È sempre difficile trarre indicazioni di carattere nazionale a partire dal voto alle elezioni comunali. Soprattutto in un paese come l’Italia, in cui le specificità locali hanno un impatto davvero rilevante rispetto alle scelte operate dai cittadini nel momento in cui si recano alle urne. A prima vista, l’appuntamento elettorale del 5 e 19 giugno 2016 – sul punto – non sembrerebbe fare eccezione. Anche e soprattutto perché interessava poco più di 1.300 comuni sui circa 8.000 che popolano la penisola, per di più distribuiti geograficamente in maniera non omogenea, tra i quali 17 capoluoghi provinciali (su 90) e 7 regionali (su 20) (compresa la capitale d’Italia: Roma). Tuttavia, derubricare il recente appuntamento elettorale alla stregua di un coacervo di situazioni locali tra loro irriducibili sarebbe probabilmente sbagliato, e questo per (almeno) due ordini di motivi: in prima battuta, perché un voto – per quanto amministrativo – che interessa le quattro principali città italiane (Roma, Milano, Napoli e Torino), non è mai soltanto un voto locale. Secondariamente, per il contesto politico all’interno del quale queste stesse elezioni amministrative vanno collocate: esse rappresentano, infatti, il primo tempo di una partita che si concluderà in autunno, con il referendum sulla riforma costituzionale recentemente approvata dal Parlamento. Un referendum nel quale – parole sue – Matteo Renzi «si gioca l’osso del collo».
Pritoni Andrea, Morini Mara (2016). Il Pd: #menosereno. BOLOGNA : Istituto Cattaneo.
Il Pd: #menosereno
Pritoni Andrea
;
2016
Abstract
È sempre difficile trarre indicazioni di carattere nazionale a partire dal voto alle elezioni comunali. Soprattutto in un paese come l’Italia, in cui le specificità locali hanno un impatto davvero rilevante rispetto alle scelte operate dai cittadini nel momento in cui si recano alle urne. A prima vista, l’appuntamento elettorale del 5 e 19 giugno 2016 – sul punto – non sembrerebbe fare eccezione. Anche e soprattutto perché interessava poco più di 1.300 comuni sui circa 8.000 che popolano la penisola, per di più distribuiti geograficamente in maniera non omogenea, tra i quali 17 capoluoghi provinciali (su 90) e 7 regionali (su 20) (compresa la capitale d’Italia: Roma). Tuttavia, derubricare il recente appuntamento elettorale alla stregua di un coacervo di situazioni locali tra loro irriducibili sarebbe probabilmente sbagliato, e questo per (almeno) due ordini di motivi: in prima battuta, perché un voto – per quanto amministrativo – che interessa le quattro principali città italiane (Roma, Milano, Napoli e Torino), non è mai soltanto un voto locale. Secondariamente, per il contesto politico all’interno del quale queste stesse elezioni amministrative vanno collocate: esse rappresentano, infatti, il primo tempo di una partita che si concluderà in autunno, con il referendum sulla riforma costituzionale recentemente approvata dal Parlamento. Un referendum nel quale – parole sue – Matteo Renzi «si gioca l’osso del collo».I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.


