Se un “documento in ambito storico è qualsiasi testimonianza ritenuta valida ai fini di una ricostruzione storica”, allora qualsiasi frammento reduce di un determinato evento storico diviene una prova concreta, se pur parziale, di quello stesso evento storico di cui si fa memoria. Il frammento diviene dunque Monumento, in quanto testimonianza significativa di un determinato evento. Ma quando questi frammenti diventano la sola testimonianza tangibile e prova giudiziaria di eccidi commessi dal governo, allora essi diventano tanto vitali per la salvaguardia di quella memoria traumatica quanto fragili per la loro stessa “eccezionalità”, continuamente sotto attacco da parte di forze distruttive che quella memoria vogliono cancellare. Il contributo pone l’attenzione di queste “memorie fragili” analizzando le prove ancora visibili che testimoniano l’esistenza dell’ex centro clandestino di detenzione, tortura e sterminio “Club Atletico” a Buenos Aires, utilizzato nel corso delle operazioni di sterminio messe in atto alla dittatura di Jorge Rafael Videla, presidente dell’Argentina dal 1976 al 1981. Partendo proprio dal tentativo di cancellazione dell’identità degli oppositori politici, si vuole analizzare come, allo stesso modo, il governo abbia cercato e in molti casi sia riuscito ad intervenire sulla rimozione fisica, e dunque della memoria, di tali luoghi connessi ai crimini commessi su scala urbana, attraverso strumenti legittimi come quelli strettamente legati alla pianificazione della città. Si propone una necessaria introduzione sul contesto storico in cui si inserisce il tipo di memoria traumatica presa in esame e una descrizione dei luoghi in cui sorge l’ex centro clandestino “Club Atletico”, focalizzandosi sui principali aspetti del tessuto urbano limitrofo. Il contributo prevede la presentazione, a supporto dell’analisi, di materiali raccolti nel corso della ricerca condotta a Buenos Aires tra marzo e aprile 2019 in seno al progetto interdisciplinare SPEME. Questioning Traumatic Heritage, coordinato e diretto dal Dipartimento di Comunicazione dell’Università di Bologna. Una particolare attenzione verrà posta sulle scelte politiche effettuate dal governo per “sopprimere” i luoghi di svolgimento delle torture attraverso strumenti considerati generalmente di pubblica utilità come avviene per il “Club Atletico” dove la costruzione di un viadotto che lo sovrasta o la mancanza di segnaletica, lo rendono un luogo invisibile e anonimo, il tutto reso ancora più difficile dal denso tessuto urbano che lo circonda e lo incorpora a sé, camuffando il suo aspetto in uno dei tanti esempi di cattiva pratica edilizia presenti nelle aree più povere della città. Accade così che strumenti utili per la collettività possono divenire allo stesso tempo inutili alla ricostruzione di una memoria collettiva, andando a sostenere idee negazioniste. Successivamente verrà proposta una lettura comparata dell’ex Campo “Club Atlético” con un altro tristemente noto Ex Campo clandestino di detenzione, tortura e sterminio denominato l’“Olimpo”, anch’esso radicato nel tessuto urbano della capitale argentina. Sul tema del trattamento delle tracce del trauma, inteso come tentativo più o meno evidente di cancellazione, il nuovo Ex-Campo “Olimpo” si contrappone al “Club Atletico” come esempio di progetto di conservazione e ricostruzione dei campi clandestini attraverso un’azione di tutela e intensa partecipazione da parte delle famiglie o di ex prigionieri politici. Infatti, se il “Club Atlético” può rappresentare l’emblema del tentativo di cancellazione, l’”Olimpo” mostra anche chiari segni di ricostruzione filologica dell’accaduto grazie al contributo dei testimoni diretti. Le testimonianze, la ricerca di tracce e il ritrovamento di qualsiasi tipo di reperto concreto o astratto sono gli strumenti principali che permettono la ricostruzione storica della vicenda, che aiutano a rimetterla in luce nonostante i tentativi di occultamento, così che anche la voce del carnefice diviene essa stessa elemento identitario e dunque memoria di quel luogo. Inoltre, questi brandelli di memoria sono al centro della riflessione perché costituiscono i mezzi attraverso i quali trovare le prove giudiziarie necessarie a combattere il negazionismo ancora oggi esistente. In questa “caccia alla prova”, l’architettura costituisce il mezzo principale al servizio di tale intento nelle fasi di rilievo, ricostruzione e restituzione di un percorso efficace per i fruitori che, nei luoghi della memoria, si ritrovano ad affrontare un percorso non solo espositivo ma anche percettivo sui segni dei luoghi di tortura. Seguendo questa logica, anche la base di un pilastro, unico superstite di interi muri distrutti, testimoni dei crimini commessi nel “Club Atletico”, protetta da una teca di vetro e legno, può essere esposta ai visitatori come una vera e propria reliquia da commemorare. Un semplice gesto architettonico diviene dunque uno scrigno che racchiude una memoria, divenendo esso stesso un memoriale inconsapevole, con una valenza emotiva più forte di qualsiasi rappresentazione retorica. Tanto più forte se tale rappresenta l’espressione di una memoria collettiva di una comunità che rivendica il ricordo delle proprie vittime, attribuendo ad esso una valenza simbolica. Non deve stupire dunque come memorie traumatiche differenti possono risultare simili nella narrazione, come nel caso del Memoriale di Gusen ad opera dello Studio BBPR, uno scrigno di cemento che custodisce al suo interno i resti del forno crematorio, proteggendoli da un processo di lottizzazione tutt’ora in atto.
Ilaria Cattabriga (2024). Un viadotto per dimenticare. Frammenti di memoria negli ex centri clandestini di detenzione, tortura e sterminio Club Atlético e Olimpo di Buenos Aires. Roma : Viella.
Un viadotto per dimenticare. Frammenti di memoria negli ex centri clandestini di detenzione, tortura e sterminio Club Atlético e Olimpo di Buenos Aires
Ilaria Cattabriga
2024
Abstract
Se un “documento in ambito storico è qualsiasi testimonianza ritenuta valida ai fini di una ricostruzione storica”, allora qualsiasi frammento reduce di un determinato evento storico diviene una prova concreta, se pur parziale, di quello stesso evento storico di cui si fa memoria. Il frammento diviene dunque Monumento, in quanto testimonianza significativa di un determinato evento. Ma quando questi frammenti diventano la sola testimonianza tangibile e prova giudiziaria di eccidi commessi dal governo, allora essi diventano tanto vitali per la salvaguardia di quella memoria traumatica quanto fragili per la loro stessa “eccezionalità”, continuamente sotto attacco da parte di forze distruttive che quella memoria vogliono cancellare. Il contributo pone l’attenzione di queste “memorie fragili” analizzando le prove ancora visibili che testimoniano l’esistenza dell’ex centro clandestino di detenzione, tortura e sterminio “Club Atletico” a Buenos Aires, utilizzato nel corso delle operazioni di sterminio messe in atto alla dittatura di Jorge Rafael Videla, presidente dell’Argentina dal 1976 al 1981. Partendo proprio dal tentativo di cancellazione dell’identità degli oppositori politici, si vuole analizzare come, allo stesso modo, il governo abbia cercato e in molti casi sia riuscito ad intervenire sulla rimozione fisica, e dunque della memoria, di tali luoghi connessi ai crimini commessi su scala urbana, attraverso strumenti legittimi come quelli strettamente legati alla pianificazione della città. Si propone una necessaria introduzione sul contesto storico in cui si inserisce il tipo di memoria traumatica presa in esame e una descrizione dei luoghi in cui sorge l’ex centro clandestino “Club Atletico”, focalizzandosi sui principali aspetti del tessuto urbano limitrofo. Il contributo prevede la presentazione, a supporto dell’analisi, di materiali raccolti nel corso della ricerca condotta a Buenos Aires tra marzo e aprile 2019 in seno al progetto interdisciplinare SPEME. Questioning Traumatic Heritage, coordinato e diretto dal Dipartimento di Comunicazione dell’Università di Bologna. Una particolare attenzione verrà posta sulle scelte politiche effettuate dal governo per “sopprimere” i luoghi di svolgimento delle torture attraverso strumenti considerati generalmente di pubblica utilità come avviene per il “Club Atletico” dove la costruzione di un viadotto che lo sovrasta o la mancanza di segnaletica, lo rendono un luogo invisibile e anonimo, il tutto reso ancora più difficile dal denso tessuto urbano che lo circonda e lo incorpora a sé, camuffando il suo aspetto in uno dei tanti esempi di cattiva pratica edilizia presenti nelle aree più povere della città. Accade così che strumenti utili per la collettività possono divenire allo stesso tempo inutili alla ricostruzione di una memoria collettiva, andando a sostenere idee negazioniste. Successivamente verrà proposta una lettura comparata dell’ex Campo “Club Atlético” con un altro tristemente noto Ex Campo clandestino di detenzione, tortura e sterminio denominato l’“Olimpo”, anch’esso radicato nel tessuto urbano della capitale argentina. Sul tema del trattamento delle tracce del trauma, inteso come tentativo più o meno evidente di cancellazione, il nuovo Ex-Campo “Olimpo” si contrappone al “Club Atletico” come esempio di progetto di conservazione e ricostruzione dei campi clandestini attraverso un’azione di tutela e intensa partecipazione da parte delle famiglie o di ex prigionieri politici. Infatti, se il “Club Atlético” può rappresentare l’emblema del tentativo di cancellazione, l’”Olimpo” mostra anche chiari segni di ricostruzione filologica dell’accaduto grazie al contributo dei testimoni diretti. Le testimonianze, la ricerca di tracce e il ritrovamento di qualsiasi tipo di reperto concreto o astratto sono gli strumenti principali che permettono la ricostruzione storica della vicenda, che aiutano a rimetterla in luce nonostante i tentativi di occultamento, così che anche la voce del carnefice diviene essa stessa elemento identitario e dunque memoria di quel luogo. Inoltre, questi brandelli di memoria sono al centro della riflessione perché costituiscono i mezzi attraverso i quali trovare le prove giudiziarie necessarie a combattere il negazionismo ancora oggi esistente. In questa “caccia alla prova”, l’architettura costituisce il mezzo principale al servizio di tale intento nelle fasi di rilievo, ricostruzione e restituzione di un percorso efficace per i fruitori che, nei luoghi della memoria, si ritrovano ad affrontare un percorso non solo espositivo ma anche percettivo sui segni dei luoghi di tortura. Seguendo questa logica, anche la base di un pilastro, unico superstite di interi muri distrutti, testimoni dei crimini commessi nel “Club Atletico”, protetta da una teca di vetro e legno, può essere esposta ai visitatori come una vera e propria reliquia da commemorare. Un semplice gesto architettonico diviene dunque uno scrigno che racchiude una memoria, divenendo esso stesso un memoriale inconsapevole, con una valenza emotiva più forte di qualsiasi rappresentazione retorica. Tanto più forte se tale rappresenta l’espressione di una memoria collettiva di una comunità che rivendica il ricordo delle proprie vittime, attribuendo ad esso una valenza simbolica. Non deve stupire dunque come memorie traumatiche differenti possono risultare simili nella narrazione, come nel caso del Memoriale di Gusen ad opera dello Studio BBPR, uno scrigno di cemento che custodisce al suo interno i resti del forno crematorio, proteggendoli da un processo di lottizzazione tutt’ora in atto.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.