto esercizio del potere. In questo senso il genere tragico sembra far tesoro, dissimulandone (questa volta sì!) la portata, della lezione di accorto pragmatismo del Principe machiavelliano. L’unica tragedia che sembra adombrare il nome del quondam Segretario è l’Asdrubale di Iacopo Castellini (1562): per il resto, ovviamente, il nome di Machiavelli non può che essere taciuto. Alcune tragedie presentano scene che discutono il comportamento del sovrano in maniera quasi argomentativa, segnalando quale deve essere il comportamento corretto da tenere (per es. l’Acripanda di Antonio Decio). Mano a mano che si procede nel Seicento, infine, l’ipoteca moralista diviene via via sempre più invadente e la discussione sul comportamento del sovrano un’opzione quasi retorica: lo rivelano per esempio le tragedie di Emanuele Tesauro.File | Dimensione | Formato | |
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