Per diverse settimane prima del voto del 7 maggio 2015, commentatori, analisti e media britannici davano per scontato che nessun partito sarebbe stato in grado di ottenere la maggioranza dei seggi alla House of Commons (Bale & Webb 2015): l’esito più probabile del voto, dunque, era la riproposizione – magari con altri attori rispetto alla legislatura 2010-2015 – di un governo di coalizione. In altri termini, quanto aveva rappresentato un’assoluta eccezione rispetto alle dinamiche “classiche” del sistema politico britannico, pareva diventare sempre meno un’eccezione e sempre più uno scenario plausibile con cui tutti gli attori politici avrebbero dovuto fare i conti. Tale possibile scenario veniva preso in grande considerazione dagli stessi partiti britannici – conservatori e laburisti in testa – tanto che i rispettivi manifesti elettorali, differentemente da quanto successo fino alla precedente tornata di elezioni nazionali, parevano più un insieme di vaghi intendimenti e – per così dire – priorità irrinunciabili, che non un lungo e dettagliato elenco di impegni di policy da contrarre con l’elettorato (Geddes & Tonge 2015, 1). Quasi che tutti i partiti ritenessero improbabile ottenere la maggioranza dei seggi in parlamento, rimandando di conseguenza al secondo round – quello delle negoziazioni inter-partitiche – il momento in cui esplicitare concretamente l’idea di futuro che avevano per il Regno Unito. Come è noto, l’esito elettorale si è tuttavia incaricato di smentire tutte le più diffuse attese, consegnando ai conservatori del primo ministro in carica David Cameron la vittoria in 330 collegi uninominali su 650, con conseguente maggioranza parlamentare pari al 50,8% (Denver 2015).
Andrea Pritoni (2016). I primi mesi del governo Cameron II: la responsiveness dell’attività legislativa. BOLOGNA : Il Mulino.
I primi mesi del governo Cameron II: la responsiveness dell’attività legislativa
Andrea Pritoni
2016
Abstract
Per diverse settimane prima del voto del 7 maggio 2015, commentatori, analisti e media britannici davano per scontato che nessun partito sarebbe stato in grado di ottenere la maggioranza dei seggi alla House of Commons (Bale & Webb 2015): l’esito più probabile del voto, dunque, era la riproposizione – magari con altri attori rispetto alla legislatura 2010-2015 – di un governo di coalizione. In altri termini, quanto aveva rappresentato un’assoluta eccezione rispetto alle dinamiche “classiche” del sistema politico britannico, pareva diventare sempre meno un’eccezione e sempre più uno scenario plausibile con cui tutti gli attori politici avrebbero dovuto fare i conti. Tale possibile scenario veniva preso in grande considerazione dagli stessi partiti britannici – conservatori e laburisti in testa – tanto che i rispettivi manifesti elettorali, differentemente da quanto successo fino alla precedente tornata di elezioni nazionali, parevano più un insieme di vaghi intendimenti e – per così dire – priorità irrinunciabili, che non un lungo e dettagliato elenco di impegni di policy da contrarre con l’elettorato (Geddes & Tonge 2015, 1). Quasi che tutti i partiti ritenessero improbabile ottenere la maggioranza dei seggi in parlamento, rimandando di conseguenza al secondo round – quello delle negoziazioni inter-partitiche – il momento in cui esplicitare concretamente l’idea di futuro che avevano per il Regno Unito. Come è noto, l’esito elettorale si è tuttavia incaricato di smentire tutte le più diffuse attese, consegnando ai conservatori del primo ministro in carica David Cameron la vittoria in 330 collegi uninominali su 650, con conseguente maggioranza parlamentare pari al 50,8% (Denver 2015).I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.


